Fine vita, la testimonianza di un medico faentino: “Il nemico non è la vita, ma la sofferenza”
Un tema complesso, che richiede di essere affrontato sotto vari punti di vista, senza banalizzare le diverse posizioni. Prosegue in queste settimane, anche a Faenza, la raccolta firme per richiedere un referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia. Per questo offriamo al dibattito le riflessioni di Pierpaolo Casalini, medico anestesista-rianimatore dell’ospedale di Faenza, che si trova a dover affrontare nella pratica quotidiana il fine vita e tutto ciò che implica, tanto per i medici quanto per i pazienti. “Per me, in quanto medico, l’introduzione dell’eutanasia è una sconfitta e una sorta di tradimento del rapporto di fiducia profondo fra il medico e l’assistito – spiega Casalini -. Lo esprimo questo come pensiero personale perché non posso pensare che ciò sia vero per tutti i medici, anche quelli della mia categoria, anestesisti-rianimatori, spesso coinvolti in situazioni di fine vita nello svolgimento quotidiano della professione. Ritengo che l’introduzione di un diritto come questo possa aprire le porte a conseguenze non prevedibili e ribadisco che svilisce il ruolo di chi cura, spaccando la relazione tra medico e paziente. Si fiderà di più o di meno un paziente che sa che il suo medico potrà praticargli l’eutanasia, seppure a richiesta? Entrare nella sofferenza di una persona e accompagnarla è certamente difficile e ancora di più è difficile descriverla e regolamentarla. Infatti una condizione di sofferenza è di per sé evolutiva, ed evolutivo è il rapporto che si realizza con la sofferenza stessa: chiunque ne fa esperienza. Noi sanitari vediamo pazienti che evolvono, migliorano, peggiorano senza che sia possibile in vari casi individuare un preciso punto di non ritorno”.
Le ambiguità giuridiche, “Si deve puntare invece sul rapporto medico e paziente”
Il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick su Avvenire ha parlato di “un referendum ambiguo”, che liberalizza l’omicidio del consenziente salvo tre casi (l’uccisione di un minore, di una persona inferma di mente, di una persona cui il consenso a essere uccisa è stato estorto con violenza o inganno). È un rischio concreto? “Una riduzione del problema alla sua semplice depenalizzazione che non rispetti e interpreti con forte precisione le indicazioni date dalla Corte Costituzionale sarebbe deleteria – risponde Casalini -, Mi pare di capire che se un ragazzo in preda a una forte depressione, con la sofferenza di vivere conseguente, chiedesse l’eutanasia questa potrebbe essere offerta purchè richiesta da lui, maggiorenne… anche in questo senso credo si sia paventato il rischio di ambiguità. Non ci sono in realtà veri punti scoperti sulla normativa già vigente, salvo che non si vogliano fare leggi ad personam. Ciò che andrebbe favorita ulteriormente è la relazione medico paziente. Relazione di cura che promossa dalla legge sulle Disposizione anticipate di trattamento (Dat, art. 2, legge 219 del 2017), non è codificabile nella sua attuazione, ma si realizza lasciando fare al medico quella parte della sua professione che consiste nell’individuare e aggiornare continuamente l’appropriatezza dei trattamenti proposti al paziente, e al paziente, aiutato dagli altri sanitari e dai parenti, la liberta di giudicare la proporzionalità dei trattamenti proposti nel contesto dei valori e della percezione della propria vita, come esprime un documento pubblicato dalla Società Scientifica degli Anestesisti e Rianimatori Italiani che da tempo lavora su questo tema”.
Nella pratica, i punti di incontro tra laici e credenti ci sono
Come uscire dunque dalla contrapposizione su questi temi tra laici e credenti, che rischiano di svilire il dibattito? “La libertà, i diritti, gli sviluppi della civiltà non dovrebbero essere contrapposte a una concezione della vita ma sono parte della vita stessa – dice Casalini -. Ciò che mi ha sempre sorpreso nel dibattito su questi temi è stata proprio la contrapposizione. Il nemico non è la vita, ma la sofferenza, ed è su questo piano che ho trovato nel lavoro pratico di tutti i giorni, nello sviluppo delle cure palliative e anche nell’esercizio della attività medico-intensivistica (il mio lavoro) molti più punti di incontro fra persone che hanno riferimenti etici diversi fra loro di quello che vedo rappresentato da coloro che propongono il referendum”. Come uscire dunque dalla logica degli slogan? “Il fine vita non è una condizione innaturale, pur misteriosa e spesso angosciante – dice -. La sofferenza che provocano alcune malattie e, a volte, alcuni trattamenti è invece il tema da affrontare ma… la medicina non è nata per questo?”
Per approfondire
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