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Dune di Denis Villeneuve

Villeneuve ce l’ha fatta: ha compiuto l’impresa impossibile di trasporre per il cinema Dune, il celebre romanzo di Frank Herbert, tra i padri fondatori della fantascienza epica. Una storia grande ed universale che ha funto da ispirazione per molti, a cominciare da George Lucas con il suo Star Wars. Prima di Villeneuve due sono stati i tentativi di tradurre in fotogrammi le pagine della complessa saga di Herbert: il primo, zoppicante passo lo ha compiuto David Lynch nel 1984, in un progetto che avrebbe dovuto sbancare il botteghino e che invece si rivelò un cocente flop sia economico che produttivo. Il film mantiene un suo fascino e la regia di Lynch è comunque degna di nota, ma non regge il confronto né per quanto riguarda l’arte del maestro dell’onirico né in termini di restituzione del mondo immaginato da Herbert. Poi arrivò la miniserie del 2000, che pur cercando una maggior fedeltà alla trama non riuscì a entrare nell’immaginario collettivo e in ogni caso non si trattava di un adattamento cinematografico, bensì televisivo. Molto tempo addietro persino Alejandro Jodorowsky, regista cileno di film indipendenti e visionari, tentò una trasposizione che si rivelò una maledizione: il film doveva coinvolgere leggende del calibro di Orson Welles e Salvador Dalì, doveva avere una durata di dieci ore ed essere interamente musicato dai Pink Floyd: il tutto naturalmente finì nel bidone ancor prima di iniziare le riprese; la storia di questo fallimento è raccontata nel documentario Jodorowsky’s Dune del 2013.

Dune: una scommessa (finalmente) vinta

Oggi, con un anno di ritardo a causa della pandemia, Dune di Villeneuve è finalmente nelle sale e non solo: il regista canadese esce vincitore da una sfida ritenuta maledetta e che avrebbe scoraggiato nomi ben più altisonanti del suo, esattamente come accaduto per il suo precedente Blade Runner 2049. Già questo basta per convincersi ad andare in sala: Dune non è solo il kolossal dell’anno, ma è anche il raggiungimento di un traguardo importante per quanto riguarda il cinema stesso, di fantascienza e non.

Il cast del film è stellare e permette, insieme a un’ottima sceneggiatura, di caratterizzare a dovere ogni personaggio, anche quelli che hanno uno screen time di pochi minuti. Scelte vincenti si rivelano in particolare quelle di Chalamet nel ruolo principale di Paul Atreides; la sorpresa Rebecca Ferguson, attrice meno nota ma dotata di un fascino freddo e misterioso nei panni di Lady Jessica; e il rivoltante barone impersonato da un deforme Stellan Skarsgård, che già nella saga dei Pirati dei Caraibi ci aveva abituati alle sue fisicità compromesse.

Un film complesso e raramente gridato

Il film fin dall’inizio presenta un mondo nuovo, lontanissimo eppure similare al nostro, alieno nella costruzione scenografica, nel concepimento dei design di costumi, usanze, trucchi e in tutto ciò che riguarda l’estetica. Il desertico Arrakis è indubbiamente il luogo che più rimane nella mente, grazie al suo mare di sabbia dorata, ai celebri vermi delle sabbie e all’inevitabile parallelismo col “nostro” Medio Oriente, sia concettualmente che esteticamente. Villeneuve come al solito si prende il suo tempo per far decollare la storia: lo spettatore si ritrova così coinvolto in un racconto epico ricco di nomi di casate, famiglie, pianeti e molto altro ancora. È una trama densa che raggiunge solo pochi picchi di intensità ma che si mantiene sempre su un filo teso, anche grazie alle immagini suggestive e ricche di stupefacenti dettagli che riempiono gli occhi. Le musiche di Hans Zimmer catturano il misticismo di cui la storia è pregna e riescono a incutere un certo timore in più punti: si ha l’impressione di assistere a qualcosa di gigantesco e non ancora giunto al clou. In effetti questa sarà solo la prima parte di una (forse) nuova saga cinematografica da molti già paragonata a Il Signore degli Anelli, ma fortemente diversa nella sua realizzazione.

Villeneuve vince questa sfida perché porta al cinema un film complesso, sussurrato e raramente gridato, frammentato nella trama che si snoda tra tradimenti, complotti e le visioni di Paul. Queste ultime appaiono svincolate da tempo e spazio, appositamente filmate per generare confusione e spaesamento nello spettatore, attraverso una mano tecnica eccezionale che non lascia mai nulla al caso.

Pur con queste prerogative, il suo Dune è anche appetibile per il grande pubblico proprio grazie all’incredibile mondo visionario generato dal team di scenografi ed effettisti, all’universalità della trama che mette in gioco l’ennesimo Messia dedito alla scoperta di sé stesso, e al fatto che si sta parlando di una delle maggiori opere di fantascienza di sempre, ora finalmente sbarcata al cinema al meglio delle sue possibilità. Chapeau al regista canadese: in attesa di continuare la saga possiamo gustarci questo primo capitolo più e più volte.

Alessandro Leoni

 

 

Alessandro Leoni

Sono nato a Faenza nel 1993. Mi sono diplomato presso l’istituto tecnico agrario “G. Scarabelli” a Imola, e al momento studio Tecnologie Alimentari presso l’Università di Bologna – Sede di Cesena. Sono attore nella compagnia teatrale “Amici dell’Europa” da circa una decina d’anni nell’ambito prosa; ho fatto esperienza anche nell’operetta e nel musical collaborando, tra gli altri, con la “Compagnia del Cancello”. Nel tempo libero mi interesso di cinema, di cui sono molto appassionato, e pratico kung fu.

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