È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino
Sorrentino torna alle origini e filma a Napoli, la sua terra natìa. Decide di girare un film autobiografico, che racconti della sua giovinezza, dei suoi ricordi e di ciò che lo portò ad essere il regista che è ora. Il risultato è stupefacente. È stata la mano di Dio è una pellicola emozionante, commovente e vera. Un’opera piena di vita e che racconta la vita, cruda e reale, ma ancorata alla dimensione del sogno, come sempre nel cinema del suo autore. Incarnato nell’alter-ego Fabio (detto Fabietto dai parenti), giovane introverso sempre accompagnato dai suoi auricolari, distratto osservatore di ciò che gli accade intorno, facile preda degli ormoni alla vista della formosa zia e incerto sul futuro che lo attende, Sorrentino apre la sua anima al pubblico e si spoglia di ogni artifizio visivo. Non rinuncia alla sua cifra stilistica ma si lascia andare in un crescendo di emozioni e calore umano.
Uno dei migliori film dell’anno
Per farlo mette in scena una serie di personaggi bizzarri e veramente divertenti, che servono a farci conoscere il contesto nel quale è cresciuto Fabietto. Una famiglia allargata, un grande affresco di caratteri ognuno con la sua stranezza e peculiarità, ed ognuno portatore di un piccolo dramma interno. Come di consueto nel cinema di Sorrentino ogni personaggio assume importanza e ha in sé una storia da raccontare. Ma stavolta il focus è puntato sul protagonista e sulla crescita alla quale è costretto a venire incontro prematuramente.
Nel secondo atto assistiamo quindi ad un cambio di marcia: la felicità si trasforma in panico, la vicinanza e il calore familiare vengono meno e lasciano il posto alla solitudine e soprattutto al disorientamento. La vita di Fabio si fa pesante, la realtà scadente. Ma è proprio da questo improvviso scossone che può germogliare una nuova vita, necessariamente legata al distacco dalla realtà: una fuga che il protagonista ricerca nella settima arte e nella voglia di raccontare storie, perché solo “chi ha le palle” può fare cinema. Si spiega così una vita e una carriera, quella di Paolo Sorrentino. Tuttavia, pur trattandosi di un racconto personale, il regista riesce a farci identificare in Fabietto e a trasmetterci le ragioni di una passione.
La mano de Dios come entità salvifica
È stata la mano di Dio potrebbe essere definito come l’Amarcord di Sorrentino (non a caso Fellini viene citato e ripreso più volte), grazie al dipinto che fa di Napoli in tutta la sua bellezza marittima, ma anche nei suoi usi e costumi e nella gioiosità che accompagna i personaggi che si muovono lungo le strade partenopee. Ma l’autore aggiunge qualcosa in più: identifica nella leggenda calcistica di Diego Armando Maradona un’entità salvifica, una rivelazione che da Sorrentino sempre viene elevata a piani quasi divini. La “mano de Dios” fu davvero per lui una salvezza e un qualcosa che determinò, forse nel punto più cruciale, la sua vita.
Mescolando in modo mai tanto funzionale la commedia alla drammaticità (anche nelle scene più tragiche non si rinuncia a una buona dose di sincera ironia), il film è indubbiamente uno dei migliori dell’anno e dell’intera carriera del conosciutissimo cineasta. Un racconto di formazione dotato di grande ricchezza di dettagli, in grado di toccare le corde più sensibili e di commuovere come mai prima d’ora nel cinema di Sorrentino, senza appesantirsi o perdere di ritmo. Dopo un breve periodo nelle sale cinematografiche, il film sarà presto disponibile online su Netflix.
Alessandro Leoni