Alcune trappole in cui si cade quando si discute di scuola e didattica a distanza

Accompagnare gli studenti a formarsi uno spirito critico, senza essere in presenza reale, è molto più difficile, direi impossibile. Sullo schermo non hai il tuo corpo, il tuo sguardo e il loro sguardo, la tua testimonianza unica fatta di gesti, di reazioni umane, di battute volte a creare un clima positivo in aula o di rimproveri per cercare di non perdere l’ultimo della classe. E quando sarà il momento, come potranno loro distinguere ciò che è giusto o sbagliato per la propria vita?

Ognuno di noi ha tante domande su quello che succederà a settembre e su quale sarà il futuro della scuola, se a distanza o se in presenza o con una soluzione mista. Di questi temi ho riflettuto non solo in quanto docente sul campo in un istituto superiore faentino, ma anche come i giornalista ed educatore Agesci, attività che mi hanno consentito di parlare in maniera più o meno informale con altri docenti, genitori e ragazzi dai 14 ai 18 anni senza restare chiuso nel mio particolare punto di vista parziale, la mia ‘bolla’ di certezze. Ancora più di prima, è importante ora decidere tutti assieme quale futuro vogliamo dare alla scuola. Quelli che vengono affrontati di seguito non sono né soluzioni né punti a capo di un discorso molto più ampio, semplicemente si condividono degli spunti per non cadere in delle ‘trappole’ tese, a volte con ingenuità, quando si parla di didattica a distanza e riapertura delle scuole a settembre. Per chi vuole, ecco una guida per orientarsi su come interpretare (e smontare) alcune affermazioni che rischiano di falsare una discussione che invece deve portare al meglio per alunni e studenti, anche con soluzioni nuove e originali se necessario (e forse è necessario).Che portino al meglio però, non al meno peggio.

Le 5 trappole in cui rischiamo di cadere discutendo di scuola e didattica a distanza

1. “Ma siamo pazzi! Prima la salute!”

Questa è una delle trappole in cui più spesso ci imbattiamo e che avrai sicuramente letto sui social. A una frase così perentoria, che evoca le peggior cose su una possibile riapertura delle scuole a settembre instillandoti un forte senso di colpa, cosa si risponde? Questa trappola va smontata: i diritti alla salute, al lavoro e all’istruzione sono interconnessi, non può reggersi in piedi uno senza l’altro e non c’è “uno” prima dell’”altro”, non ha senso porre il discorso in questi termini. Affermare con superficialità che si può fare a meno di ‘n’ anni di scuola ‘in nome della salute’ (limitando la salute a un concetto di tipo puramente ‘biologico’, senza considerare l’importanza che ha la scuola nella crescita del bambino che gli garantisce ‘salute’ in un senso più ampio del termine in un contesto educativo-sociale) significa negare un diritto fondamentale a un altro essere umano che peraltro, vista la giovane età, non può difendere i propri diritti in alcun modo. E d’altronde chi ha difeso i bambini quando Burioni nella fase 1 ha tolto loro ogni dignità definendoli dei semplici e pericolosi ‘veicoli di Coronavirus’?

Senza entrare nel dettaglio dei tagli all’istruzione degli ultimi ‘n’ anni, che hanno fatto sì che non ci siano oggi spazi e aule adeguate, così come classi pollaio e pochi docenti di ruolo. Dalle crisi nascono le opportunità: forse questa può essere un’occasione per tornare a pretendere di essere un Paese che guarda al futuro, garantendo una scuola sicura a partire da settembre. Salute e istruzione vanno di pari passo, non in contrapposizione. Avere paura è normale, ma con prudenza e intelligenza in questi mesi estivi chi di dovere deve trovare delle soluzioni che limitino i rischi ma garantiscano didattica vera, e questa non è pazzia, semmai ci daranno dei ‘pazzi’ le future generazioni quando studieranno come nel 2020 abbiamo declassato senza colpo ferire l’istruzione a diritto di serie B.

2. Volere la “digitalizzazione della scuola” è diverso da volere la “didattica a distanza”

Ritenere imprescindibile la scuola in presenza non significa essere contro le tecnologie o ai nuovi strumenti digitali. E come potrei esserlo occupandomi quotidianamente di comunicazione digitale? Anzi, per me andrebbero incentivate nelle scuole attività di formazione (in presenza) sull’alfabetizzazione digitale, l’uso consapevole dei social, la conoscenza dei nuovi media e delle loro potenzialità o distorsioni, come nel caso della manipolazione delle notizie. Volenti o nolenti, alunni e studenti hanno a disposizione questi strumenti (e per me è una cosa buona se hanno alle spalle bravi genitori ed educatori), e la sfida è quella di utilizzarli consapevolmente ‘senza spegnere il cervello’, ancora meglio se stimolati a confrontarsi con i propri amici e coetanei.

Il tema della “digitalizzazione della scuola” è però una cosa diversa dalla “didattica a distanza”. I due temi si intrecciano, ma non sono la stessa cosa. È fondamentale e necessario che una scuola si doti di una strumentazione tecnica digitale adeguata e che questa sia a supporto della didattica. Si è partiti diversi anni fa dal registro elettronico e dalle Lim per arrivare a strumenti molto raffinati di condivisione file, aule virtuali con cui impostare particolari compiti o poter inviare una mail a ogni studente di una classe in pochi secondi tramite le varie piattaforme a disposizione. Tutti strumenti in larga parte testati con riscontri più che positivi: ecco questa è la digitalizzazione della scuola, un aiuto concreto all’attività del docente e agli studenti che non sostituisce però la didattica in presenza.

Discorso profondamente diverso è invece quello di impostare di base la didattica (o buona parte di essa, come nel caso della didattica mista) a distanza, dove questi strumenti diventano il fine e non il mezzo. Tralasciando il discorso Covid-19 e ragionando su questa modalità in sé e non come necessità emergenziale, quali vantaggi concreti apporterebbe a un bambino o a una bambina seguire le lezioni davanti un monitor rispetto a una classe con compagni e docenti con i quali interagire, crescere, giocare, scherzare, confrontarsi? A livello fisico, educativo e sociale in cosa crescerebbe in meglio?

In questi mesi la didattica a distanza ci ha fatto conoscere strumenti indubbiamente utili, ma che non hanno nulla di quello che è veramente l’essenza della scuola come luogo educativo. Quali sono le grandi opportunità innovative che ci offre la dad? Mi è stato detto che gli studenti possono sperimentare realizzando o visionando video, provare a lavorare in piccoli gruppi su Meet, seguire relatori che abitano lontano. Benissimo, tutte cose che in realtà si fanno comunque meglio in presenza. Ben venga dunque utilizzare questi strumenti a seconda del particolare contesto e del contenuto da trasmettere, ma non a priori, senza alcun vantaggio concreto di una modalità di per sé è deficitaria, che seguendo le indicazioni attuali verrebbe fatta nella maggior parte dei casi ‘a cazzo di cane’ per citare Boris. O come ha detto il prof. Alessandro Barbero: «Lezioni online: sì, ma solo in emergenza. E guai a dire che sono belle». E forse è il caso di iniziare a governarla questa emergenza…

3. Rimanere chiusi nella propria “bolla” e non pensare che in Italia siamo migliaia di famiglie diverse

“Mia figlia con la didattica a distanza è andata benissimo!”
Il lockdown ci ha teso una trappola e ci ha fatto credere per diversi mesi che le nostre quattro mura di casa, il punto di vista da cui guardavamo il mondo, fosse l’unico. Ed è così che abbiamo ritenuto che, tutto sommato, questa didattica a distanza fosse una cosa accettabile. In fondo nostra figlia di 9 anni se l’è passata tutto sommato bene in questi mesi: è diligente, ha avuto delle insegnanti subito pronte e reattive, noi genitori l’abbiamo sempre seguita con costanza in questo percorso, e ha ottenuto dei buoni risultati scolastici grazie al fatto che è sveglia e volenterosa. Dunque la didattica a distanza può funzionare.

Ma è un grave errore pensare di leggere questa situazione solo dalla propria bolla, dal proprio contesto di vita, le nostre quattro mura di casa. A fianco di questa famiglia che ha vissuto – per qualche mese – un’esperienza positiva, ce ne sono tantissime altre di cui magari questi genitori, che glorificano la dad, non sanno nulla. I vicini hanno quattro fratelli, ed è stato un incubo gestirli con la didattica a distanza. Nell’appartamento di sopra invece sta Matteo, uno studente che, dato che i genitori la mattina lavorano, ha evitato diverse volte di presentarsi alle lezioni su Meet. Alessandra, che aveva ottimi voti, vive in un contesto familiare difficile e con le videolezioni ha perso ogni stimolo. Usciamo dalla nostra bolla ed entriamo in quella degli altri.

4. Parlare di bambini e pensare che siano come adulti motivati che seguono un Master a distanza

Lucia Azzolina scuola
La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina.

Nelle discussioni sulla riapertura delle scuole, si ha spesso la tendenza a dipingere i bambini e i ragazzi come dei grandi fogli bianchi asettici che non vedono l’ora di apprendere e di essere ‘scritti’ sopra con nozioni di italiano, matematica e scienze. Spesso trasferiamo su di loro addirittura il nostro approccio da adulti all’apprendimento online, ma è molto diverso il modo con cui uno studente o un 30enne – che ha investito magari mille, duemila, anche tremila euro per un corso o un Master online professionalizzante – si avvicina a questa forma di apprendimento a distanza rispetto a Giulia, 15 anni, che non ama particolarmente la scuola, ha la passione per la pallavolo e ha da poco il primo ragazzo di cui è follemente innamorata. La scuola si prende cura di Giulia ‘in toto’, anche nei suoi aspetti solo apparentemente più banali e adolescenziali e che sono tappe naturali di un percorso. La scuola educa: ha l’obiettivo di portare fuori il meglio dei suoi studenti in tutta la loro persona. Un’università telematica o un corso di web marketing non ha, giustamente, come fine la tua educazione come cittadino, ma ti porta ad acquisire competenze. (Postilla: Preciso poi che, persino nel contesto di corsi di formazione per adulti, seguire le lezioni in presenza o da remoto fa una bella differenza, e non a caso viene richiesto spesso una quota più alta in caso di lezioni in presenza).

Ma torniamo a Giulia. Seguire una persona che parla per un’ora su uno schermo è, di per sé, una cosa non particolarmente accattivante. A casa Giulia ha mille distrazioni, non ha il contatto visivo del docente, e l’assenza di un vero corpo di fronte a sé da ascoltare, con la sua gestualità, il tono di voce, lo sguardo. Se già prima Giulia non seguiva particolarmente la lezione, ma grazie al prof che la riprendeva o passava tra i banchi cercava di avere un certo contegno, ora si spegne la videocamera, stacca il cervello e, senza malizia, fa finta di ascoltare qualche parola ogni tanto. Bambini e ragazzi non sono entità astratte, sono corpi, fatti di carne e ossa, sogni ed emozioni, che vivono, come giusto che sia, la loro età in cui la scuola non è proprio al primo posto. E proprio per questo, essere lì, concretamente al loro fianco, è fondamentale, perchè quando si parla di scuola se ne parla spesso senza considerare la sua realtà fatta di tanti imprevisti e variabili che accadono quotidianamente in ogni classe italiana per il semplice fatto che si ha a che fare con bambini e ragazzi ‘umani’, con i propri bisogni, emozioni e necessità. Bambini e ragazzi che non si rendono conto in quel momento dell’importanza che avrà la scuola per la loro vita e per questo bisogna essere lì con loro e avere pazienza e sostenerli, sempre e comunque. E nessuno studente (nessuno, ripeto, nessuno, dai più bravi a quelli che di solito prendono 4 e odiavano andare a scuola a quelli più grandi pronti ad affrontare la maturità) è stato sinceramente contento di questi mesi di didattica a distanza.

5. Fare esempi con i primi della classe e non con gli ultimi

Marina fa il liceo Scientifico, V superiore, è sempre stata una studentessa modello. Ha una famiglia alle spalle che l’ha sempre sostenuta nello studio con risultati brillanti. Intervistata da un quotidiano locale ha ammesso che sì, la didattica a distanza non è il massimo, ma può funzionare e ha comunque sperimentato strumenti interessanti come G-Suite, ClassRoom e realizzato persino dei video didattici. Spesso i media si soffermano a intervistare ragazzi come Marina, o Lorenzo, in V liceo Classico appassionato di filosofia; o Francesca, che da grande vorrebbe entrare a Medicina. Poche volte invece si ascolta il parare di Roberto, in una II superiore professionale, che la scuola non la ama per niente e da quando è iniziata la didattica a distanza è praticamente sparito dai radar perdendo forse l’ultimo treno che aveva per vivere in un contesto educativo in cui lui veniva comunque aiutato a riflettere su se stesso e i propri talenti. O Mohamed, da poco in Italia e che stava appena adesso iniziando a legare con la classe e a imparare la lingua. Oppure Livia, che non aveva una connessione wi-fi sufficientemente buona per connettersi ma, dopo che la scuola le ha fornito prontamente i dispositivi, è rimasta comunque assente per tutti questi mesi e la famiglia è non rintracciabile. Tutti studenti che, seppur con percorsi problematici, prima del Coronavirus rimanevano legati a un contesto di scuola ancora in grado di educarli, confrontarsi, magari scontrarsi, ma comunque crescere. La scuola dovrebbe essere vicina proprio a loro, a questi “ultimi”, a cui la didattica a distanza ha dato una mazzata decisiva sul loro futuro. Se bene o male Marina, Lorenzo o Francesca se la caveranno anche con uno o due anni di studio sui monitor, agli altri invece è stata tolta forse l’ultima possibilità per poter dare una direzione diversa e più autentica alla propria vita.

Conlcusioni: non cadiamo nella trappola

Per chiudere queste riflessioni, in maniera diretta, ecco concretamente (sottolineo: concretamente) che effetto ha avuto la didattica a distanza in questi mesi di sperimentazione sull’attività dei docenti, degli studenti e delle famiglie, suddivisi in pro e contro.

I contro: Totale assenza di un contesto sociale ed educativo reale; dispersione scolastica in aumento; studenti demotivati e provati psicologicamente; lezioni meno performanti (anche a livello di semplice trapasso di nozioni); ore e ore trascorse di fronte a un monitor oltre a quelle che già si passavano di fronte allo smartphone; famiglie con due genitori che lavorano in difficoltà a fare seguire ai figli le videolezioni.

I pro: poter fare bei video da condividere su Meet; riunioni scolastiche più veloci; poter invitare un relatore esterno in videolezione che annoierà a morte i ragazzi; poter far fare un sacco di cose digitali fighe agli studenti (che potevano comunque essere insegnate meglio in presenza).

Tutto questo non è una profezia, tutto questo è già successo, ora, è realtà, a maggio 2020. Non ho idea di cosa sarà a settembre e come sarà il prossimo anno scolastico, ma in questi mesi non cadiamo nella trappola.

P.S.
In realtà non sarei sincero se nei ‘Pro’ non citassi l’episodio di una studentessa con una forte disabilità che, con alcune modalità sperimentate in questi mesi, ha potuto seguire le videolezioni come gli altri studenti. Ecco questo è un esempio positivo portato da questi mesi difficili da didattica a distanza che non deve essere assolutamente perso. Anche solo per lei, forse questi mesi sono serviti realmente a qualcosa.

Samuele Marchi

Foto: Gruppo Fotografia Aula 21 – evento Priorità alla scuola Faenza

Samuele Marchi

Giornalista, sono nato a Faenza e dopo la laurea in Lettere all’Università di Bologna frequento il master in 'Sviluppo creativo e gestione delle attività culturali' dell’Università di Venezia/Scuola Holden. Ho collaborato con diverse testate locali e nazionali come Veneto Economia, Alto Adige Innovazione, Cortina Ski 2021, Il Piccolo, Faenza Web Tv. Ho partecipato all'organizzazione del congresso nazionale Aiga 2015 e del Padova Innovation Day. Nel 2016 ho pubblicato il libro “Un viaggio (e ritorno) nei Canti Orfici” (Carta Bianca editore) dedicato al poeta Dino Campana. Amo i cappelletti, tifo Lazio e, come facendo un puzzle, cerco di dare un senso alle cose che mi accadono attorno.

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