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TRACe: un crowdfunding per sostenere la ricerca sulle cellule tumorali

Un crowdfunding “made in Romagna” per sostenere la ricerca sulle cellule tumorali: obiettivo 20mila euro entro il 13 giugno 2017. Sono questi i fondi necessari per sostenere TRACe, un progetto sviluppato dal gruppo di ricerca sulle cellule tumorali circolanti (CTC) dell’Istituto scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori di Meldola (IRST). Tramite il portale Ginger, gli utenti possono supportare la ricerca non solo come semplici donatori, ma come veri e propri sostenitori ben consapevoli dell’importanza che hanno questo tipo di iniziative per la lotta contro i tumori.

Per capire meglio il progetto abbiamo intervistato le dottoresse Giulia Gallerani (nell’intervista GG, ndr) e Claudia Cocchi (nell’intervista CC, ndr), ricercatrici, biologhe Laboratorio Bioscienze Istituto Tumori Romagna (Irst) Irccs.

Quando è perché è nata l’idea di una campagna crowdfunding per portare avanti la vostra ricerca del progetto TRACe?

GG: Ricordo bene il primo momento in cui si è parlato di TRACe quando ancora non aveva un nome specifico, è stato a giugno 2016 durante lo Smau a Bologna. Eravamo presenti come espositori grazie ad Aster (Reta Alta Tecnologia dell’Emilia Romagna) in quei giorni si parlava tanto di innovazione e nuove idee, così ho pensato di poter essere un beta test per un eventuale progetto di crowdfunding. Circa tre mesi dopo abbiamo costituito un piccolo nucleo operativo formato da diverse professionalità (Ricerca, Trasferimento Tecnologico e Ufficio Comunicazione) per cominciare questa nuova avventura.

“In questo progetto le persone “supportano”, non è semplicemente un donare

L'Istituto meldola
L’IRST di Meldola

La scelta del crowfunding appare molto più di una semplice “raccolta fondi”. Sulla vostra pagina di presentazione sul portale Ginger, il progetto viene descritto come “un nuovo modello di collegamento tra la ricerca oncologica e la cittadinanza, tra il lavoro in laboratorio e la vita quotidiana, tra il contributo di tutti e il risultato finale”. Che cosa significa esattamente questo nuovo punto di vista che proponete?

GG: Hai detto bene, non è una semplice “raccolta fondi”, ma un “circolo virtuoso” dove il laboratorio apre virtualmente le porte alla cittadinanza. In questo progetto le persone “supportano” non “donano” è proprio questa la differenza e noi dall’altra parte una volta avviato il progetto di ricerca, aggiorneremo i TRACe in modo intelligibile dei vari progressi.

TRACe: per la prima volta un laboratorio di ricerca utilizza il crowdfunding

In che senso vi definite “il primo crowdfunding che ti porta nel laboratorio di ricerca”?

GG: Perché nonostante siamo nell’epoca d’oro di internet e della comunicazione non c’è un Irccs (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) che in Italia abbia utilizzato la formula del crowdfunding prima.

CC: Questa campagna permette alle persone di venire informate davvero dell’impiego delle donazioni e soprattutto permette di venire a conoscenza dei progressi fatti. Ci piacerebbe che le persone si sentissero coinvolte nel progetto, parte integrante di questo, sempre al corrente dei piccoli passi in avanti permessi anche grazie alla loro generosità. Noi vogliamo “metterci la faccia” ed essere trasparenti su ciò che si fa nel nostro laboratorio.

Il progetto vuole portare avanti le ricerche sulle CTC: cellule tumorali ancora poco conosciute

Venendo più nello specifico, perché è importante la ricerca sulle CTC nella prevenzione ai tumori? Quali risultati avete ottenuto dalle vostre ricerche?

CC: Partiamo dalle definizioni, le CTC sono: cellule tumorali che si distaccano dal tumore primitivo ed entrando nel circolo sanguigno, potrebbero avere la potenzialità di dare origine alle metastasi.
La loro esistenza è nota da anni, ma l’avanzamento tecnologico ha consentito solo ultimamente di poterle studiare a causa soprattutto della loro rarità rispetto alle popolazioni cellulari del sangue. Attualmente la conta delle CTC ha un valore prognostico per alcune patologie tumorali ben definite e in Italia non ci sono metodi diagnostici basati sulle CTC.

GG: Per questo motivo non si può parlare oggi di prevenzione legata alle CTC, ma solamente di ricerca.
Studiare le CTC è molto importante perché ricoprono un ruolo nella malattia tumorale ancora troppo poco conosciuto, ma in un futuro i risultati ottenuti potrebbero riflettersi nella pratica clinica oncologica con conseguenze davvero promettenti.
Nel nostro laboratorio, abbiamo sviluppato nuovi metodi per rilevare le CTC presenti nel sangue dei pazienti e modi per mantenerle vitali. Stiamo avendo riscontro positivo dalla comunità scientifica grazie alla pubblicazione di articoli scientifici. Personalmente sia io che Claudia nel nostro percorso di studi abbiamo ottenuto il premio studio della Società Italiana di Citometria per la migliore tesi di laurea rispettivamente nel 2012 e 2015, ed entrambe avevano le CTC come argomento principale.

Nel caso riusciste a portare a termine il crowdfunding, esattamente come verranno investite le risorse?

GG: Purtroppo, per quanto affascinante, la ricerca è molto costosa e i soldi che raccoglieremo con questo crowdfunding verranno investiti prima di tutto in reagenti per gli esperimenti, in eventuali acquisti di strumentazione e, ovviamente, per sostenere i costi delle pubblicazioni scientifiche che auspichiamo derivino dal progetto.

Cosa riceveranno in cambio i partecipanti alla campagna di crowdfunding?

CC: Chi deciderà di sostenerci riceverà in cambio un piccolo dono simbolico del grande aiuto che ci ha dato e della nostra riconoscenza. I riconoscimenti partono da un ringraziamento sui social, passando per attestati e chiavette USB, fino ad arrivare a citazioni nei ringraziamenti delle pubblicazioni scientifiche che scaturiranno da questo progetto.

Il crowdfunding: un linguaggio per avvicinare la ricerca ai non addetti ai lavori

Le due ricercatrici del progetto TRACer Giulia Gallerani e Claudia Cocchi.

Quanto è importante al giorno d’oggi per un ricercatore medico essere anche un “bravo comunicatore” per riuscire a presentare i propri progetti e ottenere finanziamenti?

CC: Al giorno d’oggi è importante per un ricercatore essere in grado di comunicare la propria idea perché sempre di più la ricerca in senso esteso sta diventando un campo non solo di nostra pertinenza. È necessario aprirsi all’esterno, alle aziende e alle fondazioni sia per reperire fondi, sia per tessere una rete di collaborazioni che ci permettano di essere più efficaci nel nostro lavoro. È fondamentale collaborare con altri ricercatori perché il nostro progetto possa avere una ricaduta positiva sui pazienti nel minor tempo possibile.

GG: A mio avviso è cruciale, soprattutto perché il linguaggio tecnico lo si può utilizzare solo quando si applica ai cosiddetti “grant” ovvero fondi per ambiti di ricerca specifici.
Per le altre forme di finanziamento, dove il ricercatore interloquisce con un “non-ricercatore”, allora il linguaggio deve cambiare ed essere meno tecnico e più accessibile. Faccio un esempio: il copione per il video è stato redatto impiegando più di un mese per rendere la parte scientifica fruibile e comprensibile anche ai “non addetti ai lavori”(in qualità di ricercatore penso sia una delle cose più difficili da fare).

“Un dato negativo non è mai un dato da buttare, ma aiuta a migliorarsi”

Quale sono le sfide più difficili da superare in un lavoro di ricerca come il vostro?

GG: Per me è rimanere perseveranti e positivi, perché prima di avere il metodo sperimentale giusto sono necessari tanti esperimenti e una volta ottenuto deve essere replicato molte volte per renderlo “ripetibile” (ovvero per validare il fatto che il risultato ottenuto non sia dovuto al caso). Fondamentalmente è il cardine del metodo scientifico ad essere la parte più difficoltosa, ma è anche la più gratificante una volta ottenuto il risultato, qualsiasi esso sia.

CC: Lavoriamo in un ambito di ricerca che, come dicevamo prima, presenta delle limitazioni nell’identificazione delle CTC. Le sfide principali sono quelle di ideare metodi di indagine e di analisi sempre più efficaci, ma sempre meno invasivi per il paziente. Inoltre è necessario imparare ad estrapolare da un risultato negativo inaspettato un dato rilevante che ci aiuti a progettare meglio gli esperimenti futuri. Un dato negativo non è mai un dato da buttare, ma un’indicazione su come migliorarsi.

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