Festeggiamo i papà, anzi no

Auguri a tutti i papà, anzi no. Questa la scelta di una dirigente scolastica toscana, più precisamente la scuola dell’infanzia Florinda del quartiere Migliarina di Viareggio, che nelle scorse settimane aveva accolto le lamentele di 5-6 famiglie sull’inopportunità di celebrare la Festa del Papà per quei bambini che – per diversi motivi – non hanno un padre.

Aveva, perché il caso giunto alla ribalta nazionale ha destato parecchio clamore, portando alla mobilitazione di altre famiglie e a una mediazione positiva: “Tutto si svolgerà nell’attento rispetto di tutte le individualità delle bambine e dei bambini coinvolti, come da sempre accade nell’istituto”, rileva la circolare della dirigente scolastica “perché ciò ha permesso di eliminare le incomprensioni che avevano suscitato preoccupazione”.

Non solo festeggiare i propri padri, ma celebrare un ruolo

Quanto successo ci permette di fermarci a riflettere su cosa festeggiamo il 19 marzo. Infatti, nella società individualistica di oggi, tendiamo a riportare tutto a ciò che possediamo (“Io ho un padre, tu non hai un padre”) e confondiamo il termine festa con celebrazione. Certo, il 19 marzo ogni figlio festeggerà il proprio padre, ma oltre a questo, la giornata è l’occasione per celebrare la figura paterna. Un ruolo che negli ultimi 50 anni è cambiato fortemente: da uomo autoritario e distante dal mondo dei figli, a “padre partecipante” che desidera creare una relazione basata sull’affettività e sulla condivisione. E chissà ancora come cambierà..-

Festa del Papà significa quindi festeggiare il progresso di questo ruolo e affermare che avere un padre, per chi ha la fortuna di averlo e di vivere con lui una buona relazione, è una cosa bella: perché non dover sostenerlo?

Non c’è progresso quando rispetto dell’altro significa non porre domande

La stessa dirigente parla inoltre di “rispetto delle individualità del bambino.” Mi chiedo, invece, se non si tratti più specificatamente di “rispetto dell’individualità del genitore del bambino”. Infatti, l’infanzia e i figli sono grandi sfide per noi adulti, ma ricordiamoci che lo sono innanzitutto per i giovani, i veri protagonisti della crescita.

La preside ha ragione quando afferma che il mondo di oggi è complesso e non esiste più un chiaro riferimento a famiglia tradizionale, ma promuovere azioni che eludano la riflessione su cosa sia una famiglia, cosa significhi padre e madre – biologicamente ed educativamente – non significa rispetto, ma solo evitare – in questo caso al bambino- il sano compito di porsi delle domande. Chi ci perde, ancora una volta, non siamo noi grandi, ma i più piccoli, a cui sottraiamo la possibilità di interrogarsi. Certo, un’azione che non possono e non devono fare da soli, ma con l’aiuto di un adulto. E allora qui sorge una domanda: siamo davvero capaci di stargli accanto e rispondergli?

 

Francesco Ghini

Francesco Ghini

Vivo a Faenza e mi occupo di ricerca biomedica e comunicazione scientifica. Ho conseguito un dottorato di ricerca in Medicina Molecolare presso l'Istituto Oncologico Europeo di Milano e numerose partecipazioni a conferenze internazionali come speaker. Parallelamente, ho seguito come direttore artistico la realizzazione dell'evento Estate di San Martino a Piacenza (2012 e 2013) e ho maturato una forte esperienza nell'ambito della comunicazione e dello storytelling. Nel 2014 ho aperto Buonsenso@Faenza e da questa esperienza, nel 2018, è nata l'agenzia Buonsenso Comunicazione. Amo il teatro, i film di Cristopher Nolan, i passatelli e sono terribilmente curioso.

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