Gene Gnocchi al Masini: «la mia ironia su dipendenza da smartphone e politica»
Cosa ci fa Gene Gnocchi con un trolley, un liquidator e un panino al cotto? Dopo anni di ricerche è riuscito a individuare l’unica via di salvezza che ci rimane in questo strambo periodo: perseguire in modo sistematico la deficienza. Ecco perché sta viaggiando nel mondo per portare questa ricetta miracolosa a domicilio con una conferenza. Tutto bene, finché le nuove tecnologie non si mettono in mezzo facendo precipitare la situazione in un’escalation esilarante di sfortunati eventi. Sabato 3 marzo Gene Gnocchi torna al teatro Masini di Faenza con una commedia che dipinge con ironia la realtà attuale del mondo politico e della dipendenza da smartphone, mostrando come basti un app e un pizzico di sfortuna per rovinarsi la vita.
Gene Gnocchi, sabato sbarchi al Masini con il tuo nuovo spettacolo “Il procacciatore”. Lo fai in una città, Faenza, che ormai ti appartiene e che hai usato anche come luogo dove ambientare un tuo libro. Quali sono i pregi e i difetti di essersi ritirati a vita di provincia?
Mah guarda, io vengo da Fidenza, una piccola cittadina di provincia, perciò non c’è stato un grande cambiamento. Faenza sotto certi aspetti è anche una città più curiosa: penso a tutte le iniziative che avete, dal Mei alle ceramiche. Faenza è una cittadina che per quanto riguarda il mio modo di vita va benissimo. Consente di staccare, ma non in modo così netto.
Fuori dal mondo però proprio non sei. Ogni martedì sera ti seguiamo da Floris a Dimartedì, dove ci racconti la settimana politica attraverso la tua satira. Tra l’altro come va la campagna elettorale per il partito acclamatissimo di Gene Gnocchi, “Il Nulla”?
Abbiamo ricevuto un sacco di adesioni. A questo punto sarebbe stato forse utile presentarsi davvero alle elezioni per raccattare qualcosa. Insomma, è una vicenda scherzosa, ma che ha trovato riscontro nella realtà. Nasce dall’idea di mettere alla berlina la pochezza di questa campagna elettorale: lo scopo è stato ampiamente raggiunto. In giro la gente mi chiede come si fa a iscriversi al nulla perché non ne può più della politica attuale.
“Il Procacciatore” è chiaramente una critica legata al periodo che stiamo vivendo e alla politica. Infatti durante la conferenza il protagonista parla di vaccini e di altri temi di attualità, così come della situazione internazionale. È una presa in giro delle nuove tecnologie e del mondo politico: queste sono le due tematiche alla base dello spettacolo.
Cosa ci fa Gene Gnocchi con un trolley, un liquidator e un panino al cotto?
Quello lo scopriranno gli spettatori quando andrà a teatro. Sono contento per come si è svolto lo spettacolo durante la decina di date che ho fatto fino ad ora, la gente esce davvero divertita. Questo spettacolo è una scommessa che avevo in serbo da un paio d’anni, volevo rappresentare questa civiltà schiava dello smartphone, e l’idea che è venuta fuori è molto soddisfacente. Infatti proprio a causa del telefonino, il protagonista che vuole dare una speranza agli italiani si ritrova in una situazione non prevista proprio durante la sua importante conferenza.
Ho l’impressione che un certo uso della rete e dei media presupponga di non fare mai fatica: questo porta all’insulto facile etc. Si pensa che la notorietà e il successo si ottengano semplicemente mostrandosi, solo facendosi palesi. Bisogna restituire al risultato il concetto di fare fatica.
In questo nuovo spettacolo spieghi che sei riuscito a individuare l’unica via di salvezza che ci rimane in questo momento contorto: perseguire in modo sistematico la deficienza. È una sottile tirata d’orecchie al mondo politico o è semplicemente un’intuizione stravagante per morire dal ridere?
È chiaramente una critica legata al periodo che stiamo vivendo e alla politica. Infatti durante la conferenza il protagonista parla di vaccini e di altri temi di attualità, così come della situazione internazionale. È una presa in giro delle nuove tecnologie e del mondo politico: queste sono le due tematiche alla base dello spettacolo. Infatti la causa scatenante che fa degenerare la situazione deriva proprio dalla dipendenza totale dal telefonino.. ma la cosa divertente è che il protagonista necessiterà dell’aiuto del pubblico per risolvere il problema. Il pubblico deve fare per lui una cosa fondamentale.
Durante la conferenza, la app che gestisce la slide inizia a mostrare al pubblico, visualizzandoli allo stesso modo delle slide, tutti i messaggi privati che arrivano al conferenziere. Ne segue un’escalation esilarante di sfortunati eventi. Gli smartphone ci stanno rovinando la vita?
Se ci stia peggiorando la vita o ce la stia invece arricchendo non è dato sapere. Sicuramente ce la sta cambiando. Proprio un episodio legato alla dipendenza dal telefonino ha ispirato questo spettacolo: mi è capitato infatti che a Bologna, durante una convention, mi arrivasse un messaggio molto importante a cui avrei dovuto rispondere in poco tempo. Ovviamente in quell’occasione non ho fatto vedere il messaggio ai presenti, ma l’idea di questa dipendenza da smartphone che può trascinare in situazioni inaspettate mi è rimasta dentro e ha ispirato lo spettacolo.
Come le tecnologie hanno cambiato il modo in cui un comico come Gene Gnocchi lavora?
Innanzitutto c’è da dire che è cambiata la fruizione da parte dello spettatore, di questo bisogna sempre tenere conto. Poi ogni comico ha la sua linea stilistica che cerca di seguire. Ovviamente la comicità televisiva è diversa da quella teatrale. A Dimartedì ho dovuto tenere conto di alcuni fattori: venire dopo Crozza ti costringe prendere alcune scelte, perché lui ha preso la scena portando io suo stile originale, così chiaramente le imitazioni non si possono fare perché non saranno mai riuscite quanto le sue. A teatro invece la comicità segue tempi e logiche differenti. Rispetto ai social, secondo me non è cambiato il mio atteggiamento in ciò che propongo: come tutti i comici faccio quello che mi piace e quello che vorrei sentirmi dire, la cifra rimane quella.
Tornando alla satira, il problema è che farla serve una fruizione più lenta, bisogna metabolizzare. Questo è il contrario di quello che vuole la rete: la rete vuole una fruizione facile e istantanea, che male si concilia con un minimo di riflessione.
Non so se hai seguito su facebook la vicenda dei commenti volgari nei confronti del sindaco a seguito della decisione di non chiudere le scuole nonostante le condizioni climatiche avverse. Come si fa a educare le nuove generazioni a un corretto utilizzo della libertà di pensiero in rete?
Secondo me bisogna partire dall’idea che tutte le cose si ottengono con un po’ di fatica. Ho l’impressione che un certo uso della rete e dei media presupponga di non fare mai fatica: questo porta all’insulto facile etc. Si pensa che la notorietà e il successo si ottengano semplicemente mostrandosi, solo facendosi palesi. Bisogna restituire al risultato il concetto di fare fatica. Così impari che per scrivere devi anche leggere, e così anche per parlare in modo corretto ed efficace. Oggi bastano tre like su facebook per fare pensare alle persone che siano brave e famose, ma non è così che funziona la vita.
In giro sui social è pieno di intrattenimento spicciolo, volgare e violento. Una volta i giovani guardavano Zelig e altri programmi comici. Comunque in televisione c’è sempre stato un filtro. C’è ancora spazio per avvicinare i giovani alla satira e alla comicità senza sembrare fuori tempo massimo?
Secondo me siamo fuori tempo massimo. Me ne accorgo quasi quotidianamente. È una battaglia ampiamente deficitaria, se non persa in partenza. Ne sono convinto perché vedo ciò che gira su internet e il consenso che riscuote. In realtà però ciò che nasce su internet e poi viene riproposto ad un pubblico generalista non attira lo stesso consenso, quindi non saprei dire quanto siano davvero efficaci. Infatti non è vero che le persone con milioni di follower vengano seguite dal proprio pubblico anche sulle reti generaliste, mi è capitato di vedere percentuali di ascolti ridicole. Tornando alla satira, il problema è che farla serve una fruizione più lenta, bisogna metabolizzare. Questo è il contrario di quello che vuole la rete: la rete vuole una fruizione facile e istantanea, che male si concilia con un minimo di riflessione.
Perché un faentino dovrebbe venire a vederti sabato sera?
Perché ci si diverte tantissimo e perché è un esperimento innovativo. Non è il solito monologo comico, ma uno spettacolo pieno di sorprese. Mi piacerebbe davvero che il faentino venisse a vedermi perché sono certo che ne uscirebbe contento.
Un’ultima domanda. Qual è la cosa più bella che a Gene Gnocchi piace fare a Faenza?
A Faenza io frequento il circolo del Tennis. La cosa bella del faentino è che è molto competitivo, non ci sta mai a perdere. Così tutte le volte che vinco non è mai perché sono io ad essere bravo, ma si trova sempre qualche scusa. Se vinci una partita di tennis a Faenza vuol dire che sei molto bravo.
Samuele Maccolini