Welfare aziendale: servono reti d’impresa
Chi si occupa oggi di fare la spesa? E di comprare i libri scolastici per i figli? Nessun problema, ci pensa l’azienda. A fronte di un sistema pubblico in difficoltà negli ultimi anni è stato il welfare aziendale che ha cercato di assicurare ai dipendenti dei pacchetti di beni e servizi gratuiti (o a prezzi molto calmierati) capaci di garantire l’acquisto dei libri scolastici per i propri figli, ma non solo. Anche l’assistenza medica, il dentista, la spesa alimentare. Ma è possibile un welfare aziendale nella Romagna faentina? Ad approfondire questo tema è stato Andrea Piazza, attraverso una ricerca realizzata con il contributo di Fondazione Dalle Fabbriche e La Bcc che ha portato alla pubblicazione dell’e-book “Diffusione e prospettive future del welfare aziendale nella Romagna Faentina”, scaricabile gratuitamente da Homeless Book e presentato lunedì 11 febbraio a Faenza.
Già avviate alcune esperienze di welfare aziendale nella Romagna faentina
L’analisi del contesto territoriale, la rilevazione dello status quo e – soprattutto – i colloqui con i responsabili d’impresa e della gestione del personale di venti aziende locali (che insieme rappresentano un fatturato superiore a 1,3 miliardi di euro e impiegano oltre 3.200 lavoratori residenti fra Faenza e i cinque Comuni del circondario) permettono di rispondere al quesito di partenza. «Innanzitutto – spiega Piazza nella ricerca – si è rilevato come le aziende del comprensorio faentino non siano ‘a digiuno’ di strumenti e iniziative di welfare, erogato unilateralmente o contrattualizzato attraverso accordi di secondo livello».
Lo studio di Andrea Piazza su 20 aziende locali: ecco gli ambiti di intervento su cui puntano le imprese
Quasi tutte le aziende analizzate intervengono infatti su sanità integrativa, sostegno economico ai lavoratori (perlopiù attraverso convenzioni per acquisti di beni di consumo come il buono carrello della spesa, scontistica per esercizi commerciali e mense, diffusione di ticket restaurant; ma si segnalano anche sette casi di servizi relativi al credito agevolato) e genitorialità e conciliazione. Meno utilizzati altri campi, come quelli della previdenza integrativa o della formazione, che gli stessi dipendenti accolgono più tiepidamente e sembrano ritenere accessori. «Siamo quindi di fronte a uno scenario – precisa Piazza – dove le iniziative più diffuse sono o mutuate dai contratti collettivi nazionali, come nel caso della sanità, oppure rientrano più nella definizione di benefit che non in quella di servizio di welfare in senso stretto, ed è qui il caso dei buoni spesa e delle convenzioni per servizi e commercio».
Le sfide per il futuro: un welfare vero e non semplici benefit (anche perché la Romagna faentina sarà sempre più vecchia)
La ricerca ha fatto però emergere anche le criticità di questo sistema. Per esempio, i servizi di welfare aziendale riguardano una fascia di lavoratori di per sé privilegiata (dipendenti di imprese medio-grandi, tendenzialmente con contratto indeterminato) e il loro utilizzo rischia paradossalmente di aumentare le disuguaglianze con chi invece lavora in piccole aziende tramite contratti precari. Inoltre è ancora problematica la modalità per garantire servizi di welfare ad hoc a un gruppo eterogeneo di lavoratori, i cui bisogni possono essere molto differenti. Chi decide che è più importante un orario più flessibile o uno sconto al supermercato? Infine, durante la presentazione dell’11 febbraio è emerso anche il rischio che, se lavoratori e aziende non sono sufficientemente sensibilizzati, queste misure finiscano per essere puri benefit commerciali e non misure di welfare a favore dei bisogni sociali del cittadino (salute, previdenza, assistenza sociale). Cosa di cui ci sarà sempre più bisogno, visto anche il quadro futuro che vede una Romagna faentina composta da una popolazione sempre più vecchia – nel 2035 quasi un terzo dei residenti avranno più di 65 anni – e con risorse comunali che difficilmente potranno aumentare, come ha confermato il sindaco Fabio Anconelli, con delega al welfare in Unione.
Reti d’impresa: una possibile soluzione per aggregare domanda e offerta
Tra le possibili soluzioni per sviluppare il welfare aziendale sul territorio, viene sostenuta la creazione di “reti di impresa, che aggreghino la domanda di servizi di welfare e i potenziali fornitori di beni e servizi”, dando a lavoratori e aziende la possibilità di selezionare i servizi più adatti a rispondere ai propri bisogni. E’ quello che il Comune di Modena sta proponendo a 50 aziende del territorio, attraverso il progetto “Rete Welfare Aziendale”, presentato durante il dibattito da Matilde Gorni della società di consulenza Focus Lab. Su questo fronte alcune iniziative di aggregazione sono state presentate da Andrea Pazzi di Confcooperative.
Il ruolo dei sindacati per lo sviluppo del welfare aziendale
Un altro aspetto che dovrà essere approfondito è quello del ruolo e dell’apporto del sindacato (o per meglio dire, dei sindacati) nello strutturare e diffondere iniziative di welfare, visto che finora molti lavoratori sono diffidenti sul tema e non c’è ancora la sensibilità di vedere ai benefici di questi servizi, come quelli di ambito sanitario o previdenziale, su lungo periodo. Su questo fronte si è riscontrata l’apertura di Fabrizio Liverani della Cisl Romagna, che ha citato alcuni esempi virtuosi di welfare aziendale nel nostro territorio (Curti, Gemos, Marcegaglia, La Bcc stessa…).
Un welfare aziendale che vada incontro ai bisogni reali dei lavoratori
Infine, come sottolineato da Edo Miserocchi della Fondazione, vanno favorite quelle iniziative che vanno incontro ai bisogni presenti dei lavoratori, senza limitarsi ad elargire risorse, replicando le disomogeneità che possono esserci. In altre parole, che le aziende promuovano un welfare vero, e non diano una semplice mancia ai lavoratori.
Samuele Marchi