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Bronson di Nicolas Winding Refn

Michael Gordon Peterson, alias Charlie Bronson, è stato etichettato come il più pericoloso tra i carcerati britannici. Ad oggi si fa chiamare Charles Salvador, in onore del suo ispiratore artistico Salvador Dalì. Nel 2008 il danese Nicolas Winding Refn propose la propria concezione di questo personaggio attraverso il film Bronson. In quegli anni Refn non godeva ancora della fama che lo avrebbe investito in seguito all’uscita di Drive (2011), ma era comunque riuscito a ritagliarsi un posticino nel cinema indipendente grazie alle sue prime opere. Con questo Bronson, il regista confermò il suo talento e portò la sua visione e arte a un livello superiore.

Charles Bronson, un anti-eroe anomalo

Il personaggio di Charles Bronson (nome d’arte tratto dal celeberrimo attore del cinema anni ’60) è uno dei più interessanti mai visti sullo schermo: un anti-eroe anomalo in tutto e per tutto, violento e feroce, ma anche sensibile e saldato a una sua morale del tutto autocostruita che affascina e sconvolge. Ciò che rese famoso il giovane Peterson non furono le azioni compiute fuori dalle sbarre, bensì quelle all’interno. L’uomo doveva scontare inizialmente solo sette anni di reclusione per un piccolo furto ad una gioielleria, pena aumentatagli in seguito alle risse e ai comportamenti squilibrati all’interno della prigione. Si ritrovò così a trascorrere almeno metà della propria vita in carcere, venendo trasferito più e più volte a causa del suo temperamento. Arrivò a toccare persino il manicomio e l’isolamento.

A impersonare il prigioniero protagonista è Tom Hardy

Sin dalle prime inquadrature capiamo che, come il personaggio, anche il film non si presenta lineare. Charlie racconta la propria vita da narratore, sia seduto davanti alla macchina da presa come in un interrogatorio, sia nelle vesti di un comico teatrale, dinanzi a una platea pronta a ridere e ad applaudire nelle scene clou. Charlie spiega che ciò che lo motiva non è il desiderio di fare del male (era molto legato ai genitori) bensì la ricerca di notorietà, perseguita mediante la scelta del nome e la violenza che esplode all’interno della gabbia nei confronti delle guardie. Una furia che per qualche ragione diventa arte e ispirazione per il suo artefice. A impersonare questo bizzarro criminale è uno straordinario Tom Hardy, probabilmente nella sua prova migliore, in grado di dare vita a espressioni ebeti, instabili e animalesche che donano carisma al personaggio. Anche la presenza scenica è perfetta grazie alla statura massiccia e muscolare e ai suoi movimenti orcheschi.

Bronson di Nicolas Winding Refn: un personaggio di cui si rimane folgorati

Refn affronta la tematica del carcere con grottesca ironia e una sottile critica al sistema giudiziario, facendoci riflettere sulla giustizia dietro le sbarre spesso dubbia. Ma per Bronson la libertà maggiore è la prigione, perché solo lì può esprimere sé stesso e la sua arte nascosta. Così il film viene diretto seguendo le battaglie interori del suo protagonista, passando spesso da una messa in scena cruda a una più elegante e ricercata, di ispirazione Kubrickiana, in cui la composizione dell’immagine è curata nei minimi dettagli ed è assistita da una colonna sonora ricca di tracce classiche e di musica d’avanguardia. La ricerca della bellezza nella violenza, dell’arte nella prigionia diviene lo scopo di vita di un personaggio che per tutta la vita ha lottato per capire il suo posto nel mondo. E, anche se non si può dire di poterne condividere gli ideali e le azioni, si rimane comunque folgorati da questo biopic anarchico e controverso.

Alessandro Leoni

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