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Così Faenza scopre di essere una “Città Contendibile”, intervista ad Alberto Morini

Give back dei team del Contambination Lab, relazioni di esperti sul tema dell’innovazione e discorso conclusivo del presidente uscente della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza, Alberto Morini, dopo otto anni di mandato. Venerdì 15 dicembre a Palazzo Naldi presso l’ex complesso dei Salesiani si è svolto l’appuntamento “La Città Contendibile”: un evento che fa fare un bilancio sull’azione dell’ente in città e ne tratteggia gli scenari futuri con in vista nel 2018 il cambio della guardia al vertice. Per l’occasione sono stati presentati schizzi e sonetti inediti dell’Arch. Filippo Monti. Ecco l’intervista al presidente Alberto Morini. 

Intervista ad Alberto Morini, presidente uscente Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza

Una domanda forse scontata, come si sta chiudendo il 2017 per la Fondazione?

Anche quest’anno chiudiamo bene, incrementeremo ulteriormente i fondi a riserva erogati in linea con la programmazione e già si stanno stanziando i plafond necessari nel 2018 con i bandi per le scuole e l’intervento istituzionale a fianco del Mic per gli ottanta anni del Premio Faenza. Credo che ci sia una certa soddisfazione da parte degli organi della Fondazione.

Quasi otto anni di governo della Fondazione, quale può essere la sintesi dal punto di vista degli obiettivi prefissati.

Provo a sintetizzare. Ci eravamo posti il tema di favorire gli investimenti piuttosto che i meri contributi a fondo perduto finalizzandoli alla creazione del valore e in ottica di innovazione che facesse rete con altri attori. L’operazione sui Salesiani, anche dal punto di vista delle ricadute lavorative che ha generato, è lì e tangibile, accompagnato dalla rinascita di un’area del centro storico importante. Il Contamination Lab è la risposta al tema delle nuove generazioni e dell’innovazione accompagnato al sostegno a quegli attori che vi concorrono, penso al Corso di Chimica dei Materiali. L’altro tema era la trasparenza. I nostri bilanci e regolamenti, sin dal primo giorno, sono tutti pubblicati, come i nostri compensi oltre ad avere recepito tutte normative fino a quelle europee in tema di incompatibilità e limite di mandato.

Qualche numero?

Giusto. Dal nostro insediamento abbiamo fatto erogazioni a beneficio del territorio per 2.161.051 euro, investimenti per 4.418.908 euro, incrementato due volte e mezzo la riserva strategica della Fondazione per le erogazioni, questo senza fare un euro di debiti. Numeri tutti scritti nei bilanci e che troveranno conferma anche a primavera quando chiuderemo quello del 2017. Avremo detto qualche no ma almeno abbiamo finalizzato l’intervento della Fondazione coniugando visione, obiettivi e sostenibilità.

Nel corso del suo mandato sono cambiati enormemente gli scenari del sistema bancario. La direzione che si sta prendendo (riforma banche popolari, riforma Bcc, ecc…) è quella giusta?

Più di una persona ha definito la Fondazione di Faenza: “Fondazione ex bancaria”. Io aggiungo: per fortuna. E’ la diversificazione negli investimenti che ha salvaguardato la Fondazione. La banche poi sono aziende che devono sostenersi e pagare gli azionisti o almeno incrementare le riserve: farlo con tassi a zero, costi fissi rigidi e un epocale crisi economica significa rischiare di saltare. Al netto del dolo di taluni è quello che successo, con l’aggravante per le banche più piccole di un invadente e stolto localismo che vede il valore delle proprie radici con gli specchietti retrovisori e nella cecità rispetto a dinamiche globali e competitive in cui, piaccia o no, siamo immersi. Lei mi chiede se la direzione è quella giusta? Non lo so. Non sono sicuro che la lezione sia servita. In questi mesi di relativa ripresa economica leggo che è tornato in auge il surreale dibattito sugli scali aeroportuali in Romagna: ecco vedo analogie con cose già viste.

“Faenza ha bisogno di essere attrattiva per le aziende” aveva dichiarato nel 2010 il giorno del suo insediamento. In che modo la Fondazione ha cercato di rendere Faenza un territorio più fertile per la nascita o per l’arrivo di nuove imprese? Si è avuto un riscontro concreto a seguito della vostra azione?

Quella frase continuava: “senza sostituirci ad altri”. Abbiamo cercato, come si dice, di fare la nostra parte. Sul versante investimenti, come ho detto prima, con l’operazione sui Salesiani che sono ora sicuramente più ricettivi a poter ospitare imprenditoria. Sul versante formativo e delle pre-incubazione, con l’attività del Contamination lab sui giovani e con piccole realtà aziendali create. Sul versante delle relazioni con il sostengo a soggetti che perseguono anch’essi questo obiettivo. Ho citato prima il Corso di Laurea in Chimica dei Materiali e il Master in materiali compositi: sono un tassello di un sistema di altissimo valore con aziende di in un settore strategico e con presenze importanti e silenziose nel nostro territorio.

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La Fondazione ha anche cercato di creare un nuovo modo di intendere lo spazio e il territorio: dalla ristrutturazione del complesso dei Salesiani alla valorizzazione di terreni rurali come quelli dei Poderi del Monte. Lei ha definito questi due aspetti – la città e la terra – “due pilastri” che guideranno in futuro l’operato della Fondazione. Perché si è deciso di puntare su questi progetti di riqualificazione apparentemente molto distanti e in che modo verranno sviluppati nel prossimo piano triennale 2018-2020?

La volontà è stata quelle di investire sui propri asset mettendo al servizio della nostra comunità in ottica di sviluppo e sfida. Ieri lo è stato con la città e la sfida sui Salesiani, oggi e domani sarà sull’altro asset, la terra. Sembrerà insolito che nel tempo della rivoluzione digitale si sia posto l’accento su due aspetti materiali che più materiali non si può, città e terra, ma in realtà basta osservare cosa accade in dimensioni ben più ampie in giro per il mondo anche solo nel Mediterraneo. Vengo da un viaggio di lavoro in oriente in luoghi fortemente avanzati, anche lì, in silenzio, si investe in acqua, terra e comunità urbane e soprattutto sulle loro connessioni materiali. Non dobbiamo cadere nel provincialismo di inseguire un’innovazione effimera e di maniera, siamo seduti sui veri giacimenti di futuro, l’Italia ne è piena, si pensi al cibo e all’ambiente. Innovare significa soprattutto valorizzare quelle che si ha e fare meglio ciò che già si sa fare: il primo modo per salvaguardare anche in termini sociali le nostre comunità, le nostre famiglie e dare una prospettiva ai nostri figli. La Fondazione nel suo Piano Triennale si pone in questi termini.

Innovazione, ambiente, digitale: qual è l’eredità che lascia alla città il progetto Salesiani 2.0 e il Contamination Lab?

La vera eredità o, come la chiamano, gli anglosassoni, la legacy è avere aperto spazi e luoghi di elaborazione ad una numerosissima comunità di giovani e giovanissimi faentini. E’ stata una delle più belle soddisfazioni vissute in questi anni. Nel fare operazioni in ambito urbano come queste si rischia avere muri ristrutturati ma vuoti, è accaduto il contrario: ci siamo trovati a correre per poter disporre di spazi per dare una risposta ad un idea che avevamo piano piano instillato e provocato. Questo è un enorme investimento che non consentirà a nessuno più di tornare indietro: ci saranno loro a vigilare. Quanto al Contamination Lab ora un tassello di un sistema più ampio di pre-incubatori e su cui si continuerà a lavorare per aprire relazioni e contatti.

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Su quali aspetti può e deve lavorare Faenza, in generale, sul tema dell’innovazione? Ci sono delle priorità sulle quali ritiene si debba investire?

Il tema della creazione del valore è argomento che non può non essere al centro dell’attenzione di tutti. E’ la premessa a poter dare una risposta anche alle situazioni di disagio che si manifestano. Abbiamo sul nostro territorio realtà di prim’ordine che producono e innovano confrontandosi tutti i giorni con un mercato globalizzato. La nostra comunità deve voler bene a queste aziende permettendo loro di crescere e investire mantenendo forti radici qui. Questo accede se si si dispone per loro di servizi e infrastrutture accessibili e un sistema della formazione professionale e universitaria. Sano realismo ci deve però convincere del fatto che piaccia no i grandi flussi in termini di investimenti finanziari e della conoscenza transitano e transiteranno sempre di più sulle aree metropolitane e quindi su Bologna e il suo Ateneo: per Faenza e tutto il territorio romagnolo strategica sarà al capacità di rimanervi agganciati.

Il giorno del suo insediamento, dichiarò – traendo spunto dai quadrienni olimpici – che il suo mandato sarebbe durato otto anni. La previsione è stata rispettata: per quale motivo trova sia ora il momento opportuno per “passare il testimone”?

Otto anni non sono pochi nella vita di una persona. Con il Consiglio di Amministrazione siamo stati un gruppo, forte e coeso, c’è profonda stima tra di noi. Questo ci ha consentito di superare momenti molto difficili ma anche di traguardare obiettivi che certamente non avremmo immaginato. Abbiamo poi voluto imporre regole e codici di comportamento, in primis per noi. Questo in un totale spirito di servizio. Ma come tutte le cose, anche quelle belle, arriva la fine e non ci si deve voltare indietro. Poi siccome lei continua a stuzzicarmi con metafore sportive, le ricordo cosa rispose a un giornalista Sir Alex Ferguson, grande allenatore del Manchester United: “La pensione è per i giovani, non per i vecchi”. Ecco, noi non andremo in pensione.

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