Suspiria di Luca Guadagnino
Quando si parla di Suspiria vengono in mente tante cose tutte insieme. Un turbinio di immagini e sensazioni legate al terrore dell’ignoto, delle streghe e del demonio. Una scuola di danza raffinatissima dove terribili riti di magia nera si consumano nel cuore della notte. Una tavolozza di colori pastello e folgoranti che sembrano provenire da altre dimensioni e infine un’incessante e misteriosa colonna sonora che accompagna la visione pregna di suspence. Questo, in estrema sintesi, era il Suspiria di Dario Argento del 1977: un cult horror che si è imposto per sempre come grande capolavoro nel suo genere e che tuttora non ha perso un briciolo della sua forza visiva.
Un omaggio di Luca Guadagnino al maestro Dario Argento
Luca Guadagnino, lanciato definitivamente dal suo Chiamami col tuo nome, decide di raccogliere l’eredità di Argento e di riproporre le stesse sensazioni e la stessa potenza adattati al cinema contemporaneo. Il suo Suspiria non può quindi che essere considerato un remake, ma di fatto non lo è. Come anche da lui dichiarato, si tratta più probabilmente di un omaggio, di un’opera che vive grazie a ciò che fece Argento ma che acquista subito un’identità fortissima e indipendente. Perché la trama non è affatto la stessa, nonostante le similarità presenti; i personaggi sono altri, nonostante alcuni siano omonimi.
Suspiria: un film cult degli anni ’70 rivive nell’atmosfera contemporanea
I colori sfavillanti del film originale, che costituivano una caratteristica fondamentale, vengono quasi del tutto spenti a favore di una fotografia che preferisce puntare sul cupo e sul freddo. La famosissima traccia dei Goblin, simbolo immortale di Suspiria, lascia spazio a nuove musiche firmate da Thom Yorke (frontman dei Radiohead) che trasudano paura ed esoterismo ma che lasciano anche un fondo di malinconia e dolcezza inaspettate. Luca Guadagnino realizza un’opera magnifica incentrata sulla figura della madre (colei che ricopre tutti i ruoli ma è insostituibile) e strutturata in sei atti nella Berlino divisa: l’ambientazione non è casuale e permette di raccontare un contesto socio-politico di tensione interna che si riflette anche sulle vicende della scuola di danza.
Un cast valorizzato dal film
All’interno di quest’ultima troviamo la medesima congrega di streghe, capitanate da Madame Blanc (una Tilda Swinton più trasformista che mai), che il regista sceglie di rendere più partecipe rispetto a quanto fece Dario Argento: non si muovono più nell’ombra ma ne seguiamo i passi, partecipiamo alle loro riunioni e quasi ce ne sentiamo parte. Tutto ciò attraverso lo sguardo misterioso della nuova Susie, qui interpretata da Dakota Johnson (decisamente più talentuosa di come appariva nella saga di Cinquanta sfumature) e del dottor Klemplerer (Lutz Ebersdorf), uno psichiatra in cerca di risposte dopo la sparizione di una sua paziente.
Uno dei migliori ‘remake’ degli ultimi anni
Ruolo centrale assume anche la danza, forse ancor di più rispetto al film originale: le sequenze dedicate acquistano un macabro fascino che congiunge l’arte all’orrore, andando a creare un contatto diretto con la magia nera e la stregoneria. La danza si fa rituale ed è un rituale di grande malvagità. Guadagnino ci conduce in un girone infernale in cui non vorresti mai essere entrato e genera sensazioni di disturbo, inquietudine e malsanità. Così Suspiria rinasce nel 2018-2019, traendo linfa vitale dal suo omonimo ma distaccandosene sia nelle intenzioni sia nello sguardo del regista, che mette in scena la sua personale visione; si esce dalla sala frastornati, assillati, incerti su ciò a cui si è assistito e forse proprio lì sta la bellezza e la grandezza di quello che forse è uno dei migliori “rifacimenti” degli ultimi tempi.
Alessandro Leoni