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Decreto sicurezza o ‘Decreto umiliazione’? Le riflessioni dell’incontro diocesano

Tratto da ilPiccolo – venerdì 14 dicembre 2018

Riflettere sul significato delle parole per leggere nella maniera corretta la realtà dei fenomeni migratori; ed è stata la parola ‘sicurezza’ al centro della riflessione della serata “Siamo sicuri” organizzata dalla diocesi di Faenza-Modigliana lunedì 10 dicembre scorso al complesso ex Salesiani. Se n’è parlato con Maurizio Veglio, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione, e con mons. Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e già direttore di Migrantes.

Quanto c’è veramente della parola ‘sicurezza’ nel cosiddetto Decreto? Rendere più difficile ai richiedenti asilo restare in Italia – come vuole il Decreto diventato legge il 4 dicembre scorso – togliere loro lo status di protezione internazionale, risparmiare sulla gestione della loro presenza in Italia, anche a costo di peggiorarne le condizioni di vita ha senso per avere un impatto positivo sulle comunità? Oppure sono possibili delle alternative?

Mario Toso: “La sfida è armonizzare i diritti di chi è accolto con i diritti di chi accoglie”

Ad aprire la serata le parole di mons. Mario Toso, vescovo della diocesi: «Questo incontro, dal taglio pastorale, non vuole rimanere nel campo dell’astratto – ha spiegato – ma vuole indicare anche delle strategie di azioni concrete. I politici – prosegue Toso – hanno il compito di armonizzare con ‘prudenza’, nel senso più nobile di questa parola, la richiesta dei diritti di chi è accolto e di chi accoglie, e da questa prospettiva vogliamo leggere gli effetti che porterà questo Decreto».

Dal corretto uso dei termini all’azione concreta di cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione: questi i passaggi chiave indicati dai relatori sulla base di quanto indicato precedentemente da mons. Toso. Insurrezione linguistica, disobbedienza civile, promozione di un’accoglienza diffusa: azioni concrete per non restare nel limbo della superficialità imposto dal flusso dei media.

Maurizio Veglio: “Siamo chiamati a un’insurrezione lessicale”

«Usare in maniera consapevole il lessico è fondamentale quando si parla di questo tema – ha spiegato l’avv. Veglio – Oggi infatti siamo tutti chiamati a un’insurrezione lessicale, cambiando i concetti distorti che ormai alcune parole contengono come ‘clandestino’ o ‘migrante’, associati ad altre parole come ‘criminale’. In questo senso, per me sarebbe preferibile chiamarlo ‘Decreto umiliazione’ per come verranno lesi i diritti di migliaia di persone. Stiamo infatti umiliando giuridicamente persone che non vogliono stare in Italia e le vogliamo punire per essere capitate qui. Chi viene trovato senza passaporto ora subirà una detenzione amministrativa in assenza di reato: una persona viene così privata della propria libertà giuridica solo perché non ha passaporto e questo trattenimento può prolungarsi nei centri di permanenza per rimpatrio fino sette mesi, dove subiscono una vera mortificazione della dignità umana».

Maurizio Veglio ha poi esposto una cronistoria del fenomeno migratorio degli ultimi anni, focalizzandosi in particolare sugli aspetti giuridici. Il vero punto di svolta non è avvenuto però con la legge 132/2018, il cosiddetto ‘Decreto sicurezza’, ma con il precedente Decreto Minniti. «Si sente spesso usare slogan che parlano di un’Italia invasa – prosegue Veglio – ma l’Italia per la maggior parte di questi migranti è solo una terra di transito, non di arrivo, e molti di loro vorrebbero in realtà lasciare l’Italia il prima possibile, cosa che ora sarà ancora più difficile fare. L’Italia è un paese che demograficamente ed economicamente invecchia e si impoverisce. Questa legge è dunque una risposta a una domanda mai posta e creerà delle persone in balìa della malavita». «Non si parla poi molto – conclude Veglio – del rapporto con Paesi a controllo preventivo, come Turchia e Libia, a cui come Ue diamo miliardi di euro. In particolare il 2 febbraio 2017 Minniti ha sottoscritto un accordo che definirei agghiacciante con il governo di Tripoli per arginare il flusso di migranti irregolari. La Libia è un paese diviso il cui stato di diritto è sostituito dalla regola delle armi e dove sono insediati veri e propri campi di detenzione illegali. L’uso delle parole in questo caso è importante: Minniti parla di ‘migranti irregolari’, l’essere umano in quanto tale, e non il ‘flusso’, diventa dunque un soggetto illegittimo. È una politica che crea un genere umano a numero chiuso».

Giancarlo Perego: “L’accoglienza diffusa funziona, mettere 150 migranti in un unico spazio invece è fallimentare”

Sulla stessa linea l’intervento di mons. Giancarlo Perego, che ha sottolineato le tante parole assenti dal Decreto sicurezza: «Questa legge non dovrebbe chiamarsi Decreto sicurezza perché non tutela persone e non costruisce le condizioni per tutelare dignità umana. Sembra un testo che arriva in un paese che è diverso dal paese reale, e quando questo avviene non è legge, ma fantasia o ideologia. Dove sono le parole, indicate anche dal Papa, come ‘accoglienza’, ‘tutela’, ‘inclusione’?».

Sulla base di numerose storie di successo, mons. Perego ha illustrato quelle che per lui sono le basi per garantire una sicurezza effettiva e non apparente: il lavoro, la famiglia, la scuola; attraverso una progettualità che non sia assistenziale ma che anzi, punta proprio sull’impegno della persona accolta. «Il primo elemento su cui puntare è avere lavoratori non sfruttati ma che anzi, garantiscano allo Stato il proprio contributo. In tanti settori, dall’agricoltura al sociale, c’è bisogno di manodopera, a volte anche qualificata, che al momento solo i migranti riescono a garantire. Poi c’è il tema famiglia: in Italia il ricongiungimento famigliare avviene in media in otto o nove anni, siamo i peggiori in tutta Europa, quando sappiamo benissimo che la famiglia rappresenta un aspetto positivo per garantire sicurezza. Nel Decreto sicurezza non c’è una riga a tutela della vita e nulla per contrastare l’abbandono scolastico. Un ragazzo che non va a scuola entra in un circolo di delinquenza, mentre sono da incentivare borse di studio e promozione del servizio civile per fargli sentire parte della comunità».

«La nostra sicurezza non passa dall’avere un centro di permanenza dove umiliamo le persone – conclude Perego – ma attraverso l’accompagnare queste persone a inserirsi in un territorio. Tutto questo manca, mentre invece in passato e ancora oggi sono numerose le storie positive di un’accoglienza diffusa: mettere 150 migranti in grandi centri nello stesso quartiere non crea un impatto positivo né per chi è accolto né per chi accoglie».

I disegni realizzati nel corso della serata da Giona Dapporto hanno accompagnato l’incontro: parole e immagini per ridare valore a termini che maneggiamo troppo spesso in maniera superficiale, quando ci dimentichiamo che dietro la parola ‘clandestino’ c’è sempre un volto il cui unico reato, a volte, è quello di essere costretto a cercare il proprio futuro lontano da casa.

Samuele Marchi 

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