Antonietta Petrone, capitano dell’Arma, incontra gli scout del Valdilamone

Tratto da Il Piccolo – venerdì 22 febbraio 2019

Un bel momento di confronto, all’insegna di quello che dovremmo sempre ricordare: dietro a un’istituzione c’è sempre una persona, con cui è utile dialogare e sulla quale si può sempre contare. A conclusione di un percorso dedicato all’approfondimento della sicurezza, gli scout del clan Hara e alcuni capi del gruppo Val di Lamone 1 hanno incontrato mercoledì 13 febbraio il capitano dei Carabinieri Antonietta Petrone, da settembre alla guida della compagnia di Faenza. Dalle motivazioni che l’hanno spinta a frequentare l’Accademia militare di Modena alla sua esperienza nella realtà faentina, un incontro per approfondire l’organizzazione dell’Arma, le attività che vengono portate avanti, e soprattutto conoscere meglio la persona, scoprendo che se oggi è qui è perché ha fatto un cammino ricco di sacrifici ma anche di soddisfazioni.

Antonietta Petrone ha incontrato rover e scolte del clan Hara al termine di un percorso sulla sicurezza

Una passione, quella della capitano Petrone, che non nasce in famiglia – nessun parente era appartenente all’Arma – ma dalla testimonianza di un’uniforme che vede ogni giorno nelle strade della sua città. «Abitavo in un borgo di 5mila abitanti – spiega – dove ai miei occhi lo Stato era rappresentato proprio dal maresciallo di paese e provavo grande ammirazione per la sua figura. Fin da giovane mi ha sempre affascinato l’idea di giustizia, ed è così che iniziato a studiare Giurisprudenza, anche se fin dal primo anno di università ho capito subito che la carriera di avvocato penalista non avrebbe fatto per me». È un altro il percorso che sceglie Antonietta Petrone, un cammino fatto non solo di studio ma anche di preparazione, fisica e caratteriale, per essere un giorno anche lei lì, per le strade di una città, a rappresentare la giustizia.

La formazione all’Accademia militare di Modena

«Mi sono avvicinata all’Accademia dopo aver visto i filmati del figlio di alcuni amici di famiglia che la frequentava e che mi hanno molto colpito. All’inizio pensavo che per me sarebbe stato troppo difficile, ma poi ho deciso comunque di provare il test di ammissione all’Accademia militare di Modena». All’epoca erano solo 50 gli ammessi, indicati dopo una selezione durissima. «Lo Stato investe molto su di te – conferma Petrone – ed è giusto quindi che venga fatta un’efficace scrematura all’inizio». Un test di cultura generale; prove fisiche, psicologiche e attitudinali di ore e ore. Corsa, piegamenti sulle braccia, salti in alto e di nuovo corsa. E poi un colloquio finale. Al termine, Antonietta Petrone è tra i 50 ammessi. «Bisogna crederci e volerlo, la motivazione è fondamentale».

Questo vale sia prima la selezione sia dopo. La vita in Accademia è durissima e i primi giorni sono i più difficili. «Alcuni miei compagni hanno mollato dopo pochi giorni. Ci sono ritmi davvero assidui: da settembre a maggio la formazione militare viene portata avanti assieme alle lezioni di giurisprudenza e agli esami». E i sacrifici non finiscono qui: mentre uno studente normale si sarebbe goduto il meritato riposo a giugno e luglio, gli allievi dell’Accademia sono chiamati ai campi di addestramento. «Ci si allontana dalla famiglia e dagli affetti e bisogna fidarsi delle persone che hai attorno, è una scelta che si fa solo se si è motivati. Ho imparato davvero tanto in quegli anni e in ogni caso ho anche tanti ricordi belli, in particolare dei campi estivi in montagna».

“A Faenza si denuncia molto, significa che le persone si fidano delle istituzioni”

Dopo diverse esperienze in varie aree di Italia, ultima Torino, da settembre Antonietta Petrone arriva a Faenza. Qual è il quadro delle criticità nella nostra zona? «A Faenza la gente denuncia molto, e se si denuncia significa che si ha fiducia nelle istituzioni. Non è scontato: in altre zone d’Italia non è così». Droga, prostituzione e truffe sono i principali reati presenti. «Nella provincia di Ravenna ci sono tantissimi sequestri di droga e questo per due motivi: la presenza del porto, a Ravenna, e la situazione di generale benessere sul territorio che fa sì che ci sia molta richiesta. Anche il fenomeno della prostituzione, pur calato, è importante. Ultimamente sono cresciute molto le truffe, in particolare online, e per questo stiamo cercando di sensibilizzare gli anziani».

Tra sicurezza reale e sicurezza percepita

Su quasi cento unità della propria Compagnia, solo quattro sono donne. Com’è essere Carabiniere in un ambiente prevalentemente maschile? «Non si sente questa differenza – risponde Petrone – Aldilà del sesso siamo prima di tutto persone e colleghi, ognuno con le proprie attitudini e capacità. E se uno è portato per certi settori deve essere aiutato a dare il meglio di sé». I rover e le scolte chiedono allora cosa significhi per lei la parola ‘sicurezza’. «Per me sicurezza è poter passeggiare per strada tranquillamente, poter fare qualsiasi cosa nel mio vivere quotidiano e dormire serenamente nella mia abitazione. Sono stata di recente a un incontro con gli anziani sulle truffe. Alcuni mi hanno detto: ‘Noi non usciamo la sera perché abbiamo paura’, ecco, nostro compito è aiutare queste persone».

E qui si apre anche un altro tema: quello della sicurezza reale e quello della sicurezza percepita. «È vero, spesso la percezione della sicurezza non corrisponde alla realtà – conferma Petrone – Per esempio, ultimamente abbiamo ricevuto diverse denunce per maltrattamenti subiti in famiglia da donne straniere. Questo non significa che in passato non ci fossero casi simili, ma le donne straniere, dopo aver vissuto diversi anni in Italia, hanno ora più consapevolezza dei loro diritti, per cui denunciano di più. Come detto prima poi, tante denunce significano allo stesso tempo che la gente si fida delle istituzioni. Anche il furto d’appartamento è significativo: è un reato che tocca molto le persone, aldilà del valore economico, perché ci sentiamo lesi nella nostra intimità. A Faenza ho notato che questo reato è più sentito, per esempio, rispetto a dove operavo prima, a Torino, perché in un Comune piccolo ha più eco. Oggi poi tutto quello che succede viene amplificato tramite i social».

Le nuove sfide dell’Arma dei Carabinieri e il valore di un’uniforme

E qui si apre un tema nuovo: quello delle denunce fatte non direttamente all’Arma ma tramite un post pubblico su Facebook. «Per noi rappresentano un problema non indifferente, perché la gente non denuncia in Caserma, ma preferisce postare le foto, e sono casi difficili da gestire, così come quelli relativi alle fake news che si diffondono».

«Una delle cose più belle che noto da quando sono a Faenza – conclude – è però il rapporto col cittadino, che qui è molto più diretto e appagante». Perché, come detto, dietro i valori di un’uniforme, c’è sempre una persona su cui poter contare; e questo unisce sia gli scout che i rappresentanti dell’Arma.

Samuele Marchi

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