Fondazione Giuseppina Berardi: 5 borse di studio da 2.500 euro, scadenza il 30 novembre 2020
Torna l’iniziativa a sostegno del diritto allo studio e del merito scolastico promossa dalla Fondazione “Giuseppina Berardi vedova Albonetti” di Faenza. Per l’anno accademico 2020/2021 sono finanziate cinque borse di studio da 2.500 euro ciascuna riservate a giovani studenti universitari residenti nel Comune di Faenza iscritti o in procinto di iscriversi a qualsiasi facoltà universitaria. Le borse di studio sono riconfermate annualmente e accompagnano lo studente universitario per l’intero corso di studi, a condizione che vengano mantenute le condizioni di merito e di reddito (Isee universitario non superiore a 28mila euro).
Scadenza per la presentazione delle domande: 30 novembre 2020
Il bando, contenente i requisiti richiesti per l’ammissione, e il modello di domanda sono reperibili sul sito dell’Asp della Romagna Faentina www.aspromagnafaentina.italla sezione Amministrazione Trasparente – Bandi di concorso.
“Bisogna essere figli nati da legittimo matrimonio”: le critiche della Cgil Ravenna
La Cgil Ravenna critica fortemente i requisiti del bando e afferma di aver provato «stupore, nel leggere fra le condizioni di ammissione al punto D) “di essere figli di genitori legati da legittimo matrimonio tanto con vincolo civile che con vincolo religioso cattolico…».
«Lascia perplessi – scrive la Cgil – che un’iniziativa assolutamente meritoria come il riconoscimento di borse di studio, anche di importo considerevole, a beneficio degli studenti faentini, abbia tra le sue condizioni di ammissione un requisito che, a prescindere dalla legittimità, è poco in linea con l’attuale tendenza della società e della normativa di riferimento ad estendere, e non a comprimere, i diritti e le tutele previsti per le famiglie di fatto, nella più ampia ed inclusiva accezione del termine».
«Si auspica pertanto – conclude la nota – che gli organi della Fondazione e in generale tutti gli enti coinvolti nell’iniziativa facciano quanto in loro potere per rivedere un requisito di accesso non accettabile secondo il comune sentire, soprattutto laddove si traduce nell’esclusione arbitraria di ragazzi e ragazze meritevoli, che nulla possono di fronte ad uno status che non dipende da loro, ma che li penalizza e, di fatto, li discrimina».