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‘La Classe’ in scena al Masini, Claudio Casadio: “Protagonista è l’energia dei giovani”

Una pièce sul disagio giovanile contemporaneo tra conflitti e riscatto sociali che vede al centro dell’azione un professore che, alla sua prima esperienza professionale, si trova di fronte una classe di studenti difficili, ragazzi giovani e arrabbiati che vivono ai margini della società. Dopo il recente debutto alla Sala Umberto di Roma, dove lo spettacolo è andato in scena con successo di pubblico e critica per ben due settimane di repliche, giunge al Teatro Masini di Faenza La Classe, nuova co-produzione di Accademia Perduta/Romagna Teatri, Goldenart Production e Società per Attori.

La Classe è un testo del giovane drammaturgo Vincenzo Manna, interpretato da Claudio Casadio, Andrea Paolotti, Brenno Placido, Edoardo Frullini, Valentina Carli, Haroun Fall, Cecilia D’Amico e Giulia Paoletti, con la regia di Giuseppe Marini. Lo spettacolo, in scena mercoledì 28, giovedì 29 e venerdì 30 novembre alle ore 21 per la rassegna di Prosa 2018/19 del Masini, è realizzato in collaborazione con Tecnè, con Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale e con Phidia e vanta il sostegno di Amnesty International Sezione Italia. Claudio Casadio, Andrea Paolotti, Brenno Placido e gli altri attori della pièce saranno inoltre protagonisti dell’Incontro con gli Artisti che si terrà giovedì 29 novembre alle ore 18 presso il Ridotto del Teatro Masini (l’ingresso all’incontro è gratuito).

Il racconto di un professore a confronto con il disagio giovanile

Albert, straniero di terza generazione intorno ai 35 anni, laureato in Storia, viene assunto all’Istituto Comprensivo nel ruolo di professore potenziato: il suo compito è tenere per quattro settimane un corso di recupero pomeridiano per sei studenti sospesi per motivi disciplinari. Dopo anni in “lista d’attesa”, Albert è alla prima esperienza lavorativa ufficiale. Il preside dell’Istituto gli dà subito le coordinate sul tipo di attività che dovrà svolgere: il corso non ha nessuna rilevanza didattica, serve solo a far recuperare crediti agli studenti che, nell’interesse della scuola, devono adempiere all’obbligo scolastico e diplomarsi il prima possibile. Tuttavia, intravedendo nella loro rabbia una possibilità di comunicazione, Albert riesce a far breccia nel loro disagio e conquista la fiducia della maggior parte della classe. Abbandona la didattica suggerita e propone agli studenti di partecipare ad un concorso, un “bando europeo” per le scuole superiori che ha per tema “I giovani e gli adolescenti vittime dell’Olocausto”. E a questo punto la trama si evolve in maniera imprevedibile… per conoscere un po’ di più il dietro alle quinte di questo spettacolo abbiamo intervistato Claudio Casadio, condirettore artistico di Accademia Perduta e uno dei protagonisti di La Classe. 

Intervista a Claudio Casadio, il preside de La Classe

Claudio Casadio, dopo essere stato un feroce colonnello argentino in Mar del Plata, che ruolo avrai in questo spettacolo?

La gente odiava il mio personaggio in Mar del Plata e questo, lo ammetto, mi faceva soffrire un po’. In questo nuovo ruolo sono invece un preside ex professore. Ha già passato attraverso diverse esperienze con gli studenti e sa bene come sono e come si comportano, sia individualmente sia in gruppo. In tre brevi monologhi definisce la classe “un branco di galline” ed esprime questo concetto in maniera poetica, pur utilizzando un linguaggio pratico e disincantato. È un personaggio che mi ha consentito di infondergli diverse sfaccettature: lo sto amando abbastanza.

Rispetto a Mar del Plata, quali sono le similarità e le differenze di questo spettacolo?

Sono molti i parallelismi possibili con Mar del Plata, a partire dal fatto che entrambi sono portati sulla scena da una compagnia di giovani attori: sono loro la forza di questo spettacolo, giovani molto talentuosi, alcuni alla prima grande esperienza e stupiranno il pubblico. Anche se io ho parti recitative più piccole mi piace condividere questo progetto con loro. Inoltre anche i due testi teatrali parlano in maniera esplicita di gioventù. In Mar del Plata il contesto era rappresentato da una squadra di rugby, qui invece siamo in ambito scolastico, si tratta di una classe ‘bella tosta’ che si confronta con quotidianamente con il diverso e con i migranti. Sarà un professore a scuotere questi giovani dal loro torpore infondendo loro la voglia di apprendere. La scuola non è solo nozionismo, ma è anche passione, è trasmettere dei valori a chi hai di fronte. È un testo con dinamiche forti, anche poetiche: mi piace descriverlo come una grande avventura. È vero, non ci sono nomi particolarmente famosi tra coloro che hanno collaborato, ma per un attore è bello anche mettersi in gioco e buttarsi in una scommessa come questa. Se la vinci, significa che la tua intuizione era giusta e non avrai rimorsi.

Anche in questo caso il tema trattato è sicuramente molto impegnativo. 

Premesso che il teatro comico contemporaneo mi piace, in questi anni come Accademia Perduta abbiamo scelto testi di tipo diverso, certamente impegnati. L’artista deve avere la capacità di stimolare dei pensieri al pubblico, ma non necessariamente in maniera seriosa: Mar del Plata è riuscito a essere innovativo pur raccontando una storia difficile e, al tempo stesso, ha trovato il favore del pubblico. A me piace un teatro che pone riflessioni sul quotidiano e, in questo periodo storico, penso non ci si possa sottrarre a confrontarsi con quello che sta avvenendo nel mondo.

“Aspiro sempre a un teatro civile”

Un teatro civile dunque? 

La Classe parla del disagio giovanile e di come vediamo lo straniero. Per come la vedo io il teatro è quasi sempre politico, nel senso nobile del termine, o civile. Uno dei temi impliciti dello spettacolo è questo: noi venivamo da una generazione che aveva molti ideali, e questi erano stati tramandati da qualcuno prima di noi, i nostri genitori, che venivano da un periodo storico particolarmente forte che ha vissuto la guerra. Oggi forse i giovani hanno meno motivazioni ma la colpa principale non è loro, ma della generazione precedente che non è riuscita a trasmettere grandi ideali. Il professore di questo spettacolo cerca di rompere questo appiattimento e parla in maniera appassionata ai ragazzi, comunica con loro, e non lo fa dalla cattedra, ma sta dalla loro parte.

Se dovessi sintetizzare con degli aggettivi questo spettacolo, come lo definiresti?

Energico e a suo modo poetico. Lo si vede ancora in quel paragone tra i gruppi di studenti con un branco di galline. Un paragone non era semplice, sembra apparentemente riduttivo. Eppure se ci rifletti le galline vogliono volare ma non riescono a farlo, ma hanno gambe forti che sono ben piantate a terra. Se fosse possibile, riuscirebbero ad arrivare sulla luna in 27mila ore, tre anni circa, e questa immagine – tra la fantasia e la realtà – secondo me è poesia.

Passando invece alla ricezione degli spettatori, in questi anni come hai visto cambiare il pubblico dei teatri? 

Ho avuto la fortuna di girare molto nelle provincie italiane, e come Accademia Perduta abbiamo fatto la scelta giusta di lavorare in provincia. Gran parte del teatro italiano viene sostenuto dalla provincia, perché le provincie sono pieno di teatri, piccoli o grandi. Nelle grandi città paradossalmente c’è meno pubblico e si seguono più le mode del momento, mentre in provincia è pieno gente che ama il teatro e ha più voglia di confrontarsi con i suoi linguaggi.

a cura di Samuele Marchi

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