INCHIOSTRO: SCOPRIRE E RECUPERARE LUOGHI DIMENTICATI A FAENZA
INCHIOSTRO
SCOPRIRE E RECUPERARE LUOGHI DIMENTICATI A FAENZA
Il 24 luglio, nel cortile di San Giovanni Battista, alcuni giovani faentini hanno (ri)scoperto un immobile del Trecento in pieno centro storico. Questo grazie all’impegno di Inchiostro (Link), un progetto di Lorenzo Cericola, Valeria Bassi, Elisa Bertoni, Carlotta Bosi, Diana Pantera, Marco Scarpa, Federico Tassinari, Filippo Gorini, Filippo Gianessi. Giovani architetti o ingegneri che hanno dato vita ad una start-up a cavallo fra la promozione culturale e il recupero di immobili… ne abbiamo parlato con Lorenzo, Valeria ed Elisa, per capire qualcosa di più sulle loro attività.
Come nasce Inchiostro e perché avete ritenuto che Faenza avesse bisogno di questo progetto?
Inchiostro nasce dal Contamination Lab: da quando la Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza ha aperto la sua nuova sede qui a Palazzo Naldi ha dato degli spazi in uso a giovani faentini per creare delle start-up. Si sono creati diversi gruppi: noi, 2g, RIUp qui dentro. L’idea di fondo è che questo ambiente sia aperto, e le attività possano contaminarsi a vicenda. Inchiostro nasce da questa contaminazione, noi architetti abbiamo partecipato ad un workshop organizzato dalla Fondazione sul tema delle smart cities e della rigenerazione urbana, e al termine ci è stato chiesto di fare un progetto nella nostra città che affrontasse i temi trattati durante i vari incontri. Abbiamo applicato le cose che avevamo appreso, e grazie all’aiuto di Gianluca Cristoforetti abbiamo colto la sfida di trovare un luogo abbandonato nel centro di Faenza da riportare in luce. Abbiamo avuto la fortuna di avere fra di noi Marco Scarpa, che si è laureato con una tesi sul recupero del chiostro di S. Giovanni Battista: quale occasione migliore? Abbiamo quindi provato ad ideare un percorso che non partisse da un progetto, come normalmente avviene, ma che avesse come primo obiettivo quello di essere i promotori di una riscoperta di luoghi abbandonati. Cittadino faentino, guarda che cos’hai sul tuo territorio, quali sono le sue potenzialità… te lo facciamo vedere con una serie di eventi. Il primo obiettivo è quindi far conoscere luoghi storici alla cittadinanza, e semmai può essere presente qualcuno interessato a metterci dentro la sua attività, investire dei soldi per ristrutturarlo. Di solito tu trovi il committente e fai un progetto. Noi vogliamo prima trovare il luogo, farlo scoprire, proporre dopo un progetto. I ragazzi di 2g si sono concentrati sui materiali promozionali, le modalità dell’evento, la diffusione sui social, cercando di fare una cosa un po’ diversa e divertente. Da questo nasce anche l’idea di farsi delle foto con le macchine usa e getta, per ridare un’identità ad un posto nascosto e di cui molti faentini non sapevano nulla. Siamo stati aiutati in questo dalla Fondazione, e abbiamo avuto un buon riscontro.
Vi siete ispirati a qualche esempio virtuoso di altre realtà italiane?
No, la genesi del nostro progetto è cominciata dal corso che abbiamo seguito qui ai Salesiani. Certo, esistono esperienze simili e le abbiamo magari incontrate durante gli studi universitari, ma non c’è un vero progetto di riferimento o qualcuno che l’avesse già fatto a cui ci siamo ispirati. La nostra idea è stata quella di scoprire il luogo, prima della realizzazione del progetto.
Quindi se vogliamo possiamo avere i due aspetti della vostra attività: da una parte quella rivolta al pubblico, di scoperta, e poi la seconda fase di ipotetico recupero.
L’idea base era la restituzione del luogo alla città e al cittadino, che si rende conto dell’esistenza del bene e lo utilizza. Poi di conseguenza hai la possibilità di avere un luogo da ristrutturare e convertire in qualcosa di differente, ma in un posto comunque conosciuto dalla cittadinanza, non più un luogo “abbandonato”. Il cortile di S. Giovanni Battista nella nostra utopia sarebbe il primo di molti altri posti da riscoprire… l’idea ci piace molto, ma abbiamo visto come occupi molto tempo ed energie, per quanto il ritorno non ci sia al momento. Per noi Inchiostro è il nostro tempo libero, ma in un futuro dovrebbe diventare una vera impresa. Ora siamo ancora incubatore.
Possiamo dunque pensare che nel futuro il format cambi e di adatti ai luoghi da riscoprire…
Certamente, e poi può essere che più avanti altre personalità faentine utilizzino questa idea: non è un marchio registrato a nome Inchiostro. A noi piacerebbe portarla avanti ma ci sono molte difficoltà. In ogni caso il riscontro è stato buonissimo, con un appoggio forte dal Comune e dall’assessore Zivieri. Il target ora era noi, per ragazzi fra i 18 e i 30 anni, in futuro bisognerebbe organizzare qualcosa per attrarre i possibili investitori.
Vorrei chiedervi una valutazione del patrimonio artistico faentino. Qualcosa nel dibattito pubblico è passato in verità: pensiamo a Case Manfredi durante la campagna elettorale, un convegno in Biblioteca sul recupero della Chiesa dei Servi… l’idea è che a Faenza ci siano molti posti come questi. Qual è l’idea che vi siete fatti durante la ricognizione prima della scelta del chiostro di S. Giovanni sullo stato a Faenza del patrimonio architettonico. E come si potrebbe valorizzare? A fronte della difficoltà di investitori pubblici nell’intervenire, vedete una prospettiva nel privato? Cos’avete visto durante l’organizzazione di questo primo evento?
Il privato è un po’ l’unica speranza, anche per un immobile che tuttora è di proprietà pubblica come nel nostro caso. Sicuramente vi sono diversi beni a Faenza che pur essendo di proprietà pubblica non sono utilizzati, pensiamo al Palazzo del Podestà. Il nostro progetto sarebbe applicabile a moltissimi edifici e realtà nel centro di Faenza: noi ne avevamo campionate sette, solo fra quelle che noi interessavano. Però mancano i finanziamenti.
Puoi fermarti per così dire alla fase uno di scoperta dell’immobile, ma fai fatica a trovare i fondi per ristrutturarlo davvero…
Esatto, che è quello che a noi un po’ manca. Continuiamo seriamente per trovare un investitore privato o continuiamo a fare una start-up di eventi? Puoi anche farlo, ma essendo architetti ed ingegneri ci piacerebbe passare alla fase due di recupero effettivo. Quello che ci manca è riuscire a trovare il modo di contattare chi potrebbe fornire i fondi: inevitabilmente un privato, che ci dica “che magnifico chiostro, voglio farci il mio ristorante, la mia birreria, il mio centro teatrale…”. Quindi trovare qualcuno che voglia metterci un’attività produttiva. Il chiostro del convento non tornerà alla sua funzione originaria: bisogna trovare una nuova finalità, Marco Scarpa nella sua tesi la identificava in un ristorante.
Riguardo invece alla vita associativa in città: durante i primi mesi della vostra attività, vi siete rapportati con altre associazioni o imprese faentine? Come vi siete trovati? Spesso sembra difficile mettere in relazione realtà diverse, e Faenza da “città delle associazioni” sembra vivere un momento di partecipazione calante e una difficoltà a coinvolgere soprattutto gli under 30.
In primis ci siamo rapportati con la Scuola Arti e Mestieri, la cui idea originaria poteva essere quella di recuperare pian piano il chiostro tramite workshop durante l’anno a cui seguano dei piccoli lavori di manutenzione. Con associazioni non ci siamo rapportati direttamente. C’è da dire che noi no nasciamo come associazione, ma come start-up dentro un pre-incubatore di impresa. L’idea di Inchiostro tuttavia può assolutamente collaborare con altre associazioni nella promozione e riscoperta dei luoghi, non solo culturali ma, perché no, sportive. Abbiamo avuto un riscontro talmente positivo che di sicuro ci sono spazi per altre iniziative rivolte ai giovani, che abbiano il carattere della riscoperta culturale. La cosa divertente è che i ragazzi del Food Truck ci abbiano detto a fine serata “mammamia, non pensavamo che a Faenza ci fossero così tanti giovani!”. C’è del riscontro, anche se spesso è difficile organizzare visto l’impegno richiesto e la mancanza di guadagni. Nel nostro caso è stato più semplice grazie all’aiuto di Alberto Morini e della Fondazione, e anche la collaborazione con il direttore Luciano Casmiro della Scuola Arti e Mestieri. Posso capire che per chi non ha alle spalle una start-up come noi possa essere più difficile rapportarsi con enti e istituzioni. Però la risposta a Faenza c’è stata e noi speriamo di avere altre occasioni per coinvolgere tanti giovani cittadini in futuro.
A cura di Andrea Piazza