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Gabriele Albonetti e Storia di Faenza: “Un libro coraggioso”

Sarà presentato alle ore 10.30 di sabato 1° dicembre 2018, nella sala consiliare di Faenza, il libro “Storia di Faenza”, edito da Il Ponte Vecchio a cura di Gabriele Albonetti. Per questa pubblicazione sono stati coinvolti sette giovani ricercatori, che hanno realizzato i vari capitoli capitoli del libro che racconta le vicende di Faenza dalla preistoria al Duemila.

Gabriele Albonetti è stato presidente della Provincia di Ravenna per otto anni e parlamentare per tre legislature. Per il Ponte Vecchio ha pubblicato L’acqua e le rose, storia di Veniero Lombardi sindaco di Faenza negli anni ’70. In questa intervista, ripercorriamo con lui le motivazioni che hanno portato alla nascita di questo volume e del valore che rappresenta per comprendere meglio il nostro presente.

Intervista a Gabriele Albonetti, curatore di Storia di Faenza

Storia di Faenza (Il Ponte Vecchio, 2018).

Com’è nata l’idea di realizzare questo libro?

L’editore Il Ponte Vecchio, con il decisivo supporto del Conad, ha pubblicato negli anni scorsi le Storie di altre città romagnole (Cesena, Rimini, Forlì e Ravenna). Mancava la Storia di Faenza: occorreva che qualcuno si facesse carico di organizzare l’opera, scriverla in parte e coordinare il lavoro. Mi è stato chiesto di fare questo e, dopo una prima esitazione, mi sono messo alla ricerca dei compagni di avventura, che mi sono stati indicati da chi, operando presso la Biblioteca Manfrediana, conosce tutti i ricercatori che la frequentano. Ho scoperto un mondo di giovani di grande valore.

Quali sono le novità più importanti di questa pubblicazione?

Intanto l’opera in sé, che colma un vuoto. Una storia generale di Faenza dalle origini ad oggi non esisteva da 110 anni: l’ultima è il famoso “Messeri e Calzi” del 1909, il cui racconto si ferma al 1861 e che è ormai introvabile se non a prezzi di antiquariato librario. La nostra storia arriva fino oltre il 2000 ed è scritta con un taglio divulgativo e uno stile narrativo che si rivolge ad un universo di lettori ampio e non specialistico. E’ costruita con pagine “mosse”, con molte finestre ricche di curiosità e molte fotografie, alcune delle quali a colori, ma questo senza rinunciare al rigore documentale. E’ anche una bella edizione di 480 pagine in carta patinata che ha il pregio di essere alla portata di tutte le tasche grazie al sostegno finanziario di Conad.

Per questo importante libro hai scelto di coinvolgere giovani ricercatori. Cosa ti ha spinto a questa decisione?

Abbiamo fatto una scelta che qualcuno potrebbe considerare azzardata ma che è stata semplicemente coraggiosa e si è rivelata vincente. Coraggiosi sono stati anche i giovani storici che hanno accettato di partecipare con me all’impresa, ma hanno dimostrato (e chi avrà la bontà di leggere il libro se ne accorgerà) di saperci fare e di conoscere archivi e documenti, e le nuove tecniche di ricerca, più di tanti storici affermati. Io stesso ho imparato molto da loro, in quest’anno di intenso lavoro, nel quale oltre a proporre alcuni fili conduttori del nostro racconto, ho cercato di rendere la narrazione il più uniforme possibile, ma anche di suggerire qua e là degli approfondimenti e degli stimoli. L’opera che ne è uscita non è un generico assemblaggio di ricerche individuali, ma è davvero un’opera collettiva, costruita collegialmente, con un impianto coerente. E’ una Storia della città che non può mancare nelle case di ogni faentino.

Che valore pensi abbia la conoscenza del passato, del proprio passato, ai giorni nostri?

Io non so se valga ancora il vecchio detto che “la Storia è maestra di vita”, anche molti storici oggi ci credono poco. Ma c’è una frase, scritta su un muro ad Auschwitz, di George Santayana, filosofo e saggista spagnolo, che recita “coloro che non ricordano il passato sono destinati a ripeterlo”. Temo che sia drammaticamente vero e mi preoccupa l’assoluta noncuranza con cui sembra proporsi, anche da parte di persone che hanno grandi responsabilità, di ridurre le ore di insegnamento della storia nelle scuole italiane. La rimozione di un passato fastidioso non aiuta a diradare l’oscurità e l’incertezza in cui è avvolto il futuro e così ci troviamo sempre più immersi in un eterno presente.

Dal passato al futuro: su cosa pensi debba puntare Faenza nei prossimi anni per arricchire, in maniera positiva, la propria storia?

Certamente sulla conoscenza, sulla tecnica e sulla cultura, intesa come capacità delle nuove generazioni di capire e modificare il mondo, evitando di chiudere gli occhi di fronte alle paure e sapendo affrontare a viso aperto le sfide inedite che lo svolgersi della nostra storia ci proporrà. Io penso che i ragazzi che hanno scritto con me questa storia, e i loro coetanei, siano pronti a prendere in mano il futuro e in grado di migliorarlo. Naturalmente sappiamo tutti che la crescita culturale di una comunità da sola non basta: occorre anche un po’ di benessere sociale e di economia che funziona. La Germania degli anni Trenta aveva una cultura raffinatissima, ma la gente non aveva da mangiare e così nacquero i mostri e si generò la barbarie.

Storia di Faenza: approfondimenti

Presentazione del volume 

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