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Maximilian Nisi a confronto con Pirandello: “Il piacere dell’onestà” in scena a Ravenna

Faentino di nascita, dove ha conservato di questa terra la laboriosità e la fantasia, e artista teatrale, capace con un solo gesto di raccontare storie e mondi che pensavamo distanti. Torna in Romagna, sua terra d’origine, Maximilian Nisi: sarà tra i protagonisti de ‘Il piacere dell’onestà’ di Pirandello, regia di Liliana Cavani, in programmazione al Teatro Alighieri di Ravenna dal 28 al 31 marzo 2019. Un’occasione per rivivere la propria terra e raccontare, anche al pubblico di Buonsenso@Faenza, il proprio percorso artistico che lo ha portato a formarsi con i grandi maestri del teatro italiano.

Nato a Faenza nel 1970 si trasferisce in seguito con la famiglia a Torino dove trascorre la sua adolescenza. Nel 1990 viene ammesso alla Scuola del Teatro d’Europa di Milano diretta da Giorgio Strehler, dove tre anni più tardi consegue il diploma da attore. Nel 1995 si trasferisce a Roma per seguire il Corso di Perfezionamento per Attori presso il Teatro di Roma, diretto da Luca Ronconi. In quell’occasione lavora con Peter Stein, Federico Tiezzi, Piero Maccarinelli e segue i corsi di Storia del Teatro tenuti da Franco Quadri. Per lui anche partecipazioni cinematografiche e televisive.

Intervista a Maximilian Nisi, faentino di nascita

Maximilian raccontaci un po’ della tua formazione teatrale. Come è nata questa passione e come si è sviluppata?

Ho sempre avuto molti interessi. In un momento della mia vita ho creduto che il teatro potesse contenerli tutti. La musica, la danza, la scultura, la pittura, la poesia, la moda. Quadri tridimensionali in movimento. Epoche in successione. Era come salire su di una macchina del tempo e viaggiare liberamente attraverso i secoli. Potevo indossare inquartate, mantelli, gorgiere, armature e giocare a essere altro da me stesso. Il teatro era stimolante perché appagava gran parte delle mie curiosità. Ho incontrato compagni di gioco con i quali ho condiviso felicemente avventure, disavventure, sconfitte, vittorie. Ci vuole passione e un pizzico di follia per rinchiudersi in un teatro al buio, per giornate intere, alla ricerca di immagini o di emozioni che possano in qualche modo completarci ed aiutarci ad esorcizzare il profondo senso di vuoto che abbiamo dentro. Ringrazio Strehler, il mio maestro per avermi dato fiducia e mostrato con nitida consapevolezza e generosità la via da percorrere.

Qual è la cosa che apprezzi di più del ‘fare teatro’?

Il teatro è una forma d’arte e come tutte le forme d’arte serve alla vita. Noi attori raccontiamo delle storie, è questo il solo modo che abbiamo per dialogare col pubblico, per coinvolgerlo, rendendolo attivo, in un luogo rimasto sacro per me: il teatro. Adoro giocare con i personaggi che interpreto. Mi piace conoscerli, capirli, criticarli, amarli ed instaurare con loro un rapporto esclusivo e, quando capita, profondo. Questo, a volte, mi ha aiutato a comprendere meglio me stesso, le mie emozioni, i miei pensieri. Far teatro mi ha aperto al mondo, mi ha spinto a relazionarmi con esso, anche quando non avrei voluto farlo. Alla fine ho scoperto che osservare la gente mi diverte. Adoro spiarla nella vita quotidiana, mentre parla, mentre lavora o mentre beve semplicemente un caffè al bar. Nessuna persona è mai veramente banale o scontata, tutti hanno una storia da raccontare, sono romanzi ambulanti pronti a regalare le loro storie agli altri. E spesso non hanno bisogno nemmeno di parole, per raccontarsi, gli basta essere semplicemente quello che sono, con naturalezza. Molto di loro si svela, nei gesti, negli sguardi, nella scelta di fare, o di non fare, qualcosa.

Il piacere dell’onestà: tra apparenza e sostanza

Raccontaci un po’ dello spettacolo che porterete in scena a Ravenna. Come mai avete scelto di lavorare su questo testo di Pirandello?

Questa volta la scelta della pièce non è stata mia, sono stato provinato e scritturato. Credo che Liliana Cavani, in accordo con la produzione, abbia scelto questo testo per celebrare, nei 150 anni della nascita, un autore immenso, un premio nobel, che da anni rappresenta splendidamente il nostro paese in tutto il mondo: Luigi Pirandello. “Il piacere dell’onestà” è una commedia in tre atti scritta nel 1917. Come molte commedie di questo meraviglioso autore anche questa comincia con un matrimonio di copertura. Racconta di una donna ingravidata da un uomo sposato alla ricerca di una collocazione sociale degna. È questo un espediente drammaturgico usato spesso da Pirandello per mostrare il vero volto dell’umanità. Gli eventi raccontati sovvertiranno un ipotetico ordine: il disonesto sarà rispettabile mentre il rispettabile sarà mediocre e moralmente basso. Apparenza e sostanza, insomna. Una pièce emblematica, affascinante e ancora spaventosamente attuale.

Qual è il tuo personaggio? Come hai lavorato per caratterizzarlo?

Io interpreto Maurizio Setti, il cugino, un uomo di mondo, elegante, disinvolto, amante della bella vita e delle avventure. C’è chi ha visto dietro questo personaggio lo stesso Pirandello, desideroso di raccontare la sua poetica cartesiana nel famoso monologo delle lucciole. Non ho mai pensato di doverlo caratterizzare anche perché, a dire il vero, Maurizio Setti un po’ mi somiglia. Volevo solo fosse credibile di età, e con il trucco adeguato credo di esserci riuscito.

Quali sono state le difficoltà maggiori della messa in scena e quali invece le soddisfazioni più grandi?

Pirandello non è un autore semplice. Tutt’altro. È complesso, arzigogolato, enigmatico. Ama filosofeggiare e usa termini che ai più possono risultare desueti. La Cavani ha lavorato molto per rendere chiara e leggibile la sua messa in scena e per permettere a chiunque di avvicinarsi alle vicende raccontate e al linguaggio utilizzato. Mi è molto piaciuto questo approccio teatrale democratico, atto a evitare di tagliar fuori dalla comprensione anche un solo spettatore. È una regista intelligente e ironica. Lina Taviani ha curati i bellissimi costumi, Leila Fteita l’imponente scenografia e le musiche estranianti sono di Teho Teardo. Inoltre ho incontrato degli splendidi compagni di scena.

“Di Faenza ho bellissimi ricordi. L’unico dispiacere è non aver mai recitato al Teatro Masini”

Come ci hai detto, sei nato a Faenza. Che ricordi hai di questa città? Ti senti ancora legato? Se sì, perché?

Sono nato a Faenza, dove ho trascorso la mia infanzia, dividendomi tra Torino e la Romagna. Molti ricordi di me bambino sono dolci e pieni di colore. Ho trascorso momenti molto belli e ancora oggi mi sento un privilegiato a essere nato in questa regione d’Italia. Conservo dei miei natali la laboriosità, la serietà, la fantasia, il senso di ospitalità e la profonda e vincente semplicità. Quando ho la possibilità di tornare in Romagna, per motivi di lavoro o per altre ragioni, sono sempre felice di farlo. Unico dispiacere è quello di non aver mai recitato al Teatro Masini. So che è un bellissimo teatro, in cui, con mio sommo dispiacere, non ho mai messo piede.

Raccontaci un po’ dei tuoi progetti futuri.

Ho diversi progetti in ballo, ma in questo momento ho anche bisogno di fare nuove esperienze di vita. Devo assolutamente riempire la mia anima di grazia e di amore. Mi sono reso conto di aver trascurato aspetti della mia vita importanti e necessari. Vorrò essere un po’ meno attore e un po’ più persona.

Samuele Marchi

Giornalista, sono nato a Faenza e dopo la laurea in Lettere all’Università di Bologna frequento il master in 'Sviluppo creativo e gestione delle attività culturali' dell’Università di Venezia/Scuola Holden. Ho collaborato con diverse testate locali e nazionali come Veneto Economia, Alto Adige Innovazione, Cortina Ski 2021, Il Piccolo, Faenza Web Tv. Ho partecipato all'organizzazione del congresso nazionale Aiga 2015 e del Padova Innovation Day. Nel 2016 ho pubblicato il libro “Un viaggio (e ritorno) nei Canti Orfici” (Carta Bianca editore) dedicato al poeta Dino Campana. Amo i cappelletti, tifo Lazio e, come facendo un puzzle, cerco di dare un senso alle cose che mi accadono attorno.

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