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Riflessione sui dati Invalsi: si impara solo nella dimensione educativa della relazione

Che scuola ritroveremo a settembre? Accanto ai problemi logistici e sanitari, dalla mancata abolizione delle classi pollaio alle disposizioni anti-contagio, affiorano anche alcune questioni sollevate dall’Istituto Invalsi e dalla pubblicazione dei voti di maturità: questi due anni di pandemia mostrano un calo nelle competenze degli studenti, nonostante i voti alti all’Esame di Stato. A mancare agli studenti non è stata però solo la preparazione, ma anche e soprattutto la socializzazione, la dimensione relazionale con compagni e professori. Per evitare quindi di commettere l’errore di una corsa cieca al recupero delle conoscenze dimenticando la missione educativa della scuola, proviamo a leggere bene questi dati e a guardare oltre le percentuali.

I dati: per l’Invalsi studenti impreparati ma diplomati con voti alti

Qualche settimana fa l’Istituto per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione, più semplicemente noto come Invalsi, ha diffuso alcuni dati sulle mancate competenze raggiunte dagli studenti. Il Rapporto Invalsi rivela che, finite le scuole medie, il 39% degli studenti non ha raggiunto risultati adeguati in italiano, e il 45% in matematica. Alle scuole superiori a uscire impreparato in italiano è il 44% e in matematica il 51%. Il dato è maggiore nelle regioni del Sud dove oltre la metà degli studenti è impreparata in italiano, in Puglia il 59% e in Campania e Calabria addirittura il 64% , e in matematica, in Campania il 73% , in Sicilia il 70%, il 69%  in Puglia. Questi dati però non sono confermati dai voti di maturità quest’anno particolarmente elevati. Leggendo i dati del Ministero dell’Istruzione notiamo infatti che oltre il 96% degli studenti è stato ammesso agli Esami e di questi oltre il 98% è stato promosso, per il 52,9% con voti dall’80 a 100. I diplomati con lode sono 15.353, il 3,1% in più rispetto a un anno fa, e la percentuale più alta si registra in Puglia con il 5,9% seguita da Umbria 4,8%, Marche 4,4% e Calabria 4,4%, che sono per altro le stesse regioni che registravano i risultati più scarsi nelle prove Invalsi. Dati controversi che mostrano un calo delle competenze e voti e non rispecchiano la preparazione: ma cosa ne pensano gli studenti?

scuola

Il commento di due studenti faentini: è mancata la relazione

Diego che si è diplomato l’anno scorso presso l’Istituto Tecnico Oriani di Faenza e ha frequentato il primo anno al corso di Design della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, commenta così il suo esame: “Penso sia stato giusto fare solo l’orale perchè non si poteva fare diversamente, ma penso anche che i prof abbiano amplificato molto i voti. Il fatto che l’anno scorso non si potesse bocciare non mi è sembrato corretto: ha permesso anche a chi non era per nulla preparato di essere ugualmente promosso”. Anche Pietro, diplomato l’anno scorso al liceo scientifico TorricelliBallardini di Faenza che ha frequentato il primo anno di Medicina al Campus di Forlì, è d’accordo sull’esame orale e sui voti dice: “credo sia stato molto difficile valutare per i prof: da un lato hanno ciò che deriva da tre anni del triennio in cui hanno potuto osservare attentamente gli alunni, dall’altra cinque minuti per materia con una domanda che può far passare il voto da 60 a 100″. Dunque cosa è mancato in questi due anni di scuola e in questo primo anno di università? “Il contatto con i miei compagni e con i prof: poter chiacchierare e scherzare con in classe, cosa che alleggeriva di gran lunga il clima scolastico” dice Pietro “ ma anche essere controllati dai prof. Voglio dire: quando si è in classe si è in un modo o nell’altro obbligati ad ascoltare le lezione, da casa invece mi sentivo libero, potevo distrarmi, potevo copiare. Tutto questo potrebbe sembrare un vantaggio, ma si va a scuola per imparare qualcosa, e io della quinta ricordo davvero poco di quello fatto in dad, e mi dispiace molto.” Anche a Diego è mancata la relazione, la possibilità di concludere la scuola insieme ai compagni tra gite e semplici giornate passate in classe: “Per fortuna in questo primo anno di università sono riuscito almeno a legare con alcuni ragazzi, anche se devo dire che tutto il rapporto università-studente è venuto meno: ho dovuto fare quasi tutto da solo, soprattutto relativamente alle attività pratiche per le quali avrei avuto bisogno della presenza di un tecnico che mi insegnasse alcune cose”.

 

La scuola non è solo competenze: il ruolo dell’educatore

La scuola, come l’università, non è solo un insieme di competenze da acquisire. I ragazzi sono i primi ad avere consapevolezza della mancata preparazione che, come sentito dalle loro voci, è inevitabile se si fa lezione davanti a uno schermo. Di certo le competenze sono importanti ma questa mancanza non si risolve pensando di consolare i ragazzi con voti alti che sanno di non meritare, né pensando di impostare il prossimo anno all’insegna della corsa al programma per recuperare gli argomenti non svolti. Come abbiamo visto qualche mese fa, descrivendo la situazione della neuropsichiatria infantile di Faenza, proprio la scuola è stata uno dei fattori ansiogeni che più ha impattato sul malessere dei ragazzi; essendo stata privata di ogni aspetto relazionale, è rimasta solo un insieme di verifiche e interrogazioni. La pausa estiva non deve indurre insegnanti e genitori a pensare che i problemi di socializzazione e di ansia siano spariti all’arrivo della zona bianca: ci sono ancora strappi da ricucire. I disturbi di ansia, i fenomeni di autolesionismo e l’aumento di uso di alcol e di dipendenze non spariscono di certo in pochi mesi di vacanza. Lo stesso istituto Invalsi dice inoltre che in Italia sono 45mila gli studenti a rischio abbandono scolastico, dopo un anno che ha già conosciuto un incremento notevole della dispersione, cosa che abbiamo avuto modo di vedere anche a Faenza. Più volte abbiamo detto quest’anno che l’insegnante è un educatore e non un istruttore o un cultore della materia: ora per la scuola è arrivato il momento di dimostrare di averlo capito e di saper mettere in pratica la sua competenza, quella di aiutare i ragazzi, attraverso uno studio dialogato e in presenza, a diventare cittadini consapevoli e adulti che avranno in eredità un futuro pieno di sfide importanti e impegnative.

Letizia Di Deco

Classe 1998, vivo a Faenza. Mi sono laureata in Lettere Moderne e poi in Italianistica e Scienze linguistiche all’Università di Bologna. Scrivo per il settimanale Il Piccolo di Faenza. In attesa di tornare definitivamente in classe da prof, mi piace fare domande a chi ha qualcosa di bello da raccontare su ciò che accade dentro e fuori le pareti della scuola. Ho sempre bisogno di un buon libro da leggere, di dire la mia opinione sulle cose, di un po' di tempo per una corsetta…e di un caffè

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