Cattolici e voto: istruzioni per l’uso
Sempre più spesso nel dibattito pubblico si sente rimarcare, da parte di esponenti e commentatori politici, il fatto di essere ‘cattolici’, considerando questo aspetto come un valore di per sé, senza però approfondire cosa realmente implichi, tanto nelle idee quanto nei gesti concreti. Un esempio degli ultimi giorni, a livello locale, ci viene dalle parole di Jacopo Morrone, segretario di Lega Romagna, quando ha appoggiato pubblicamente il candidato sindaco di centrodestra Paolo Cavina descrivendolo, fra le altre cose, proprio come ‘cattolico’.
Da qui alcune riflessioni su questa parola, ‘cattolico’, che riteniamo venga usata in molti contesti in maniera superficiale. Allo stesso tempo il tema dei cattolici e la politica, in vista delle amministrative faentine, ci impone delle considerazioni non più rimandabili rivolte sia agli attuali attori politici locali sia ai cattolici faentini che devono orientarsi in vista del voto.
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Essere cattolici è sinonimo di buon comportamento?
La risposta è no. E’ vero, nel secolo scorso la risposta avrebbe potuto essere più dubbia, per via di un contesto socio-culturale in cui erano presenti più cattolici e in cui si dava più facilmente per scontato che un cattolico praticante fosse una persona seria in ambito professionale e, con maggior rilevanza, nell’impegno politico. Una proprietà transitiva, quindi. Questa condizione risultava sufficiente per garantirsi, nella tribuna elettorale, un voto. Similmente lo stesso tema viene affrontato e descritto da Rocco D’Ambrosio, in un editoriale su formiche.net. Oggi la situazione è diversa: per coloro che ricercano candidati di chiara confessione cattolica praticante, non basta solo l’etichetta. Anzi, dichiararsi cattolici in sede elettorale può essere rischioso, a causa di tutti coloro che, definitisi più o meno pubblicamente buoni cattolici, hanno tenuto un comportamento incoerente dal punto di vista socio-politico. Se questo era l’intento dell’On. Morrone sul proprio candidato, Paolo Cavina, probabilmente ha avuto un effetto contrario.
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I cattolici sono ancora una “bandiera elettorale” da conquistare?
Sì, c’è un bacino di voti che si sposta a seconda di chi percepisce più vicino dal punto di vista religioso. Per essere più precisi, per raccogliere voti di cittadini cattolici oggi servono innanzitutto persone che manifestino valori cattolici nelle azioni quotidiane e non tanto che si professano tali solo a parole o tramite sceneggiate plateali: coerenza, carità, positività, uguaglianza, tutela della vita in ogni sua forma…
Nel discorso di apertura della campagna elettorale, Massimo Isola non ha mai citato le realtà parrocchiali o a essa afferenti come l’associazionismo cattolico educativo locale (Agesci, Azione Cattolica, Caritas, Circoli parrocchiali). A Faenza non serve un sindaco che abbia l’etichetta di cattolico, ma un primo cittadino che sappia dialogare con tutte le realtà, tra cui anche quelle cattoliche. Attenzione però: cultura e Fede (di ogni confessione) sono due cose diverse e appartengono a due sfere differenti della persona. La seconda, infatti, richiama una dimensione trascendentale che la prima non richiede. Il consiglio ai due candidati è quello di non cadere nel facile errore, come già successo durante il lockdown, di credere che avere una Fede e praticarla sia equiparabile a un hobby o una filosofia di vita.
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Ci sono cattolici di destra e cattolici di sinistra: chi è più cattolico dei due? (domanda trabocchetto)
In realtà questa domanda non ha senso, perché non c’è un cattolico migliore a seconda dell’appartenenza. Lo stesso Joseph Ratzinger, quando era cardinale, ha scritto come vi sia “legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune”. La Fede in Cristo ha, però, un perimetro. Ora, se nella tua scelta politica esci ripetutamente da quel perimetro, ovvero se la scelta diviene “incompatibile con la Fede” è lecito che l’elettorato si domandi se professi realmente o meno la tua religione di appartenenza. Non stiamo parlando di regole, quanto piuttosto chi ha un credo religioso non tiene certi comportamenti, privati e, soprattutto, pubblici.
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Fede e politica: giurare sulla Costituzione o sul Vangelo?
Nel dibattito sul decreto legge sulle Unioni Civili, Matteo Renzi, l’allora Presidente del Consiglio che aveva pubblicamente dichiarato nel tempo la sua appartenenza a una associazione ecclesiale, dichiarò in seguito a voto positivo: “Ho giurato sulla costituzione e non sul vangelo”. Credo che nessun cattolico voglia che un rappresentante civico faccia del Vangelo una Costituzione. “Dalla Fede non si può̀ dedurre direttamente un modello di società, di governo o di partito”, esprime la nota di Ratzinger riprendendo i contenuti del Concilio Vaticano II. Vi è però un aspetto che riguarda la sfera più intima dell’uomo e della sua spiritualità: la coscienza. Il campo della coscienza è molto complesso e chi scrive non ha le piene competenze per sviscerarlo, fatto sta che “la promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il confessionalismo o l’intolleranza religiosa”. La coscienza per il cattolico impegnato in politica è un vero e proprio ambiente con il quale confrontarsi. Ora, un politico che si proclama cattolico governa secondo la Costituzione e agisce secondo coscienza.
Francesco Ghini