Eighth grade di Bo Burnham

“Quando meno te lo aspetti, la natura ha astuti metodi per trovare il tuo punto più debole. Tu ricordati che sono qui. Adesso magari non vuoi provare niente, magari non vorrai mai provare niente e, sai, magari non è con me che vorrai parlare di queste cose. Però prova qualcosa, perché l’hai già provata”
Chiamami col tuo nome

Il dramma della timidezza in una coraggiosa ragazzina di terza media. In tempi in cui la popolarità delle persone viene calcolata in maniera fredda e matematica tramite il numero di follower sul proprio profilo Instagram, la giovane Kayla si ritrova in una grave crisi esistenziale. Lei vorrebbe essere come le sue coetanee: rilassate, piene di amici e cariche di attenzioni. Purtroppo, il destino le ha riservato un nemico difficile da abbattere, ovvero il costante confronto con la propria sconfortante insicurezza. Una profonda sottovalutazione di sé stessa che cerca di superare tramite la creazione di una serie di video consigli online in cui cerca di dare ad altre persone un suggerimento per attraversare le varie fasi della crescita, ma che in realtà non sono altro che la rappresentazione del proprio grillo parlante interiore che vuole solo sfogarsi.

La sensibilità amara di Bo Burnham, dal web al cinema

Burnham ha un passato molto particolare, palesemente figlio della tecnologia dilagante di questi ultimi dieci anni. Già a diciassette anni era una delle più importanti web star di youtube. Sketch comici e canzoni esilaranti lo hanno portato a una fama consistente in pochissimo tempo. Grazie ad una collaborazione Netflix ha pure registrato due ottimi spettacoli dal vivo di vera Stand Up Comedy. “What” e “Make Happy” (titoli degli show citati) sono prodotti assolutamente da recuperare se si vuole avere un’idea chiara e completa della poetica imprevedibile di Burnham. Da lì, poco dopo, è riuscito a fare il grande salto e, successivamente aver recitato alcune parti di contorno in alcuni film di genere, finalmente riesce a mettersi dietro la macchina da presa e a consacrarsi come artista a tutto tondo con una moltitudine di potenziale tutto da scoprire.

Un’ opera prima che lascia sperare a una carriera sfavillante

Il suo stile è contraddistinto da un’ironia sofferta e non sempre di facile comprensione. Le paure e i timori dei personaggi vengono esplicitati parola per parola senza dare spazio all’immaginazione. Una comicità intelligente che tenta di puntare il dito sulla figura dei vincenti e non sui più sfortunati. La sceneggiatura semplice presenta chiavi di lettura innovative e moderne, le quali danno alla pellicola un’aria aperta e fresca. Le turbe adolescenziali e il rapporto con gli adulti sono l’elemento fondamentale del discorso con ovvi riferimenti al repertorio comico del giovane cineasta. Da sottolineare inoltre alcune trovate registiche niente male, come l’utilizzo di rallenty improvvisi accompagnati da una coinvolgente musica elettronica oppure dalla storpiatura di alcune banali situazioni di quotidianità che diventano raffigurazioni mostruose, simbolo dei sentimenti della protagonista.

La lacrima più grande è quella degli introversi: Il mondo può divorarli in un istante, ma è davvero colpa loro?

La tenera Kayla (Elsie Fisher) è la principale vittima della vicenda. Per tutta la visione noi la notiamo per la sua piccolezza, per le sue spalle stressate, le sue paranoie e il suo disperato bisogno di adattarsi alla comunità a cui appartiene. Cerca di reggere un peso troppo vistoso per lei: l‘adolescenza. Una bambina di 14 anni, quasi senza amici, che non si sente capita e ascoltata a causa della sua indole pacata e poco confidente. Vorrebbe essere qualcosa di più ma un problema più profondo la colpisce ripetutamente da dentro. Il rapporto con il padre è scritto divinamente, ricordando anche la difficoltà dei genitori dell’interagire e nel comprendere a pieno i propri figli. Il film riesce con successo a porre l’attenzione sulla questione della sensibilità individuale, un realtà diffusissima, soprattutto per i giovanissimi, ma che purtroppo deve ancora trovare concreta visibilità nella società macista in cui viviamo attualmente.

“I’m stoked on ambition and verve I’m gonna get what I deserve”
Miley Cyrus – Black Mirror S05E03

Alex Bonora

Samuele Marchi

Giornalista, sono nato a Faenza e dopo la laurea in Lettere all’Università di Bologna frequento il master in 'Sviluppo creativo e gestione delle attività culturali' dell’Università di Venezia/Scuola Holden. Ho collaborato con diverse testate locali e nazionali come Veneto Economia, Alto Adige Innovazione, Cortina Ski 2021, Il Piccolo, Faenza Web Tv. Ho partecipato all'organizzazione del congresso nazionale Aiga 2015 e del Padova Innovation Day. Nel 2016 ho pubblicato il libro “Un viaggio (e ritorno) nei Canti Orfici” (Carta Bianca editore) dedicato al poeta Dino Campana. Amo i cappelletti, tifo Lazio e, come facendo un puzzle, cerco di dare un senso alle cose che mi accadono attorno.

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