INTERVISTA A GIOVANNI MALPEZZI – Candidato sindaco per il Partito Democratico
INTERVISTA A GIOVANNI MALPEZZI
Candidato sindaco per il Partito Democratico
Nome: Giovanni
Cognome: Malpezzi
Data di nascita: 25-07-1966
Professione: sindaco
Stato civile: coniugato
Liste di riferimento: PD (più coalizione di centro-sinistra)
Perché mi candido: perché un sindaco dopo il primo mandato ha il dovere di sottoporsi al giudizio dei cittadini e perché sono ancora in corso alcuni progetti importanti che richiedono più di un mandato per completarsi
Ultimo libro letto: M.Toso – Riappropriarsi della democrazia
Da piccolo volevo fare il: trattorista
Il posto più bello che ho visto: Dolomiti
Il posto che vorrei visitare: India
Una persona che ammiri: Matteo Renzi
Se penso a Faenza mi viene in mente: Argillà, Palio, 100Km, Generosa, Bella, Toro Rosso, Raggisolaris, Faiance
1 DEMOCRAZIA – INFORMAZIONE
La prima parola che vorremmo trattare con lei è quella di “Democrazia”. Faenza presenta ben 9 candidati sindaco. Un’enormità. Non crede che questo sia sinonimo di scarsa progettualità e mancanza di coesione da parte delle rappresentanze politiche della nostra città? E non crede che questo non faccia altro che riflettere, più che aperture democratiche, un atteggiamento di chiusura e di mancanza di dialogo?
Sicuramente nell’ambito del centrodestra questa valutazione è fattibile. La mancata possibilità di raggiungere un unico candidato da parte del centrodestra dimostra un forte individualismo da parte delle varie componenti politiche. Credo che questa valutazione invece non sia trasponibile nel centrosinistra perché, almeno per quanto riguarda la coalizione che rappresento, è stata fortemente inclusiva. Ne approfitto per smentire le affermazioni fatte dal candidato dell’Altra Faenza, Necki, il quale ha dichiarato in più occasioni che si è incontrato tre volte con me e che non ci sono state le possibilità di raggiungere un’intesa. Nego assolutamente che negli ultimi sei mesi, prima della loro candidatura, ci siano stati incontri col sottoscritto e non mi risulta che ci siano stati incontri specifici col segretario del PD. L’orientamento del PD è sempre stato fortemente inclusivo, tant’è che siamo gli unici che ci presentiamo con una coalizione di quattro liste. Per noi l’essere aperti è assolutamente un arricchimento dal punto di vista della democrazia, l’essere fortemente identitari non porta lontano. È chiaro che essere aperti e includere nella propria coalizione realtà anche differenti porta delle discussioni in casa, ma una democrazia è fatta di discussione e confronto e non deve temere questo.
Alcuni candidati hanno ricondotto uno scenario povero di contenuti e l’apatica politica del faentino anche alla gestione del PD faentino, capace, per usare un’efficace espressione di Alessio Grillini, di “narcotizzare Faenze”. Non creda che la prolungata gestione della cosa pubblica da parte di una certa area politica possa avere queste conseguenze?
Io credo che questo non sia attribuibile a una responsabilità del PD. Il PD è la realtà con il maggior numero di iscritti, con il maggior numero di attività sul territorio e incontro con la gente… ma aldilà di quello che fa il PD, io parlo di quello che fa l’attuale sindaco. Io mi sono sempre reso disponibile a partecipare a tutte le occasioni in cui si incontrano i cittadini, in maniera istituzionale e informale. Per quanto riguarda gli incontri istituzionali abbiamo attivato i quartieri come ambito privilegiato di incontro col territorio. Non so come si possa sostenere che il PD abbia narcotizzato la scena politica. Certamente c’è un quadro nazionale non difforme di quello locale di apatia della gente, per cui anche la voglia di partecipare e informarsi a una cerchia ristretta.
Cinque anni fa si è presentato agli elettori di centrosinistra come colui contro le logiche di partito, forte del concetto di rottamazione ancora agli albori al tempo. Oggi viene descritto da molti faentini e oppositori come maggiore rappresentante di un partito che in Emilia Romagna decide per sé e fa quello che vuole. Cosa è cambiato da allora? Si sa che chi governa perde consenso, ma come mai non è riuscito a conservare l’idea di politico fuori dalla logica partitica di cui si faceva forte allora?
Intanto l’altro giorno mi è venuto da sorridere nel leggere su un giornale che “il PD a Faenza è in mano a Giovanni Malpezzi”. Io sono tutt’altro che uno che ha in mano il partito: sono entrato nel PD da un anno. Vi assicuro che io sono impegnato a testa bassa sull’amministrazione e non sul partito. Il fatto che io, rispetto a 5 anni fa, faccia parte del PD nasce dal percorso politico che in questi cinque anni è avvenuto. Io ho sempre avuto come riferimento una figura politica, che è quella di Matteo Renzi. Nel momento in cui è diventato segretario del PD ed il partito, secondo me, ha assunto una visione che è consona alla mia, per coerenza mi sono sentito di poter entrare a pieno titolo all’interno di questa formazione politica, anche nella consapevolezza che in una democrazia non si può prescindere dal ruolo di un partito, perché i movimenti e le liste civiche sono certamente utili al rinnovamento della democrazia, ma poi bisogna consolidarla e avere dei riferimenti a livello nazionale. Peraltro per me questa non è un cambiamento di posizione, io ho sempre votato dal 2007 in avanti il PD.
Come giudica il livello di informazione a Faenza?
L’informazione della carta stampa, per la criticità della stampa, non vive certo un momento esaltante. Credo anche che la diffusione dell’informazione a mezzo stampa sia purtroppo molto limitata e questo incide sul livello di consapevolezza e informazione. C’è poi tutto quell’altro mondo di internet che credo arrivi a un numero di persone più ampio rispetto quelli che comprano il giornale in edicola e che soffre di limiti: troppo populismo, per avere i click bisogna alzare i toni e non facilita l’approfondimento.
Di chi è la colpa di tutto questo, in particolare nello specifico faentino?
Per quanto riguarda la crisi della carta stampa ci sono problematiche nazionale. Nello specifico faentino in questi anni per quanto riguarda la comunicazione a mezzo internet l’aver lasciato spazio ad un unico operatore ha prodotto questi effetti. Non credo però che lo specifico faentino sia diversa da altri territori, c’è un’atavica pigrizia dell’italiano medio nell’informarsi. È faticoso informarsi sulla politica o altri temi, come la finanza. Se si guarda al nord Europa ci sono ben altri livelli.
Noi abbiamo assistito ad alcuni dibatti come quelli di quartiere, giustissime aperture democratiche alla cittadinanza. L’impressione però è che con 9 candidati questo tipo di format non favorisca alcun tipo concreto di dibattito….
No. Arrivi lì e devi buttar giù tutti i tuoi slogan, non hai alcuna possibilità di motivare. Devi dire senza motivare.
C’è una soluzione per questo?
Bisogna che passi la campagna elettorale (ride, ndr). L’incontro con gli scout è stato il più bello per come l’hanno condotto e per la gente che era presente. Diventa fatica però anche nel loro dibatto in un minuto parlare delle politiche culturali.
È stato provato però a realizzare un format di tipo diverso al circolo Prometeo, ma non è stato possibile…
Hanno sbagliato in toto a selezionare. Quando mi hanno detto “escludiamo Forza Nuova perché il nostro statuto non ci consente di includere forze xenofobe” nulla da dire… poi salta fuori che ne escludono quattro: con che criterio? Siamo in par condicio…
2 PROGRAMMA – SERVIZI
Veniamo al programma. Anche nel suo programma uno dei punti fondamentali è quello della “Sicurezza”. Nel nostro blog da tempo stiamo cercando di portare avanti una riflessione su questa parola, tra sicurezza reale e percepita, vari tipi di sicurezza e l’importanza che hanno i media riguardo questa tematica. Non crede che si parli molto di sicurezza in campagna elettorale, ma poco di “legalità”, molto influente su questa tematica?
Sono convinto che se tiro fuori le 16 pagine del programma, nel punto sicurezza si declina anche il termine della legalità.
È chiaro che volendo semplificare i titoli dei temi si riconduce tutto a lì. Su questo tema l’approccio del centrosinistra, e della sinistra di Necki, è ben diverso da tutti gli altri. Io affronto il tema in un’ottica di sicurezza a trecentosessanta gradi. Non lo limito al tema del presidio del territorio, aumento delle forze dell’ordine, alla videosorveglianza… tutte cose certamente dovute. Ma se non si va alla radice del problema che genera insicurezza il problema non lo risolverai mai. Per me sicurezza parte dal concetto di legalità che presuppone il rispetto delle regole da parte di tutti. I nomadi sono un problema, ma non il problema di Faenza, anche loro devono rispettare il principio di legalità se vogliono provare un principio di integrazione sul territorio. Per me sicurezza si fa con l’integrazione. Quindi rispetto delle regole, intervento di carattere sociale, interventi di carattere urbanistico, limitando il degrado abitativo. Queste sono politiche che non si attuano dall’oggi al domani, però si devono porre le condizioni per cui queste condizioni si attualizzano. Io credo che anche l’ultimo strumento urbanistico adottato, il RUE, abbia criteri che favoriscono la sicurezza. Ci sono tredici criteri guida nella pianificazione urbanistica tutti tesi ad evitare che si creino insediamenti che generino rischi.
In una recente intervista su leggilanotizia.it, Alberto Morini, presidente della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza, ha proposto in prospettiva una fusione fra i comuni della Romagna Faentina. Tale atto sarebbe una conseguenza radicale dei processi di gestione sovra comunale dei servizi, già in atto da diversi anni. Condivide questa opinione? Che ruolo può avere Faenza nell’Unione dei Comuni della Romagna Faentina, e su quali temi lei scommetterà nei prossimi anni a tale livello?
Faenza ha già, e deve continuare ad avere, all’interno dell’Unione, un ruolo di guida. Questo non per presunzione, ma è un dato di fatto. Faenza è i due terzi dell’unione, come dimensione, numero di abitanti, risorse economiche. Il mio impegno è di continuare nei prossimi cinque anni a sviluppare questo modello organizzativo, trasferendo tutti i servizi che oggi sono in capo ai sei comuni all’interno dell’Unione, quindi tutti i dipendenti dei sei comuni diverranno dipendenti dell’Unione. Questo però non semplifica il quadro amministrativo perché l’Unione è un ente di secondo livello, sopravvivono i sei comuni con una serie di complicazioni di carattere amministrativo. L’ipotesi della fusione è in questi ultimi dodici mesi proposta da tanti livelli, come la regione. È chiaro che la fusione di comuni con poche migliaia di cittadini è più semplice… io non vedo all’orizzonte una fusione a sei. Credo però possa avere senso ragionare per ambiti geografici omogenei, fermo restando che sul territorio devono rimanere i servizi di prossimità del cittadino. Noi con l’Unione dei Comuni stiamo progettando un modello organizzativo che mantiene sui territori l’erogazione dei servizi (anagrafe, lavori pubblici, licenze) mediante degli sportelli polifunzionali. Sarebbero l’interfaccia finale della erogazione del servizio, mentre la produzione del servizio avviene a livello accentrato.
Asili nido. Il Consiglio Comunale di Faenza a febbraio ha approvato un odg in cui si impegna la Giunta, fra le altre cose, ad “avviare entro l’anno o nel prossimo anno scolastico un approfondito lavoro di analisi per valutare l’impatto del nuovo ISEE sui servizi e poter quindi studiare eventuali riduzioni delle rette”. Considerando che a Faenza possono avere accesso al nido solo circa 130 bambini, e che i richiedenti in passato erano più del triplo (poi calati negli ultimi anni), che cosa intende fare per potenziare l’offerta dei servizi educativi di primissima infanzia? In particolare Faenza si denota come la città con le rette più alte della provincia, sia per quella minima (103 euro), che per quella massima (630 euro). A Ravenna la minima è di 63 euro. Pensa di intervenire in questo settore nel prossimo eventuale mandato?
Siamo già intervenuti. È uscita una delibera martedì scorso che riduce la retta massima a 500 euro. Considera che può essere fuorviante guardare la retta minima o la retta massima, perché la retta massima la pagavano 9 persone (il 5%), la retta media a Faenza, se non ricordo male, è di 273 euro. Quella retta media copre il 17% del costo effettivo del servizio: per noi è un investimento. Però considerate che la retta copre una porzione così limitata del costo di erogazione. Noi siamo già intervenuti perché quella retta massima scoraggiava il ceto medio ad aderire a quel servizio. Questa è una discussione che stiamo facendo da mesi. In realtà solo una volta c’era un’eccedenza di domande con delle liste di attesa. Noi oggi ci troviamo con una scopertura del più del 20% dei posti disponibili, per quello dicevo e quindi si tiene i figli a casa. Siamo corsi al riparo riaprendo i termini di iscrizione e abbiamo abbassato la retta giù dal prossimo anno.
3 CULTURA – TURISMO – CENTRO STORICO
Si parla spesso di una Faenza in cui il turismo non è mai decollato. Quali sono le cause di questa situazione? E come valuta il tema “cultura” (spesso di secondo piano in campagna elettorale) all’interno della nostra città?
Il fatto che i movimenti turistici a Faenza non decollino (anche se in realtà nell’ultimo periodo “Faenza città d’arte” è quella che più resiste rispetto altri territori), avviene perché è un ambito dove il turismo è qui di passaggio. Tu vieni un giorno a Faenza, non fai il soggiorno. Ciò nonostante noi abbiamo investito parecchie risorse per qualificare le nostre opportunità anche culturali. Detto questo a me interessa anche l’investimento culturale per i faentini. Al di là delle fatiche di questi anni ritengo che di risorse ne siano investe, a partire della Biblioteca Manfrediana. Abbiamo garantito una fascia d’apertura notevole, poi ci sarebbe tanto da fare in biblioteca a partire dagli interventi di carattere edilizio: considerate però che quel contenitore costa alla comunità 600.000 euro l’anno. L’altro ambito è quello del teatro, con cui si fa cultura. E anche questo costa 550.000 euro l’anno tra i costi del contributo che versiamo al gestore, Accademia Perduta, e i costi diretti per la struttura. Penso sia un grande investimento, con più di 20.000 presenze l’anno per la stagione di Accademia Perduta. Poi di cultura si può parlare a livello di formazione. Anche qui si è investito tanto per l’alta formazione in ambito universitario con i tre corsi specialistici. Abbiamo istituito l’ITS, un corso post-diploma che va a dare una risposta a quella formazione in materia ceramica che era venuta a mancare con la fine dell’Istituto d’Arte e la creazione del Liceo Artistico, dove non si fanno più laboratorio.
Ha parlato prima della Biblioteca. Ci spostiamo adesso Case Manfredi. La sua amministrazione è intenzionata a vendere questo importante immobile. Ci sono già idee per possibili vendite, dato che l’edificio è in pessimo stato e a rischio crolli?
C’è già un’idea. M fa sorridere chi dice che sia sbagliato vendere e che dovrebbe intervenire direttamente. Sì, potendolo sarebbe preferibile, ma in questi anni, e anche prima, non ci sono state le condizioni. Questa è una partita particolarmente impegnativa, stiamo parlando di alcuni migliaia di metri quadrati in centro storico con costi di ristrutturazione particolarmente rilevanti. Il Comune è pronto nelle prossime settimane per pubblicare un bando per un’operazione che leghi Case Manfredi con il recupero del Palazzo del Podestà. In pratica noi abbiamo due contenitori che se non facciamo questa operazione rischiamo di perdere entrambi. Non che Palazzo del Podestà crolli, ma già abbiamo avuto grossi problemi per allagamenti d’acqua… mentre per quell’altro il rischio di crollo non è domani, ma dopodomani si. C’è poi un altro aspetto. Se qualcuno pensa di recuperarlo per poi gestirlo come contenitore pubblico forse oggi si trovano le risorse, ma poi l’immobile va gestito con costi di personale e di servizio. Margini per maggiori spese, se non cambia il vento, non ci sono. Già oggi la Biblioteca Manfrediana fa fatica a garantire la fascia oraria per le quattro sezioni. Chi gestirebbe poi questi spazi?
Perché il centro storico è ritenuto un elemento ancora così importante per la città? E quali sono invece i motivi per cui il faentino-medio non lo frequenta più? Riteniamo che solo capendo le cause sia possibile trovare efficaci soluzioni.
Questo è il ritornello: “a Faenza il centro storico è morto”. Perché invece se parlo con un forlivese mi dicono “beati voi che avete un centro storico vivo”. La verità sta sempre in mezzo. C’è sicuramente un aspetto di individualismo. Non è la piazza, inteso come luogo aperto, il luogo della socializzazione. Penso che sia anche l’effetto di un mutamento culturale, cosa diversa da chi viene da altre culture dove la piazza è il luogo della socializzazione. Però non è sempre così. Prova a pensare cos’è il nostro centro storico in quei tre mesi, da giugno a settembre, dove c’è un martellamento di iniziative. Faenza non è morta. L’importante è valorizzare il centro con attività organizzato dal pubblico e operatori. Tante volte si organizzano eventi ma poi i bar e locali sono chiusi. Si investono le risorse ma non si colgono le opportunità. Dovremmo tutti concorrere per vitalizzare il centro storico.
4 GIOVANI E SPORT
La disoccupazione giovanile rimane molto alta. Il Comune può fare qualcosa di concreto per questa problematica? Strutture come l’Informagiovani o il Centro per l’impiego possono essere potenziate?
Io non credo che sia carenza di questo tipo di strutture. Che si debba migliorare l’attività del centro per l’impiego può anche essere, dato che riesce a collocare circa il 3% degli iscritti, ma non credo sia per inefficienza degli addetti. Io dico piuttosto che, come ente locale, noi dobbiamo cercare di favorire un incontro tra il nostro tessuto produttivo e quello della scuola. In tanti casi c’è scollamento tra offerta formativa e mercato del lavoro. Io le esperienze più virtuose a livello scolastico le ho viste quando il mondo delle imprese è stato vicino alla scuola, come nel caso dell’ITIS. C’è un’integrazione forte col mondo delle aziende. Questo ruolo va favorito anche negli altri ambiti scolastici. Altro aspetto è investire risorse per offrire attività formative per il territorio, come l’ITS di cui ho parlato prima. Restando sul tema dell’occupazione noi vediamo all’orizzonte un ambito privilegiato, non per fare di Faenza un distretto come in altri territori (Faenza ha la fortuna di avere una pluralità di ambiti produttivi che ha fatto sì che nella fase di crisi l’impatto fosse meno devastante che altrove), però si sta formando un ambito particolarmente consistente nella lavorazione della fibra di carbonio nato attorno alla RIBA, oggi assorbita all’interno del gruppo Bucci. Si sono creati una serie di spin-off che possono fare di Faenza un polo importante per la lavorazione del carbonio, e quindi ci vogliono ingegneri ma anche maestranze. Abbiamo degli ambiti di sviluppo a disposizione per questo come il contenitore dei Salesiani che è evoluto in questi mesi, grazie agli investimenti della Fondazione Banca del Monte, in un pre-incubatore di impresa. Il Comune può accendere la miccia, questo è il nostro ruolo.
Al momento a Faenza lo zenit sportivo è rappresentato dai Raggisolaris (che oggi dovrebbero trovare la matematica promozione in in serie B, la terza categoria a livello nazionale, ndr.), dietro ci sono tante società a gestione totalmente dilettantistica, magari con le idee ma senza i soldi per svilupparle. Se venisse eletto, come pensa di poter aiutare le società a crescere?
Noi abbiamo più di 140 società sportive che coprono l’intero arco delle discipline olimpiche e non solo, e questo è certamente un bene. Il numero di faentini tesserati, qualche anno fa, era di 18.000 persone. Fino a cinque anni fa l’amministrazione comunale sosteneva, chi più e chi meno, le società sportive con contributi di carattere ordinario. Oggi la possibilità di erogare sostegni sulla gestione corrente delle società sportive è improponibile. Noi investiamo importanti risorse in convenzione con le associazioni che si rendono disponibili a gestire gli impianti sportivi. I soldi che sono sul capitolo sport vanno principalmente per dare le possibilità a società sportive che lo vogliono di gestire gli impianti. Fra l’altro abbiamo esempi virtuosi di società che, finanziandosi, hanno ampliato le strutture e producendo attività occupazionale. Lo sport non è business, ma deve essere gestito in maniera professionale.
A proposito delle strutture: Malpezzi nella sua gestione ha ampliato la piscina. Cosa si prevede invece per gli altri sport, quelli più di tradizione a Faenza? In particolar modo cosa pensa di fare per rendere ‘vivibile’ il PalaBubani, ad oggi omologato per soli 99 posti e che durante l’inverno ha dato nuovi gravi segni di decadimento? Il PalaCattani ha caratteristiche che non lo rendono fruibile alle piccole società, le altre palestre sono quasi tutte non omologabili per la pallacanestro, il futsal e la palla a mano.
Sul PalaCattani il comune spende 144.000 euro l’anno come contributo al gestore che lo gestisce. È vero che ha dei limiti per cui non tutte le attività possono essere svolte lì dentro. Sul PalaBubani, che è una partita grossa (stiamo parlando di una somma di 700.000 euro per metterlo a norma), bisogna dire che non ha dei problemi di carattere strutturale, al di là delle strumentalizzazioni perché era caduto un calcinaccio: non ci piove dentro al PalaBubani. Il problema grosso sono le vie di fuga. L’agibilità ce l’ha per 99 persone perché le vie di fuga devono avere una determinata ampiezza in ragione di quante persone devono fuggire. Per poterlo riportare alla capienza, devono essere realizzate delle scale esterne con costi importanti. Abbiamo definito un percorso triennale per poter fare questi interventi, ma il più urgente è sull’impianto elettrico. In questa fase il PalaBubani può essere tranquillamente usato come palestra, ma non come palazzetto.
Sembra che Faenza abbia una scarsa tradizione per quanto riguarda i fondi europei. Spesso non si attinge a questa risorsa per incapacità. E spesso vengono tirati in ballo per la ristrutturazione di alcune strutture, come la Scuola Media “Europa”. C’è un’effettiva problematica in tal senso? E nel caso come risolverla?
Si può sempre dire tutto e il contrario di tutto. Io contesto il fatto che il Comune non sia in grado di ottenere i fondi europei. Noi in questi anni ne abbiamo ricevute di risorse importanti dei fondi europei tramite la regione e la provincia. Nel mio mandato la ristrutturazione del centro fieristico sono fondi europei. Via Canal Grande (la pista ciclabile, ndr) sono fondi europei, arrivati tramite la regione, per la qualità dell’aria. Non è vero che non ci siamo portati a casa dei fondi europei. Se uno pensa che dall’Europa ti arrivi un milione di euro per ristrutturare quel palazzo lì non sa come funzionano i fondi europei. L’Europa ti dà fondi per progettazione, comunicazione, ma difficilmente ti dà soldi per le strutture. Noi stiamo seguendo un filone sulla mobilità sostenibile.
5 AMBIENTE – EMERGENZA ROM – DIRITTI CIVILI
L’impianto di termovalorizzazione: reale problema o materia di campagna elettorale? Può spiegare ai nostri lettori qual è il reale problema riguardo Enomondo?
Io sono assolutamente convinto che la campagna elettorale enfatizzi le situazioni e distorca le informazioni. Noi stiamo parlando della sostituzione di tre caldaie, di cui una risale agli anni ’80, con un’unica caldaia più efficiente. È chiaro che produca più energia rispetto le altre. Io credo che impedire ad un’impresa di aggiornare il proprio impianto produttivo per questioni ideologiche sia la cosa più miope. C’è una regola ben precisa: non si possono fare interventi su questi impianti se producono un aumento delle immissioni in atmosfera, perché il nostro territorio ha già raggiunto un livello limite. Ogni successivo intervento deve portare a una riduzione. Questo sostituzione di caldaie di Enomondo genera, dal terzo o quinto anno in avanti, una riduzione di immissioni in atmosfera. Per me è miope impedire questa cosa lasciando lo status quo. Se pensi che l’imprenditore possa fare un investimento per aggiornare i propri impianti se non ottiene un vantaggio economico, non sai come funziona un’impresa. Noi siamo di fronte all’alternativa: o aggiorniamo i nostri impianti producendo un miglioramento ambientale, o lasciamo le cose come stanno non raggiungendo l’obiettivo. Se non fossimo in campagna elettorale se ne parlerebbe più serenamente. Io ho solo posto delle condizioni: che quella regola di non incremento di immissioni sia effettivamente rispettata, e se non è così è la legge stessa che non lo consente di fare. Tant’è che, da quel che mi risulta, il procedimento adesso è fermo perché dovrà essere oggetto di una valutazione di impatto ambientale particolarmente complessa. È inutile che pretendano dal sindaco una valutazione sugli aspetti tecnici. Io ti do una valutazione di carattere politico. Se gli aspetti tecnici sono rispettati, politicamente io non posso che dire che sarebbe sbagliato non consentire questa cosa. Fermo restando che la competenza del comune è di carattere urbanistico e edilizio.
C’è anche una problematica legata ai numerosi camion che arriveranno a Faenza…
Nella relazione tecnica sono indicate 6 o 7 al giorno. Quello che ha scritto l’impresa sarà sottoposto a verifica tecnica dei soggetti competenti. Io sto agli atti.
Per quanto riguarda l’emergenza nomadi, avete siglato una convenzione con la Fondazione Romanì che ha iniziato ad operare nel nostro territorio. Secondo lei le associazioni di volontariato locali possono avere ancora un ruolo nel risolvere queste problematiche?
Le associazioni devono avere un ruolo, perché la Fondazione Romanì svolge una funzione di affiancamento progettuale, ma non avrà la possibilità di gestire il problema. Nel confronto che ho avuto con Nazareno Guarnieri (il presidente della fondazione, ndr) era evidente come fosse necessario in questo percorso il coinvolgimento delle associazioni. Io credo che sia assolutamente necessario il rapporto con le realtà del territorio disponibili ad impegnarsi nell’ambito Rom. Non vedo come sia possibile escludere a regime la Papa Giovanni o la Caritas… anche perché al di là del Teatro due Mondi voglio vedere chi sono gli altri soggetti disposti a sporcarsi le mani su questa tematica. Probabilmente qualcuno ha sbagliato in passato, ma penso sia un errore bollare un’associazione. Ci possono essere delle persone di quella associazione che hanno mal interpretato un ruolo o sbagliato, ma mettere alla porta un’associazione che, al di là dei nomadi, si fa carico di tante altre povertà, dalla prostituzione ai disabili… mi dà fastidio quando sento queste sparate.
Sempre su questo ambito, quale è il suo giudizio sulla realtà che si è venuta a creare da Don Luca nella Parrocchia di S.Savino? Come si inserisce questa esperienza nel rapporto tra la legalità e il concreto sporcarsi le mani per risolvere questi problemi?
È un progetto del consiglio pastorale, non del singolo parroco. È chiaro che quello non può essere il futuro, come detto dalla Fondazione Romanì. Quella può essere una situazione di carattere emergenziale e transitoria, e così è e così sarà. È chiaro che bisogna trovare una collocazione abitativa per queste persone. Qualcuno dice “perché non ci pensa il Comune alla soluzione abitativa? Allora, il Comune è ente pubblico e deve agire nel rispetto della parità di trattamento. Gli alloggi pubblici vengono assegnati su un regolamento e su dei punteggi. Al di fuori di questa par condicio, pensare che il Comune prenda una casa e la dia ad un nomade solo perché è nomade non è pensabile: ci facciamo massacrare. Continuano a bersagliarmi perché una nomade è ospite in un appartamento di emergenza in via Corbari insieme con altre due donne di altra etnia (quindi non è un appartamento per gli zingari, è un appartamento per donne in stato di emergenza). Io credo che qui il pubblico debba lavorare a fianco della comunità, associazioni, mondo ecclesiale… bisogna che anche questi mondi si facciano carico, mettendo a disposizione loro degli spazi. A Verona, dove il problema nomadi era molto più grave, Tosi ha cercato il rapporto con il terzo settore per trovare gli immobili da fornire. Guarda caso a Verona ci ha lavorato la Fondazione Romanì. Io credo sia questa la strada.
Sono passati alcuni mesi dall’approvazione di quel famoso odg sulla “famiglia naturale”. Dopo il grande dibattito dei mesi scorsi, volevamo sapere quale è lo stato dell’arte sul tema del registro delle unioni civili? E dopo tanti mesi quale è la sua riflessione su quello che è successo?
Al di là delle strumentalizzazioni (eravamo alle vigilie della campagna elettorale e delle possibili primarie) io riaffermo il fatto che un’amministrazione lungimirante deve poter promuovere il valore della famiglia, che non significa con questo criticare o essere omofobo o oscurantista. Noi abbiamo uno dei tassi di natalità più bassi del mondo occidentale. Al di là che potesse essere scritto male (ci si riferisce al documento presentato nell’odg del 15 dicembre 2014 proposto da Forza Italia e votato da mezzo PD “a difesa della famiglia naturale”, ndr), al di là che il primo odg proposto da Forza Italia sia stato approvato senza dibattito e in un momento di affaticamento di tutto il Consiglio, quell’odg aveva come focus la promozione della famiglia. Il termine “omosessuale” manco era citato. Dopo si è scatenato il resto. Sul tema omosessualità io sono allineato con quella che è la posizione del disegno di legge oggi in discussione e che è in agenda dopo le amministrative. Io sono convinto che in uno stato evoluto occorra regolamentare questi aspetti delle unioni fra persone dello stesso sesso. Ci sono aspetti di carattere patrimoniale, assistenziale… ma anche nelle unioni non omosessuali c’è lo stesso problema. È chiaro che queste cose vanno regolamentate. Ma io non sono d’accordo di omologare, usando il termine “matrimonio” o “nozze”, quando siamo di fronte a due persone dello stesso sesso, perché per me il matrimonio implica qualcosa di legato alla procreazione. Poi che sia un matrimonio non fecondo o che si vada verso l’adozione, per me nel matrimonio c’è la centralità del ruolo dei figli e credo che in un unione omosessuale non sia ipotizzabile l’adozione di figli, perché i figli devono avere un riferimento sia in ambito paterno che materno. So bene che quello che dico da alcune parti sia criticabile, ma io sono convinto.
Perché lei sindaco?
Perché ho dimostrato in cinque anni impegno, serietà e concretezza. Al di là dei facili slogan di campagna elettorale, nei fatti, credo di aver dimostrato che la città, con l’aiuto di tutti coloro che insieme a me hanno contribuito a gestirla, siamo stati in grado di gestirla in una fase storica difficile e particolarmente complicata.
A cura si Samuele Marchi e Alberto Fuschini
APPROFONDIMENTO
Il sito della Fondazione Romanì