#FAENTINIeMIGRANTI – Intervista al Direttore dell’Azienda per i Servizi alla Persona (ASP) Giuseppe Neri

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Intervista al Direttore dell’Azienda per i Servizi alla Persona (ASP) Giuseppe Neri

Fra i gestori dei progetti di accoglienza operativi sul comprensorio faentino c’è anche l’Azienda di Servizi alla Persona (ASP) della Romagna Faentina. I soci proprietari dell’ASP sono i sei comuni dell’Unione della Romagna Faentina. L’ASP, ex Opere Pie, svolge principalmente opera di assistenza agli anziani, per un totale di circa 250 persone assistite sui territori dei comuni del circondario e dispone di un cospicuo patrimonio immobiliare. Dal mese di maggio sono presenti in strutture di proprietà dell’azienda 4 richiedenti asilo nigeriani, a Solarolo, e 4 richiedenti asilo maliani, a Casola Valsenio. Abbiamo deciso di intervistare il direttore dell’ASP, il dottor Giuseppe Neri, per avere il parere di un’azienda pubblica trovatasi ad affrontare queste nuove problematiche.

-Come mai e quando l’Azienda di Servizi alla Persona della Romagna Faentina si è trovata coinvolta nell’accoglienza riservata ai richiedenti asilo?

Siamo diventati attori in questo percorso di integrazione perché nella fase primaverile si è verificata l’esigenza di dare una risposta a una prima significativa ondata di arrivi. Le amministrazioni locali, soci e proprietari ASP, dal momento in cui l’ASP non aveva mai operato nel settore dell’accoglienza, ci hanno domandato se potessimo avere delle strutture per questo fine. Nelle realtà di Casola Valsenio e di Solarolo c’erano due disponibilità abbastanza minimali, ma per noi ottimali, per fare una sorta di sperimentazione: avevamo un appartamento da 4 posti letto a Solarolo adiacente alla struttura di servizi residenziali gestiti dall’ASP, e due mini-appartamenti in un condominio a Casola di proprietà ASP. Data questa situazione, ci è stato chiesto se fossimo disponibili a fare un servizio di accoglienza verso due micronuclei assimilabili a una casa famiglia. Malgrado per l’ASP non fosse uno dei periodi più sereni, ma visto che siamo un azienda pubblica che cerca nel limite del possibile di rispondere a nuove esigenze e necessità su tutto il livello distrettuale, abbiamo dato la nostra disponibilità.

-Quali sono le caratteristiche principali delle vostre strutture e che attività avete portato avanti nell’immediato per gestire l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo?

Come dicevo nel nostro caso parliamo di micronuclei, che hanno per gli ospiti ricadute molto positive, dopo un viaggio e spostamenti moto difficili. I ragazzi sono infatti in un contesto praticamente familiare: hanno una loro casa, con un gruppo che magari hanno conosciuto durante il viaggio, hanno la possibilità di diventare il prima possibile autonomi e responsabili nella gestione dell’appartamento e dei pasti (la casa è messa a disposizione da qualcuno che amministra un bene in funzione della collettività: usala bene). Autonomia nella spesa quindi, nella lavanderia… è vero che la normativa prevede la fornitura di pasti catering, ma è anche vero che ovviamente essendo i pasti forniti dalle nostre strutture adiacenti, vi è una differenza enorme a livello di abitudini alimentari. Per cui sono i ragazzi stessi che ti ringraziano e di fronte a menù che non solo sono culturalmente diversi, ma pensati per una struttura residenziale per anziani (principalmente brodi e passati di verdura, lontani dalle esigenze alimentari di ragazzi di 20 anni), preferiscono cucinarsi da soli i pasti. Tutto è andato rapidamente evolvendosi verso la nascita di un’autonomia familiare, controllata con tutta una serie di strumenti che abbiamo voluto far precedere all’arrivo dei ragazzi sui territori: un paio di giorni prima del loro arrivo, il nostro presidente e il nostro consiglio di amministrazione hanno promosso nelle due realtà due incontri. A tali incontri hanno partecipato l’amministrazione comunale, gli operatori Zerocento (con cui poi abbiamo impostato e formalizzato un rapporto di servizio per avere operatori di comunità, mediazione linguistica e culturale) e l’associazionismo locale. I ragazzi sono arrivati in due realtà dove 48 ore prima il fenomeno non era stato solo paventato o annunciato mediaticamente, ma illustrato in maniera dettagliata sulla sua dimensione, caratteristiche (da dove vengono? di che religione sono?) e sul come si pensava di affrontarlo almeno nella primissima fase.

In seguito, abbiamo dovuto fare una serie di operazioni di rettifica di errori all’origine. Ragazzi che non avevano il codice fiscale o era sbagliato, che non avevano la tessera sanitaria: quando sono accolti nei centri di accoglienza, a volte per problemi di numeri a volte per problemi di lingua, è possibile e forse anche facile che ci siano sbagli nei nomi, nelle date o casi di omonimia o quasi omonimia dovuti alle trascrizioni. Quindi abbiamo sistemato questo, poi abbiamo assegnato un medico, che ha proceduto a una visita generale e per alcuni vi è stato il bisogno di visite specialistiche (giovani che sono stati fra 12 e 23 mesi in attesa di essere ridistribuiti dai centri di accoglienza, dopo il viaggio) e alle vaccinazioni obbligatorie. Finita questa prima fase e avviata quasi da subito la seconda fase di co-gestione della struttura di accoglienza, si è affacciato l’aspetto linguistico: diventa fondamentale poter avere il dialogo con la comunità locale. Anche su questo piano la situazione era diversa, i ragazzi nigeriani più o meno parlano e comprendono discretamente bene l’inglese, e ciò agevola molto; i ragazzi maliani sono arrivati con livelli di scolarizzazione molto più bassa e solo con uno su quattro con si riusciva a comunicare con molta buona volontà usando qualche parola di francese. I ragazzi parlano infatti solo bambara o soninke, i loro dialetti locali. Una fase non semplicissima, superata grazie ai ragazzi stessi, specie quelli di Casola che, consapevoli della propria impossibilità di comunicare, stanno studiando con massima disponibilità e applicazione privata fuori dalle lezioni, cavandosela molto bene.

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Le parole che emergono dall’intervista ASP

-Quali sono state le particolarità riscontrate nel proporre dei progetti di accoglienza in comunità di piccole dimensioni come Casola Valsenio (2.665 abitanti) e Solarolo (4.525 abitanti) ?

La risposta delle comunità locali secondo me è stata complessivamente buona, anche perché è stata graduale e quindi più compatibile con uno sviluppo progressivo di un progetto. Noi dall’inizio abbiamo detto “ci troveremo ad affrontare un progetto nuovo per tutti, dovremo gestirlo in una prima fase cercando di conoscere le persone con cui verremo a contatto”. Fin dal primo incontro con la città avevamo detto che ci sarebbe piaciuto pensare a una serie di opportunità di integrazione, possibilità che in modo diverso tanti soggetti potevano offrire. Tutto sommato nelle due realtà le associazioni che sono intervenute e le amministrazioni comunali hanno dato la disponibilità a valutare collaborazioni future. Le due realtà sono ovviamente diverse geograficamente, ma anche per esperienze vissute.

A Casola fin dall’incontro preliminare un elemento di grande preoccupazione era il temuto arrivo di un grosso contingente accentrato in una sola struttura, a seguito del bando pubblico svolto dalla Prefettura a maggio. Le notizie circolavano abbastanza a briglia sciolta e a Casola si sapeva che c’era un operatore economico privato che aveva fatto una domanda per offrire fino a 40 posti massimi. La vicenda è andata come è andata, e in effetti a Casola ora vi sono 40 richiedenti asilo presso un albergo. Tale vicenda ha convissuto con la nostra esperienza, ma non ha mai creato effetti collaterali negativi: noi abbiamo inserito i ragazzi in due micro appartamenti in un condominio da 12 unità immobiliari. Nel condominio, dove in passato c’era stato qualche normale problema di vicinato, possiamo dire che i ragazzi sono stati e sono un elemento catalizzatore e coagulante. Perché malgrado l’iniziale difficoltà linguistica sono ragazzi molto buoni e generosi, e hanno cercato fin dall’inizio di rendersi utili. E probabilmente qualche condomino ha iniziato sua sponte ad avere qualche attenzione nei loro confronti. Specie nei casi in cui, a fronte di qualche necessità i ragazzi non avevano il coraggio di chiedere a noi “potremmo avere…”, qualche condomino ha capito subito e ha offerto frutta, verdura, qualcosa per la colazione che magari gradivano di più. E così i ragazzi hanno cominciato a fare dei servizi come accompagnare le signore a fare la spesa, portare loro le borse, pulire il giardino e tutta l’area cortilizia… Diciamo che il timore dei 40 non è diventato un muro contro i 4. Ora i ragazzi a Casola hanno una buona visibilità perché da alcune settimane sono maturate le condizioni per fare una iniziativa significativa di tipo non occupazionale, ma di presenza attiva da parte loro: il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 12 loro si presentano al Servizio Tecnico di Casola Valsenio che li dota di giubbini catarifrangenti e di attrezzature per fare la pulizia del verde urbano (nulla che richieda formazione specifica o patenti).

A Solarolo il passo di svolta per uscire sul territorio è da collegarsi alla religione cristiana dei ragazzi: hanno chiesto ripetutamente di poter frequentare la chiesa locale per la funzione domenicale, e il ponte per uscire dalla struttura in cui vivevano è stato il parroco di Solarolo. Si è cominciato a fare le prime esperienze di volontariato e di attività socialmente utili. Poi visto che vivono adiacenti a una struttura residenziale per anziani abbiamo proposto loro se fossero stati disponibili a svolgere attività a supporto della struttura: il lunedì e il sabato puliscono le aree verdi adiacenti e retrostanti la struttura, e parliamo di uno spazio grandino, poiché le aree sono tanto più belle e presentabili quanto sono curate. Danno una mano alle nostre operatrici della struttura per la pulizia e lo spostamento di tavoli e sedie del giardino a seconda delle iniziative da svolgere all’esterno (il nostro personale a Solarolo è composto solo da donne ed avere 4 ragazzi che possono dare una mano è ovviamente una cosa apprezzata). Per svolgere queste attività, che sono non lavori, ma azioni di tipo volontaristico, sia a Casola che a Solarolo sono stati iscritti ad associazioni locali, per coprire tutto l’aspetto previdenziale, di possibili danni verso se stessi o a terzi.

-Come valuta il protocollo di intesa per il lavoro volontario dei richiedenti asilo, frutto di buone pratiche già presenti sui territori, secondo il quale si valuta positivamente le azioni volontaristiche svolte sui territori?

Sicuramente è uno strumento positivo perché sarebbe utile fosse divulgato quanto il volontariato riesce a fare rispetto alle nostre attività. Ma qual è il problema dei richiedenti asilo? Secondo me, per la mia stretta esperienza personale, abbiamo la disponibilità dei ragazzi che decidono di fare qualcosa, pur nella precaria situazione di attesa nella decisione del loro status. Un elemento di complicazione è proprio la precarietà della loro situazione: è uno degli aspetti più assorbenti a livello mentale e psicologico, ma anche organizzativo. Nel nostro caso poi le aspettative dei tempi medi sono completamente saltate: il 25 agosto, 7 ragazzi su 8 erano già andati in commissione. La prima convocazione è arrivata il 6 luglio a un ragazzo arrivato l’11 maggio. Il focus per chi organizza il servizio di accoglienza diventa preparare il richiedente asilo per la commissione, dove il ragazzo deve spiegare la propria storia, e bisogna aiutarlo a recuperare le attestazioni delle azioni di volontariato e avere tutti i documenti. In caso di esito positivo, da andare a raccogliere a Ravenna, comincia una fase di transizione: il ragazzo rimane in struttura fino alla concessione di una delle 3 categorie di asilo (per sapere di più leggi qui), e dal momento in cui ha il provvedimento in mano, può rimanere nella struttura massimo altri 20 giorni. Rispetto ai 6 o 8 mesi ordinari, i “nostri” ragazzi verosimilmente entro settembre o giù di lì dovranno utilizzare nel bene e nel male il loro status: non sono più in carico al Ministero dell’Interno e al gestore.

Se l’esito è negativo esiste invece una fase lunghissima di ricorso al tribunale di Bologna, e i nostri avvocati ci parlano di udienze a marzo. Nei casi negativi quindi diventa ancor più importante organizzare attività di volontariato se vi è la disponibilità del richiedente asilo, visto che si è magari risolto l’aspetto linguistico e si è conosciuto meglio il tessuto sociale.

-In alcune parti d’Italia i richiedenti asilo si trovano in una situazione dove le responsabilità dei gestori non sono chiare, e nelle quali una molteplicità di attori pubblici o privati si affacciano senza un chiaro coordinamento. . Lei come valuta il tavolo di coordinamento che dovrebbe essere istituito nelle prossime settimane per portare avanti una co-progettazione dei percorsi di accoglienza?

Il dato di fatto è che fino al 10 settembre nell’Unione della Romagna Faentina non esisteva un coordinamento. Esistevano da una parte convenzioni fra la Prefettura e i singoli enti risalenti alla prima ondata di richiedenti arrivati nell’inverno 2014, dall’altra visti i numeri più alti e la presenza di fenomeni devianti dovuti alle maggiori risorse spese, si è passati ai bandi ad evidenza pubblica. In questi giorni nel nostro territorio sta maturando la convinzione che ulteriori modalità di coordinamento siano necessarie, come ad esempio il volontariato e altri soggetti sociali privati. Chi è che può essere il deus ex machina in un contesto distrettuale? Gli enti rappresentativi esistono, come l’Unione dei Comuni. Il tavolo di coordinamento di cui si parla deve essere l’espressione di come la Romagna Faentina voglia affrontare in modo un po’ meno frammentario il fenomeno, cercando di non eluderlo. Perché altrimenti eludere il fenomeno implica fare alla fine una specie di tombola e vedere a chi toccano i 40 richiedenti asilo.

-Questa era una necessità che emergeva dal nostro colloquio con la Zerocento: la necessità che si mettessero anche in comune esperienze e idee positive, in un’ottica di miglioramento del servizio.

Vede, il fatto che la Prefettura abbia deciso di non ricorrere più agli affidamenti diretti non esclude che i soggetti già coinvolti in passato non possano partecipare in futuro ad un più vasto impianto giuridico e programmatico. Il fine deve essere il consentire un piano di ricognizione che ci dica “chi, quanti e dove”, costruendo un progetto di gestione che può coinvolgere tanti soggetti nei singoli territori, ma anche delle conoscenze professionali che possono operare in modo trasversale.

– L’ultima domanda che volevo farle era sulle difficoltà riscontrate nel passare da determinati tipi di servizi come la cura degli anziani ai progetti di accoglienza. Quindi il reinventarsi in breve tempo come erogatori anche di un servizio di integrazione… Quali le problematiche principali e le possibili soluzioni?

Per noi la difficoltà principale è legata al periodo di grandi cambiamenti che stiamo vivendo come ASP, con plurimi impatti sull’organizzazione pre-esistente: la prima questione per noi è stata la impossibilità di moltiplicare gli operatori disponibili nell’ASP. Su questa partita diciamo che io ho ritenuto di coinvolgere il meno possibile gli operatori ASP, non perché ritenessi che non fossero competenti ma perché nel periodo di maggio-giugno facevo fatica a caricare di una ulteriore incombenza i dipendenti. Alcuni di questi erano già al limite o ben oltre il limite delle mansioni eseguibili. Poi ovviamente alcuni miei collaboratori o uffici ovviamente sono venuti in contatto con il fenomeno e ci hanno a che fare, ma il mio obiettivo è stato ridurre al minimo l’impatto dell’attività di accoglienza. Anche perché come dicevo prima ci sono molte attività programmabili, ma moltissime sono estemporanee: io non so quando mi arriva la convocazione per andare in Questura, quando in commissione… sono tutte cose che esulano da quella che è la programmazione di attività che invece è possibile per un servizio per anziani, come quello gestito dall’ASP. Molta attività di coordinamento nelle due strutture l’ho fatta io, ma sono gli onori e oneri di avere un compito di responsabilità. Se succede qualcosa ad un ragazzo la responsabilità è la mia: non posso dire a un ragazzo di prendere il treno ed andare a Ravenna se non conosce bene l’italiano. Se non ci sono alternative, trovo il modo di accompagnarlo, ad esempio.

Il tavolo può essere quindi un moltiplicatore di energie: noi come ASP abbiamo molte difficoltà nel poter pensare di aumentare la nostra capacità ed ad oggi non abbiamo altri appartamenti disponibili. E allo stesso modo l’esperienza di questi mesi ci insegna che più aumenta il numero più aumenta l’onere, inteso come impegno quotidiano nei servizi a supporto dei progetti di accoglienza. Credo che oggi il problema del tavolo sia di come trovare i posti e i soggetti sul territorio per dare una risposta progressivamente crescente. Personalmente sono molto curioso di vedere come possa svilupparsi questo tipo di strumento a livello distrettuale. Qualcosa di simile è in piedi nel forlivese: l’Unione dei Comuni della Romagna Forlivese ha in piedi qualcosa che ha preceduto il nostro ragionamento. Io in questi giorni ho fatto alcune telefonate all’ASP San Vincenzo de Paoli, che si sta occupando della faccenda. Tanto per presentare un modello non da copiare, ma da studiare, lì l’Unione è il livello di coordinamento politico e istituzionale tramite una convenzione con la Prefettura, ha fatto poi un’altra convenzione con l’ASP per svolgere la funzione di coordinamento organizzativo e operativo, e l’ASP quest’estate con strumenti ad evidenza pubblica ha messo in piedi un accordo quadro con i soggetti operanti nei progetti di accoglienza. Vedremo come si svolgerà da noi, ma credo che alla fine gli ingredienti siano simili. Si tratterà di vedere in concreto come nel nostro distretto si vorrà provare ad affrontare in modo coordinato un problema che rispetto ai numeri che la Prefettura indicava a maggio, ad oggi si presenta in maniera raddoppiata. E il trend diventa un ulteriore incentivo per pensare al modo più condiviso e consapevole possibile un problema che ci terrà compagnia ancora per qualche anno.

A cura di Andrea Piazza

Approfondimento sulla situazione a Casola Valsenio:

Quest’ultimo paese è stato al centro della cronaca locale per la concentrazione non tanto dei 4 richiedenti asilo presenti in strutture ASP, ma anche dei 40 gestiti a partire da luglio da un operatore economico locale (Albergo Antica Corona). Molto critici riguardo all’alto numero di richiedenti asilo presenti in un piccolo comune la Lega Nord (l’onorevole Gianluca Pini ha parlato di “abominio” e “schifezza” da fermare nel nome del buon senso – LINK) e Forza Italia (i cui consiglieri hanno lanciato una raccolta firme – LINK), ma ultimamente qualche perplessità è giunta dal Partito Democratico. L’assessore Marco Unibosi ha infatti espresso le richieste del Comune di effettuare un’assemblea pubblica con la cittadinanza, e del presentare un programma dettagliato di integrazione culturale e sociale (intervista di Riccardo Isola, sul Corriere di Romagna di venerdì 16 settembre).

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