Il valore dell’inclusione a scuola: un confronto con l’associazione faentina “A mani libere”
“Includere” è una bella parola che deriva dal latino e significa “chiudere, serrare dentro”. Fa pensare a qualcosa di prezioso che va custodito. È esattamente questo il senso dell’inclusione dei ragazzi con disabilità nella scuola. Abbiamo voluto approfondire questo tema con chi convive con questa parola tutti i giorni perché è parte integrante della vita dei loro figli. Quindi abbiamo chiesto a Enrico Savorani, presidente dell’associazione A mani libere Faenza, in collaborazione con Autismo Faenza, di raccontarci la scuola dal punto di vista di genitore di una bambina con disabilità.
Intervista a Enrico Savorani
Prima di parlare di scuola, quando è nata la vostra associazione e di cosa si occupa?
“A mani libere” nasce nel 2016 con l’obiettivo di rispondere a una richiesta precisa: ascoltare i genitori con bambini e ragazzi disabili. Cerchiamo di finanziare i percorsi formativi che permettono di migliorare la qualità della vitadella famiglia, ad esempio attraverso un percorso psicoeducativo e logopedico. La vita di una famiglia che riceve una diagnosi di autismo o di altra forma di disabilità cambia in modo netto ed è fondamentale poter iniziare un percorso che faccia crescere l’autonomia dei ragazzi. In particolare abbiamo un progetto che si chiama “La Chiocciola”, in collaborazione con Autismo Faenza, che insiste proprio sulle competenze sociali e di base, prima fra tutte la comunicazione, che è una delle capacità più complesse da acquisire in una persona autistica.
La comunicazione è un aspetto centrale anche nella vita scolastica. Come si comunica senza parole?
A volte la parola non compare, però ci sono anche altri modi per comunicare. Ad esempio ci sono linguaggi con immagini. Prima si creano associazioni con le immagini degli oggetti dei ragazzi, poi si generalizza creando associazioni con immagini generiche degli oggetti principali con cui si comunica. Infine si arriva a un vero e proprio linguaggio di simboli che permette di costruire delle frasi e leggere libri. Questo permette di svolgere i compiti in autonomia e soprattutto di aprirsi alla parte sociale, di interagire con gli altri. Le cose che un bambino impara dagli altri bambini contano tantissimo.L’apprendimento spontaneo dai pari è molto più consolidato. Quindi l’inclusione è un aspetto centrale, ma è necessario che la famiglia per prima si metta in gioco, senza vergognarsi della propria situazione e dei bisogni del proprio bambino. Proprio per questo la relazione tra scuola e famiglia è importantissima.
Dunque la scuola occupa un ruolo centrale nella vita di un ragazzo autistico?
Assolutamente sì, è fondamentale. È molto importante che la scuola si prepari con la famiglia. La scuola è la prima occasione di inclusione vera. È il primo momento in cui un bambino entra in contatto con le regole, con gli amici. Siamo contenti della grande partecipazione degli insegnati agli eventi di formazione che come associazione abbiamo organizzato, perché hanno un ruolo fondamentale. In classe ci sono le insegnanti di sostegno e le educatrici di cooperativa, ma non coprono tutte le ore di lezione e quindi è necessario che l’insegnante di classe non deleghi la competenza e la responsabilità solo a chi si occupa di sostegno, ma si formi continuamente. Anche perché la classe è un gruppo unico.
Che cosa ha comportato la chiusura delle scuole dello scorso marzo?
La Dad non è assolutamente efficace per un bambino autistico. Viene meno il contatto che è fondamentale per mantenere la sua attenzione. Poi venendo meno la parte sociale si bloccano tutti i processi di socializzazione. Per fortuna è stato poi riconosciuto loro il diritto di frequenza in presenza e insieme a loro possono andare a scuola anche i compagni di classe, proprio per tutelare l’aspetto sociale.
Che definizione può dare questa associazione della parola “educazione”?
Educare significa insegnare che siamo tutti diversi e che la diversità va accettata e compresa. E questo avviene attraverso la cooperazione e il rispetto degli altri. Quando i ragazzi collaborano tra loro, quando il più bravo insegna qualcosa a chi fa più fatica, ciò che si impara vale di più. E da genitore ho notato che in una classe con un bambino autistico anche gli altri compagni imparano tante cose, non hanno atteggiamenti di bullismo e sono più maturi e responsabili.
A cura di Maria Letizia Di Deco