Victor Fotso Nyie: dal Camerun a Faenza per la ceramica

Il suo italiano è più che corretto, direi preciso, e la sua voce ha una cadenza lenta, educata: Victor Fotso Nyie è una persona composta, ma entrando nel suo studio (secondo lui, in disordine) la prima opera che noto è un uomo africano che urla, la seconda è una figura che balla, e per terra ci sono tre teste accartocciate, con i volti contratti in delle smorfie. Il faentino d’adozione, che ha appena vinto il concorso nazionale Artigiano del Cuore, il 30 giugno ha inaugurato il suo spazio all’interno del Museo Carlo Zauli, in cui le sue opere saranno esposte fino al 18 luglio. Faenza – il cui nome già risuonava tra i corridoi dell’Istituto di formazione artistica di Mbalmayo a cui era iscritto, fondato grazie al volontario e ceramista faentino Walter Pasqui – forse era nel suo destino: arriva nel 2012 con l’intenzione di studiare all’ISIA ma non riesce a entrare, quindi si trasferisce a Ravenna, dove è accolto dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna; torna nella città manfreda per frequentare l’Ifts Ceramica, un corso di istruzione e formazione tecnica superiore, e poi entra nella Bottega Gatti, dove attualmente lavora; infine, nel 2018 apre il suo laboratorio in via Castellani.

Quando è stato il tuo primo approccio alla ceramica?

«Ho frequentato un istituto d’arte in Camerun a 300 km da casa mia. Allora c’erano tre corsi: pittura, scultura su legno e ceramica.  Mio padre mi accompagnò a fare il test di ammissione per pittura ma, arrivati lì, entrammo per caso nel laboratorio di ceramica, dove c’era un signore circondato da alcuni vasi: mio babbo gli chiese “Come hai fatto a fare il buco dentro?” e lui ridendo prese un pezzo di terra e in cinque minuti fece un vaso. Sono rimasto folgorato, fino a quel momento non avevo neanche mai sentito la parola “ceramica”. Così ho deciso di sostenere l’esame per quel corso. Oltre al fascino che la materia aveva su di me, mi ero reso conto che c’era una prospettiva lavorativa e avrei potuto aprire uno studio».

Quindi non hai sempre avuto l’idea di lasciare il tuo Paese.

Fino al diploma non ho mai pensato di uscire dal Camerun, ho fatto anche un anno all’università, ero iscritto a Storia dell’Arte… Però il mio progetto era di continuare a lavorare con la ceramica e lì non c’erano scuole per perfezionarmi, solo studi umanistici legati all’arte, nulla di tecnico. Quindi ho deciso di venire in Europa e ho scelto l’Italia perché già conoscevo gli italiani, per via di Walter Pasqui. Grazie a lui ho scoperto la cosa che mi interessava di più: parlava con una grande passione della ceramica, ma in altri termini, riferendosi alla chimica, alla reazione dell’argilla al fuoco e agli altri elementi. Ho trovato molto affascinante l’idea di conoscere così a fondo il materiale, è quello che mi ha spinto a venire qui per fare ricerca.

Adesso, a dieci anni di distanza, com’è la situazione degli artisti in Camerun?

Anche se negli ultimi anni la considerazione che si ha di loro è cresciuta, l’arte non è ancora abbastanza inserita all’interno dei percorsi scolastici. Detto questo, i cambiamenti si vedono: molti dei miei ex compagni di scuola lavorano, fanno mostre in gallerie fuori e dentro il Camerun, ci sono nuovi spazi espositivi. Dal 2009 sono state aperte tre nuove accademie e adesso si inizia a fare ceramica, mentre prima chi voleva continuare con le arti plastiche o nella scultura doveva andare via.

Quali sono gli aspetti del tuo lavoro su cui ti sei specializzato?

Quando ero in Camerun mi chiedevano i ritratti su commissione e ancora oggi mi concentro sulla figura umana, soprattutto la testa e i volti; utilizzo molto la geometria cilindrica. Modellare l’argilla fresca è ciò che preferisco: è un materiale affascinante, perché la si lavora con tutti e quattro gli elementi, è sensuale e viva. Ho sempre pensato che assorba i nostri pensieri mentre la lavoriamo. Inoltre, ho molta cura per l’argilla, a Mbalmayo andavamo al fiume a raccogliere e setacciare la terra, era un materiale prezioso perché sapevi la fatica che c’era dietro per ottenerla. E poi ha una componente organica e penso sempre che potrebbe essere di qualcuno che è venuto prima di me, perciò ho molta attenzione».

La componente africana è protagonista nelle tue opere: se la tecnica l’hai affinata qui, la tua vena artistica fa parte del bagaglio con cui sei arrivato. Che Africa vuoi raccontare?

Il soggetto principale è la figura dell’uomo africano nel contesto occidentale, spesso reinterpretando le maschere e le sculture tradizionali africane. Prendo ispirazione dalla mia famiglia: siamo dieci fratelli e ho fatto una serie di volti partendo dal carattere di ognuno di loro, e anche in uno dei due pezzi che porto al Museo Carlo Zauli i soggetti sono i miei due fratelli più piccoli, due gemelli. Il tema è la riappropriazione culturale, perché buona parte del patrimonio culturale africano si trova fuori dal continente e molti giovani africani non sono a conoscenza di questo capitale, bisogna uscire dall’Africa per scoprirlo: durante la colonizzazione molte opere sono state trafugate e adesso si sta cercando di farle tornare. Una parte dell’opera è d’oro: l’Africa ne è piena, così come di molti altri minerali, ma le miniere sono tutte sfruttate dalle multinazionali straniere. Sarebbe molto ricca, ma anche in questo caso ha bisogno di riappropriarsi di qualcosa che è suo».

La gratitudine nei confronti del Paese che ti ha adottato è evidente, ma oltre al legame con la tua terra, si sente anche la nostalgia.

«Da quando sono in Italia, sono tornato solo una volta, nel 2016. Qui ho solo uno dei miei fratelli. Spero di andarci l’anno prossimo, perché ne ho bisogno: quando sono a Faenza vado lavoro alla Bottega Gatti fino alle 18, poi vengo qui in studio fino a mezzanotte…Almeno il sabato stacco, grazie alla comunità camerunense di Ravenna. La cultura e il cibo sono molto diversi da quella italiana, quando arriviamo in Europa cerchiamo di ricreare un po’ il nostro ambiente attraverso le associazioni. Loro mi hanno aiutato a vincere il premio Artigiano del Cuore, perché hanno fatto tanta promozione sui social e così dal Camerun sono arrivati molti voti».

 

Maria Rivola

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