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Recensione di “La Fiera delle Illusioni” di Guillermo Del Toro

“Le persone non vengono a vedere i mostri di giorno, ma la sera, quando il buio è calato e ci parla del mistero, dell’ignoto.
La notte fa brillare le stelle… e fa diventare noi reali”

American Horror Story – Stagione 4.

Nel vecchio luna park di Clem si possono scovare i migliori fenomeni da baraccone del Paese: contorsionisti, uomini forzuti, nani lottatori, donne elettriche e medium in grado di parlare con gli spiriti.
Ah, dimenticavo. Non perdete l’occasione di vedere la performance dell’Uomo Bestia: un essere ormai non più umano, che si nutre di piccoli animali ancora in vita come un mostro feroce e assettato di sangue.
La cosa bella è che quel mostro prima era come tutti noi…

L’autorialità, se fornita di alto budget, perde di valore?

Il regista messicano, forte del successo internazionale del suo precedente film (la Forma dell’Acqua), qui riesce a dar sfogo a tutta la sua indiscutibile fantasia realizzando un adattamento fantastico (nel puro senso della parola) dell’omonimo romanzo di William Linsday Gresham del 1946, Nightmare Alley.
I soldi non mancano, e si vede. Il cast è composto da interpreti dai nomi roboanti sia per le parti principali che per quelle minori, le quali comunque rimangono in qualche modo fondamentali per lo sviluppo narrativo. Gli effetti visivi si sono drasticamente evoluti rispetto a pellicole come La Spina del Diavolo o Crimson Peak. Infine, generalmente si avverte un senso di pomposa sfarzosità tipica dei grandi Block Buster Hollywoodiani.

Intendiamoci, nel film traspare visibilmente tutto l’amore che solo un reale appassionato di cinema può trasmettere, tuttavia, dal punto di vista prettamente autoriale, il lungometraggio sembra mancare di contenuti significativi a favore invece di una forma curata nei minimi dettagli ed un intrattenimento di alta qualità.
Qualche messaggio velato compare pure saltuariamente ma non riesce a risaltare come nei lavori del passato tra cui Il labirinto del Fauno, il quale rimane tutt’ora il capolavoro massimo del cineasta.

Soprattutto il lungometraggio cade nell’errore di ribadire la poetica di del Toro senza però rinnovarla, fornendo allo spettatore sempre la solita minestra riscaldata su “Il rispetto per le diversità” che ormai è diventata una morale vecchia di parecchi secoli, ed inoltre utilizzare la metafora del circo per rappresentarla è una tecnica decisamente stantia.

Un omaggio al Noir classico senza dimenticare la varietà di genere.

Utilizzando tutti gli stilemi del caso, del Toro realizza un’ opera d’altri tempi, con personaggi chiari fin dalla loro apparizione, tra cui c’è da sottolineare la presenza di una sempreverde femme fatale, Cate Blanchett (perfetta per il ruolo).
Le atmosfere tuttavia si trasformano nel corso della visione, passando agilmente da situazioni soft horror a punte di gore sanguinolento, con una base di fondo tendenzialmente gotica che sfocia del thriller moderno dell’ultima mezz’ora di visione.
C’è quasi la sensazione di un incontro affettuoso tra tutte le opere di Tim Burton, il Freaks di Todd Browing e The Prestige di Christopher Nolan. Anche se, ovviamente, la mano del regista è chiara in ogni inquadratura e regala con successo le emozioni desiderate.

Leggere gli altri non è così difficile: La vera sfida è leggersi dentro.

Il film è sostanzialmente diviso in due porzioni definite tra di loro tramite le ambientazioni e il mutamento caratteriale del protagonista (Bradley Cooper).
Nella
prima metà, l’azione si concentra all’interno del contesto fieristico del midwest del ’39. Stanton Carlisle è un uomo alla ricerca di una professione e di un pasto caldo da mettere sotto i denti. Appare subito come una persona pacata, silenziosa ma senz’altro ambiziosa.
Difatti, in breve tempo riesce a conquistare una certa fiducia da parte di tutti gli altri talenti della fiera, i quali non hanno timore nel rivelargli svariati trucchi e segreti del loro settore e del loro mestiere.

Nella seconda parte invece assistiamo ad un cambio radicale nelle attitudini di “Stan”, il quale sta semplicemente rivelando la sua vera natura di individuo mosso da obiettivi materiali, poveri e purtroppo tristemente scontati.
Ed ecco che si alza il sipario sull’essenza del personaggio principale: Egli è un personaggio prevedibile, ma non vuole ammetterlo a sé stesso.
Un segreto di Pulcinella smascherato anche durante un dialogo antecedente con un esperto illusionista, il quale gli confessa che la sua innata capacità di indovinare il passato altrui non consiste in altro che nell’applicazione di uno schema standardizzato per ogni cliente. Un sistema, seppur con delle piccole variazioni, fallisce raramente e non fa altro che ripetersi sempre uguale, data la banalità inevitabile dell’essere umano, nei suoi traumi e nelle sue miserie personali. Un Loop tragico ed costante che tornerà anche nel finale.

Forse la vera illusione è quella di sentirsi speciali.

 

Ora state cercando il segreto ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. .”

The Prestige

 

Recensione a cura di Alex Bonora

Alex Bonora

Nato a Murano, ridente isola della laguna veneziana, famosa per la lavorazione del vetro. Diplomato prima come ragionerie a Venezia e successivamente come attore di prosa presso la scuola di teatro Galante Garrone di Bologna nel 2015 dopo un percorso accademico di tre anni. Per diverso tempo sono stato animatore turistico in diversi villaggi turistici in Grecia ricoprendo anche ruoli di responsabilità e coordinamento dello staff. Artista a tempo perso, viaggio molto ricordandomi di tenere costantemente i piedi per terra e la testa alzata verso il cielo. Appassionato di cinema, teatro e musica, ritengo che la critica artistica non sia la semplice valutazione di un prodotto ma un vero e proprio dialogo tra l’analista e il creativo, atto per l’arricchimento intellettuale del pubblico. Amo i dolci e possiedo una katana “Wado Ichimonji”(Strada dell’armonia) in omaggio al manga One Piece. Combatto tutti i giorni per la libertà. Individuale o collettiva che sia.

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