STEFANO DREI RACCONTA DINO CAMPANA. E MOLTO DI PIÙ
STEFANO DREI RACCONTA DINO CAMPANA. E MOLTO DI PIÙ
«Bisogna considerare quello dell’educazione non come se fosse un problema a sé, nato dall’incomprensibile rifiuto degli adulti “di educare i propri figli”, ma come parte di un problema molto più ampio e doloroso che riguarda gli atteggiamenti sociali e la trasmissione della cultura a tutti i livelli (…). Nel mondo globalizzato e amministrato dai media, la celebre frase di Marx ed Engels secondo cui “tutto ciò che sembrava stabile prende il volo” diventa vera alla lettera. Tutto: anche le strutture e le istituzioni borghesi che il capitalismo avrebbe dovuto difendere e far prosperare; e con loro tramontano, perché diventano inservibili, anche quella devozione alla tradizione e quel senso di appartenenza e di comunità».
(C.Giunta, L’assedio del presente. Sulla rivoluzione culturale in corso, Il Mulino, 2007)
Ai nostri giorni il problema della trasmissione della cultura è uno dei grandi temi su cui le istituzioni e la società civile dovrebbero seriamente riflettere. Senza essere per forza catastrofistici, è evidente come per colpa dell’enorme velocità del mondo contemporaneo (ma non solo di quello) tutta una serie di tradizioni, di riti, di storie, stia andando perduta senza che quasi ce ne accorgiamo. Come porsi di fronte a questa situazione? Una possibile risposta l’abbiamo trovata in un libro da poco uscito e che riteniamo di grande importanza per la nostra città.
Stiamo parlando del libro di Stefano Drei: Dino Campana. Ritrovamenti biografici e appunti testuali, (Carta Bianca, 2014) presentato il 22 gennaio scorso alla Biblioteca Comunale di Faenza alla presenza del massimo esperto mondiale di studi campaniani, lo scrittore argentino Gabriel Cacho Millet, che per il volume ha anche curato una sentita prefazione. Il libro raccoglie gran parte degli studi, editi ed inediti, che il professor Stefano Drei ha condotto durante questi anni a partire del famoso smascheramento della celebre foto di classe del Liceo[1]. Come un detective, il professor Drei ha scandagliato testimonianze e documenti nella difficile impresa di ricostruire quella che è stata definita da Alberto Asor Rosa come «la biografia più misteriosa del Novecento letterario italiano».
Scopo di questo articolo però non è tanto quello di elencare le tematiche presenti nel libro di cui in parte abbiamo già trattato e che il lettore può facilmente reperire acquistando il volume o consultandolo il biblioteca, quanto quello di mettere in luce l’approccio metodologico utilizzato. Il libro di Drei, benché tratti un argomento certamente specialistico, non è un libro per soli specialisti. Attraverso un linguaggio semplice e chiaro si rivolge con garbo ad un lettore per così dire “comune”, preferendo andare incontro al proprio pubblico anziché porsi su un pulpito dal quale sfoggiare le proprie conoscenze. È un testo che, a mio parere, potrebbe anche essere utile per le scuole.
Inoltre, il libro di Drei non è semplicemente un libro su Dino Campana, ma un libro che, attraverso la sua vicenda e le sue poesie, parla di noi, di Faenza e del nostro territorio. Le poesie di Campana trattano in gran parte del paesaggio che ci circonda e delle storie “mitiche e barbare” che questo paesaggio si porta dietro. Conoscere le vicende dell’Osteria della Mosca, del Ponte delle Due Torri, di cosa e come si viveva al Liceo Torricelli ad inizio secolo non è un mero esercizio di erudizione, ma un essere più consapevoli della difficile poesia dei Canti Orfici e della nostra storia.
Ritengo che in un mondo sempre più sull’orlo della superficialità e dell’appiattimento di valori, in cui «cominciamo a sospettare che sotto il nome glorioso di liberalismo si vada facendo strada un modello di convivenza che favorisce la dissoluzione di ogni vincolo e di ogni dovere sociale» (Giunta [2007: 10]) quello che la critica letteraria e la filologia (scienze ritenute spesso “astratte”, anche per colpa dei loro addetti ai lavori) devono innanzitutto porsi come obbiettivo è quello di tenere vive nella propria comunità delle tradizioni e far sì che attraverso di esse certe idee, memorie e voci non vengano disperse nel magma dell’eterno presente dei non-luoghi della società contemporanea, ma continuino a parlarci e far parte del nostro bagaglio culturale. Un bagaglio che poi possiamo portarci dietro ovunque il nostro cammino ci conduca lungo le strade di questo mondo.
[1] La famosa foto di classe della quinta ginnasio del 1900-1901 in realtà non ritrae il celebre poeta dei Canti Orfici, ma un altro studente marradese, Filippo Tramonti.
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