I 10 migliori film del 2019 per Buonsenso Faenza
Giunti alla fine del 2019, come è abitudine per tanti cinefili e non solo, si tirano le somme dell’annata per quanto riguarda il cinema. Raramente capita, in dodici mesi, di assistere a un numero tanto corposo di belle pellicole. In quest’articolo ne troverete solo 10, stilate in ordine cronologico di uscita in sala in Italia (o in piattaforme streaming in alcuni casi), e non in forma di classifica: definire un podio e stimare quali film sono meglio di altri è spesso scorretto e ingiusto, soprattutto se si ha a che fare con generi e stili tanto diversi tra loro, così come indicarne una manciata escludendone altri. Ecco perché la lista qui presente è da considerarsi soggettiva e personale, frutto di opinioni condivisibili o meno.
Il genere horror sugli scudi
Si comincia col dire che il 2019 è stato un bell’anno per quanto riguarda l’horror: già da qualche anno questo genere è in ripresa, grazie a giovani cineasti con nuove idee e una certa propensione per la messa in scena in cerca di assoluta originalità. Molti dei film qui descritti hanno, inoltre, le donne come protagoniste: la forza femminile e il carattere emotivamente complesso della donna è un motore narrativo molto interessante che può regalare grandi emozioni, se ben guidato dai registi attraverso brave interpreti.
A rientrare nella classifica ci sono non uno, bensì due film provenienti dalla Corea del Sud: questo paese ha dimostrato in più occasioni di poter rendersi molto competitivo con l’occidente per quanto riguarda il cinema di genere e d’intrattenimento, e la Palma d’Oro di Cannes a Parasite lo ha ulteriormente confermato.
Per finire, non ci si dimentica mai di grandi autori che il cinema lo hanno costruito (vedi Martin Scorsese) o reinventato. La loro presenza, ancora forte e importante, ha oggi una funzione quasi testamentaria, decisa a voler lasciare un sentito omaggio a tutto ciò che significa per loro fare cinema.
I 10 migliori film che ci ha regalato il 2019
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Suspiria di Luca Guadagnino
Remake del cult horror diretto da Dario Argento nel 1977, Suspiria di Luca Guadagnino si presenta come una nuova lettura del classico iper-colorato e stroboscopico. I colori si spengono in favore di un grigio perenne e lasciano spazio a nuove sperimentazioni, legate allo stile più pacato e riflessivo di Guadagnino. Il tutto abbracciato dalla dolce ma tagliente colonna sonora firmata Thom Yorke. Grandiosa rappresentazione matriarcale del potere e della gerarchia fra donne-streghe e allieve portatrici di misteri insospettati. Finale che riporta all’orrore fisico e disgustoso degli anni ‘70, lasciando il segno. Un plauso doveroso per aver omaggiato il soggetto originale ed averlo reinventato con coraggio.
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La favorita di Yorgos Lanthimos
Prima opera in costume per il regista greco, La favorita appare sublime in ogni sua trovata. Le eccellenti scenografie, i costumi e le acconciature ci fanno calare in un contesto storico fedelissimo per un film che storico non è: o almeno non negli intenti. Lo scopo di Lanthimos è quello di dipingere la complessa psicologia delle tre (straordinarie) protagoniste. Emma Stone e Rachel Weisz duellano senza esclusione di colpi all’interno delle mura per contendersi il favore della regina Anna, un’Olivia Colman da Oscar. Ma il favore, come il carattere instabile della regina, è pronto a cambiare come fosse un alito di vento. Un film pungente ed incalzante, dalla sceneggiatura impeccabile e dalla regia raffinata.
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La casa di Jack di Lars von Trier
Forse il film più disturbante e controverso di questa lista, La casa di Jack, nella sua efferatezza, è anche uno dei manifesti artistici più importanti dell’anno in ambito cinema. Lars von Trier (si) racconta in questa opera legata al personaggio del serial killer Jack, un uomo completamente svincolato da qualsiasi empatia o sentimento umano, che crede di creare arte pura attraverso gli omicidi. Nel suo autoelogio Jack si interfaccia con un interlocutore sconosciuto, inevitabilmente incarnato nel pubblico, che con orrore osserva le gesta dell’assassino e le critica aspramente ma non rinuncia ad accompagnarlo per tutta la durata del cammino. Un discorso imponente sul perché della creazione artistica; una sincera ammissione da parte di un regista sempre bistrattato e incompreso a causa della natura delle sue opere.
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Midsommar – Il villaggio dei dannati di Ari Aster
Ari Aster torna dietro la macchina da presa dopo lo sconvolgente Hereditary e decide di ambientare la sua nuova opera in Svezia, alla luce del sole di mezzanotte mai calante. Uno scenario idilliaco dove regnano colori sgargianti e musiche paradisiache, dal folk nordico ai cori festosi. Midsommar si pone l’obiettivo di far conoscere (al pubblico e ai ragazzi protagonisti) il culto di una setta di origine pagana, le loro usanze, tradizioni e storia. Un mezzo apparentemente saggio per alleviare il dolore interno di Dani (assoluta protagonista) in seguito ad una tragedia familiare. Col passare del tempo, però, il culto rivelerà la sua vera maschera ed inizierà un processo di graduale follia, tra sacrifici, filtri d’amore e sparizioni inspiegate. L’orrore fuoriesce in pochi istanti e si fa provocatorio in un contesto che, almeno esteticamente, parrebbe l’opposto. Un altro horror degno di nota, in cerca di novità cinematografica e dalla lunga durata, in cui Aster torna a parlare di famiglia e allarga il discorso verso le sette.
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Mademoiselle di Park Chan-wook
Dalla Corea del Sud arrivano due grandiosi film per forza da citare. Mademoiselle (conosciuto anche come The Handmaiden), uscito nel 2016 ma arrivato da noi solo quest’anno, è il racconto di una umile ladra chiamata per far innamorare la ricca proprietaria di una villa a metà tra l’architettura giapponese e britannica, allo scopo di permettere ad un malvagio conte di impossessarsi del suo patrimonio. Il doppio-triplo gioco delle due donne si sviluppa nell’arco di tre atti, utili a capire il punto di vista di ogni personaggio e a farci calare nella verità attraverso le menzogne. Sono le donne a raccontarci cosa sia il vero amore, attraverso l’eros ed attraverso un inno alla libertà, come un “suono di campane in una notte senza vento”, e gli uomini, qui rozzi e relegati alla perversione, non trovano spazio di salvezza.
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C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino
C’era una volta… Il ‘69, gli anni d’oro di Hollywood, le serie western, Sharon Tate. Un attore sull’orlo di una crisi professionale cerca di farsi strada in un’epoca che cambia, con l’appoggio del suo fedele stuntman. In C’era una volta a… Hollywood, Quentin Tarantino rallenta la sua mano dinamica e si siede per fotografare il fulcro di un periodo, una cartolina di innegabile fascino ed una pagina fondamentale della storia del cinema. Viaggiare per le strade di Los Angeles nell’auto di Brad Pitt, stare sul set con Leonardo DiCaprio, andare al cinema con Margot Robbie sono solo alcuni dei momenti clou che Tarantino impiega come mezzo per omaggiare tutto ciò che ama della settima arte. Scenografie da urlo, costumi e acconciature d’epoca, musiche sempre ricercate ed incalzanti che hanno il solo scopo di regalarci un tuffo nel ‘69, con l’ombra della Manson Family che incombeva inesorabile …e vissero tutti felici e contenti.
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Joker di Todd Phillips
L’ennesima trasposizione del pagliaccio più famoso dei fumetti non ha certo bisogno di presentazioni, non solo per la popolarità del personaggio ma anche per i vertiginosi incassi cui è andato incontro (oltre alla vittoria del Leone d’Oro a Venezia). Joker di Todd Phillips rientra di diritto in questa lista per l’incredibile fattura con cui è realizzato. In primis la performance di Joaquin Phoenix, attore di innegabile talento che qui tira fuori il meglio del suo istrionismo, regalandoci (forse) il miglior Joker mai visto su grande schermo. La tragedia di Arthur Fleck è shakespeariana fino al midollo: da un contesto prettamente urbano e realistico si passa al dramma esistenziale, dove un protagonista ridotto ad un’ombra strisciante, incavato e disgregato, tocca il fondo e scopre di poterlo persino ribaltare. La gargantuesca scala che con fatica aveva prima risalito diviene una comoda rampa per una danza liberatoria e la risata, mezzo di dolore straziante, riscopre la sua autenticità.
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Parasite di Bong Joon-ho
Tra i migliori film in assoluto di quest’anno, Parasite (Palma d’Oro a Cannes) del coreano Bong Joon-ho è un’opera che sorprende su tutti i fronti. Il parassitismo è inteso come attacco sociale, da parte di scarafaggi dei sobborghi che decidono di infestare una villa lussuosa e moderna. Due famiglie agli antipodi della società che Bong analizza con cinismo, sdrammatizzando il contesto con toni da commedia sinceramente divertente. Poi arriva la stoccata e il film prende la piega che non ci si aspetta, rivelando dettagli inquietanti che portano il tutto su un piano quasi orrorifico. Mescolando i generi e mantenendo sempre un ritmo incalzante, il regista coreano genera un vero capolavoro dei nostri tempi, che parla di tutti noi.
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The Irishman di Martin Scorsese
Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel e il maestro Martin Scorsese a dirigerli. Sembra quasi una riunione di famiglia, invece The Irishman è molto di più: con un ritorno brillante al genere gangster (molto caro ad uno dei titani della New Hollywood), il film prodotto da Netflix tocca le 3 ore e 30 minuti senza alcun timore. Scorsese si serve di tempo per parlare del tempo e dell’invecchiamento; utilizza due ore e mezza per tracciare una linea biografica precisa su chi furono Frank Sheeran, Jimmy Hoffa, Russell Bufalino nella storia americana, per poi riporre tutto sé stesso nell’ora finale. Al pari del collega Clint Eastwood (con l’altrettanto meraviglioso Il corriere – The Mule, sempre di quest’anno), il film pare quasi più un testamento, un canto del cigno di un’epoca passata con attori e personaggi ormai giunti al tramonto. Rimangono solo solitudine, rimorso e una stanza d’ospizio che deve rimanere leggermente aperta: un ultimo spiraglio di vita e speranza, una silenziosa attesa perché tutto si aggiusti e allo stesso tempo che finisca per sempre.
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Storia di un matrimonio di Noah Baumbach
Altra produzione Netflix necessariamente da tirare in ballo è il bellissimo Storia di un matrimonio, in cui i protagonisti Adam Driver e Scarlett Johansson inscenano la fine di un amore e le relative conseguenze, con un figlio a carico che rappresenta il loro unico appiglio. Baumbach scrive e dirige un’opera più vicina al teatro, a scena chiusa, dove sono le parole, i gesti e il non detto a spadroneggiare. L’ “incomunicabilità” alla Antonioni e i piccoli dettagli sono ciò che rendono questo film una perla rara, di una finezza tutta da scoprire grazie alla sceneggiatura più complessa delle apparenze. La macchina da presa preferisce gli interni e il quotidiano, gli interpreti sono eccellenti e intensi, il film risulta sia una deliziosa commedia dalla brillante ironia, sia un colpo duro da digerire, che colpisce dritto al cuore.
Alessandro Leoni