Quattro giorni in terapia intensiva: l’esperienza di Gaetano Finelli
Affrontare il coronavirus attraversando l’incubo della terapia intensiva, essere separato dai propri affetti ma uscirne pieno di gratitudine e commozione: questa è l’esperienza di Gaetano Finelli, 65 anni, presidente Cefal Emilia-Romagna, ricoverato prima all’Ospedale Maggiore di Bologna e poi all’Ospedale Covid di Bellaria. L’emozione che si percepisce dalla sua voce è difficile da rendere in un testo scritto ma la testimonianza di chi si è trovato a fronteggiare questa malattia è importante per tutti, perché permette di prendere consapevolezza della gravità del problema e, di conseguenza, di assumere atteggiamenti responsabili.
Intervista a Gaetano Finelli, presidente Cefal Emilia-Romagna
Quando ha scoperto di aver contratto il Covid-19?
Inizialmente ero a casa, poi grazie anche ai miei figli che lavorano in ambito sanitario sono andato in ospedale. La Tac ha evidenziato una polmonite è quindi sono stato mandato subito in terapia intensiva. Non ho subito percepito la gravità della situazione. Sono rimasto in Terapia Intensiva per quattro giorni. E’ stata sicuramente un’esperienza particolare: io non mi sentivo male ma, guardandomi attorno, ho pensato che non dovevo stare neanche tanto bene se i medici avevano deciso di mettermi in quel reparto. La preghiera per me è stata di grande conforto, ma non una preghiera di rassegnazione, bensì di speranza.
Come ha vissuto i giorni in terapia intensiva?
Quando sono andato al Maggiore, ci sono andato con mia moglie che è rimasta fuori ad aspettare: a un certo punto le ho detto di andare a casa perché io ero al pronto soccorso e le cose stavano andando per le lunghe. Dopo aver dato il numero di mio figlio agli operatori sanitari non ho più saputo nulla: ho scoperto solo dopo essere tornato a casa che la preoccupazione dei miei parenti era tanta. A me avevano detto invece di non preoccuparmi ma poi ho saputo che la Tac aveva evidenziato una polmonite doppia e quindi la situazione era abbastanza critica per quanto io non me ne rendessi conto.
Qual è stato il suo rapporto con i medici?
Quando sono uscito dal Maggiore per andare all’ospedale di Bellaria, tutto il personale ha iniziato ad applaudirmi e a incoraggiarmi, una scena che mi ha commosso e che non mi dimenticherò mai. Mi hanno sempre fatto sentire il loro supporto e la loro vicinanza. A Bellaria poi, nelle camere vicine alle mie, erano ricoverati tanti medici e infermieri, a testimonianza ulteriore dei rischi che queste persone affrontano per poter fare il loro lavoro.
Uno sguardo alla società, cosa le ha dato fastidio di tutta questa situazione?
Il dibattito politico l’ho trovato poco rispettoso di una situazione in cui ogni giorno si registrano centinaia di morti. I continui attacchi e le polemiche si potevano comprendere prima del coronavirus ma fatti adesso, giusto per dire “Io ci sono”, sono offensivi nei confronti di chi sta soffrendo e sta combattendo la battaglia più importante.
Intervista a cura di Matteo Nati e Francesco Ghini