Da Fognano a Faenza: storie di accoglienza virtuosa negate dal decreto Sicurezza
Cosa significa realmente mettere in sicurezza un territorio e una comunità? Da lunedì 1° luglio sette richiedenti asilo nigeriane ospitate alla casa dell’Ami di Fognano hanno dovuto lasciare, da un giorno all’altro, questa comunità per effetto del cosiddetto ‘decreto Sicurezza’ per essere spostate a Riolo Terme. Stessa sorte è toccata a tante altre realtà di accoglienza diffusa nel faentino, come i rifugiati ospitati a San Ruffillo e che saranno gestiti ora da un’altra cooperativa e dislocati in parte a Faenza e in parte tra Forlì e Cervia. Il progetto di accoglienza che era stato investito su di loro e che ha coinvolto negli anni operatori e volontari, viene così accantonato a favore di un’altra visione di accoglienza. Con i nuovi bandi della Prefettura infatti vengono meno i servizi di assistenza linguistica e culturale, l’orientamento e accesso ai servizi del territorio, l’inserimento lavorativo e la tutela legale.
Per questi motivi l’Asp della Romagna faentina (a partire dal 2016 l’ente indicato dall’Unione della Romagna faentina come coordinatore per il territorio su questo tema) – così come la Caritas diocesana – non ha ritenuto ammissibile partecipare a questo nuovo tipo di accoglienza. «Sono giorni tristi – commenta Massimo Caroli, presidente Asp, nel corso di un incontro promosso dal Festival dell’Unità di via Calamelli – quello che era un modello di inclusione positivo non c’è più, e con il decreto Sicurezza ora la Prefettura ha pieni poteri decisionali su questo tema senza nemmeno consultare gli enti locali, sebbene la Corte Costituzionale abbia sollevato criticità su questo punto. L’amarezza è tanta perché le risposte date da questo Governo al fenomeno migratorio hanno come unico obiettivo quello di non creare relazioni, trattando queste persone come oggetti».
L’Asp della Romagna Faentina accoglieva 200 persone a giugno 2019
Al 14 giugno scorso i richiedenti asilo nelle varie realtà dell’Unione erano 200 (135 a Faenza, 17 a Solarolo, 16 a Casola Valsenio, 12 a Brisighella e a Riolo Terme e 8 a Castel Bolognese), numeri nettamente in calo rispetto al picco dell’estate 2017 quando c’erano 346 posti occupati sui 353 posti in convenzione. «Si è sempre trattato di numeri bassissimi – precisa Caroli – che nulla hanno a che vedere con una presunta invasione, stiamo parlando dello 0.4% della popolazione complessiva». Al contempo, i progetti messi in campo da Asp con altre realtà del territorio hanno consentito di avviare 60 tirocini formativi e attualmente per effetto delle azioni poste, oltre l’80% dei richiedenti accoglienza sta svolgendo attività lavorativa regolare.
L’esperienza di Seku, 5 anni fa arrivato dalla Costa d’Avorio
All’incontro ‘Aiutamoli a casa nostra’ della Festa di via Calamelli, condotto da Andrea Fortini dei Giovani Democratici, hanno partecipato anche Gloria Ghetti, docente della scuola Penny Wirton che si propone, con l’aiuto di giovani studenti faentini, di insegnare la lingua italiana ai migranti; l’onorevole Marco di Maio, che ha evidenziato alcuni paradossi del decreto Sicurezza: «si sono smantellate le strutture che favorivano l’inclusione, e ora c’è meno sicurezza per le comunità stesse»; e infine Seku, un giovane arrivato 5 anni fa in Italia dalla Costa d’Avorio.
“Giocare a rugby era un sollievo”
«Anche per me è una giornata triste – racconta Seku – pensando alla condizione di tanti amici che ora saranno costretti a vivere la stessa esperienza che ho vissuto io, quando, appena arrivato, ero costretto in uno spazio senza fare niente: è devastante. Fortunatamente col tempo sono arrivate delle opportunità. Ho avuto la fortuna di conoscere il Faenza Rugby. Stare su quel campo da gioco mi permetteva di dimenticare tutti i miei problemi: giocare a rugby era un sollievo».
“Penso davvero che Faenza sia una città bella e aperta. Ringrazierò sempre l’Italia”
Seku ha potuto poi seguire un corso di lingua e una famiglia faentina ha aperto la propria casa per accoglierlo. «Ho potuto così conoscere persone, fare attività che mi facessero conoscere Faenza. Al di là del clima attuale nel Paese, io penso davvero che Faenza sia una città veramente bella e aperta». Dopo questo percorso, Seku ha deciso di mettersi in gioco lui in prima persona per aiutare altri richiedenti asilo. «L’Asp mi ha contattato per darmi l’opportunità di lavorare come mediatore culturale e questo ruolo mi sta dando tante soddisfazioni. Ringrazio l’Italia per avermi dato la libertà, un lavoro, e degli amici». «Una bellissima serata alla Festa dell’Unità di via Calamelli sul tema della migrazione e dell’inclusione – dichiarano i Giovani democratici di Faenza – C’erano molta gente e tanta voglia di un dialogo aperto e costruttivo senza divisioni ideologiche a priori.Noi nel nostro piccolo ce l’abbiamo fatta grazie anche e soprattutto agli invitati, competenti e disponibili al confronto».
L’esperienza di Fognano: dove una comunità si era unita nel segno dell’accoglienza
Ma è solo focalizzando lo sguardo sulle singole realtà che è possibile dare nomi, volti e storie a questi progetti. Dal marzo 2016 Ami, poi in collaborazione col Ceis di Modena, ha accolto ragazze richiedenti asilo provenienti dall’Africa. «Il tutto è iniziato per rispondere all’appello del Papa ad aprire le nostre case ai profughi – spiegano le operatrici – L’Ami, a Fognano, ha una casa: abbiamo aperto quella. Non immaginavamo dove ci avrebbe portato questa iniziativa, non avremmo mai sperato in una capacità di coinvolgimento delle persone e di associazioni della vallata».
«In questi tre anni il primo bimbo, Abdi, arrivato con la mamma dalla Somalia, ha trovato altre mamme, nonne e baby sitter, Francesco e Miky, nati in Romagna, sono stati battezzati in chiesa a Fognano – proseguono – All’inizio le ragazze erano dieci, poi nell’ultimo anno e mezzo il loro numero si è assestato su sette, segno che la sbandierata invasione è solo propaganda. Si sono avvicendate con una permanenza media di un anno, poco per accompagnare una persona impaurita, spesso non scolarizzata, in un percorso che la porti a diventare autonoma e integrarsi nella nostra società. Eppure abbiamo avuto l’ostinazione di provarci».
La casa dell’Ami di Fognano continuerà ad accogliere
«Grazie al supporto di tanti, hanno potuto fare attività cinque giorni su sette. Non solo italiano, integrato dai corsi del Cpia a Faenza, ma anche matematica, cucito, teatro (col teatro Due Mondi), cucina, musicoterapia, allenamenti di calcio femminile, hanno esposto le loro opere alla mostra a Brisighella in occasione dell’8 marzo. Hanno partecipato a feste e a iniziative, conoscendo altre persone, giovani, scout. I volontari della vallata hanno fatto spazio a persone venute da lontano, senza clamori, con la naturalezza di chi è abituato a impegnarsi. Ora non vogliamo chiuderci alle spalle la porta di casa Ami, il venerdì continuiamo la produzione di bomboniere solidali e altri lavori a favore dei progetti Ami in Tanzania ed Eritrea e vorremmo che fosse ancora una casa dedicata all’accoglienza di chi è più fragile».
A tutti si pone ora una domanda: siamo certi che questo decreto abbia reso Fognano, così come tutte le altre nostre comunità, un paese più sicuro?