Faentini dimenticati: Vincenzo Lama, giovane morto nella Grande Guerra
Una storia come tante altre e, al tempo stesso, unica nel suo genere. La vita di Vincenzo Lama, faentino nato il 30 agosto 1894, può essere paragonabile a quella di tante altre della sua generazione, segnata dalla tragedia della Prima guerra mondiale dove Lama perse la vita il 31 ottobre 1917 – poco dopo lo sfondamento delle truppe austro-tedesche a Caporetto – e a cui venne riconosciuta la medaglia d’argento al valore. Eppure, dietro a ogni vicenda umana, ci sono fatti unici e irripetibili che sta solo alla memoria degli uomini cercare di tramandare. E quando la memoria sbiadisce, ecco allora che entra in gioco il lavoro di ricerca di chi – con passione e competenza – cerca di far sì che queste storie non siano dimenticate. La vicenda di Vincenzo Lama è stata infatti riportata alla luce da Gian Paolo Bertelli, vicepresidente a Bologna dell’associazione nazionale Arma del Genio, che da quasi venti anni svolge ricerche sui caduti di guerra nel difficile tentativo di creare un collegamento tra le generazioni del presente e quelle del passato. Un lavoro faticoso ma appagante tra gli archivi, le testimonianze, i racconti delle persone che permette di scoprire le origini della propria famiglia e le storie dei propri bisnonni. A cento anni dalla scomparsa di Vincenzo Lama, ecco dunque l’occasione per fare memoria di questo personaggio a cui la città manfreda, finora, non ha ancora dato il riconoscimento che probabilmente merita.
Numerosi lapidi a Ferrara in ricordo di Vincenzo Lama
Più che da Faenza, partono da Ferrara le ricerche su Vincenzo Lama. «Sfogliando una rivista del Comune di Ferrara dove venivano censiti i caduti ferraresi – spiega Bertelli – trovai una pagina in cui si faceva riferimento a Lama, decorato con una medaglia d’argento. Mi ha incuriosito che fosse originario di Faenza, e allora ho ricercato tra i documenti d’archivio e dell’università, dove Lama studiava». Oltretutto diverse lapidi nella città estense ricordano quel giovane caduto “Vincenzo Lama” proveniente da Faenza. Tracce di memoria che ancora oggi si possono vedere in Municipio o all’università, silenziosi testimoni per non dimenticare i nomi di chi ha conosciuto veramente cosa significhi la parola “guerra”.
Gli studi al liceo Regio Torricelli
Nato a Faenza il 30 agosto 1984, Vincenzo Lama, figlio di Francesco e Maria Rava, ha vissuto la giovinezza nella città manfreda, dove era iscritto al liceo Regio Torricelli: tra gli alunni licenziati dal liceo nel 1912-13 figura infatti anche il nome di Vincenzo Lama. Nel diploma, figurano due ‘otto’ (matematica ed educazione fisica), alcuni ‘sette’ (italiano e latino) e dei ‘quattro’ (greco e storia), poi recuperati con ‘sei’ nella sessione d’ottobre. Ottenuto il diploma, a Bologna la famiglia di Vincenzo preferisce Ferrara, e il 19 novembre 1913 arriva l’immatricolazione ufficiale all’università estense, dove il giovane studente si traferì con la propria famiglia, per studiare Legge. Francesco Lama morì prima del figlio, forse per questo Vincenzo portò la madre a vivere a Ferrara con lui, dove abitavano in via Ragno 11, nel quartiere medioevale di Ferrara.
Studente lavoratore ante litteram
Probabilmente anche per la scomparsa del padre, una volta giunto a Ferrara Vincenzo Lama si rimbocca fin da subito le maniche. Sfogliando il suo libretto universitario si nota che non diede molti esami, questo perché allo studio affiancava già l’attività lavorativa. «A suo modo era uno studente-lavoratore ante litteram – spiega Bertelli – nei nomi che riporta una lapide del Comune “ai propri dipendenti morti per la patria” figura anche il nome di Vincenzo Lama». Entrando nello specifico, per pagarsi gli studi il giovane fece parte della polizia municipale di Ferrara «cui diede opera assidua – recita un documento – dal 1° gennaio 1914 fino alla chiamata alle armi». Poi arriva la Prima guerra mondiale, evento della ‘Grande storia’ che trascina con sé le tante microstorie di soldati, famiglie e cittadini. Tra cui quella di Vincenzo Lama, che da quella “inutile strage” non farà mai ritorno.
L’arrivo della Grande Guerra
Nella documentazione portata alla luce da Bertelli emergono testimonianze interessanti. Da un necrologio e da un santino funebre d’epoca viene alla luce che Vincenzo Lama fosse iscritto ad Azione Cattolica. «È un dato interessante – spiega Bertelli – perché in quegli anni il clero descriveva la Prima guerra mondiale come una “inutile strage”, mentre gli interventisti vi vedevano la ‘gloriosa’ Quarta guerra d’indipendenza. In questo, Vincenzo Lama protende per questa seconda via e si accomuna ad altri cattolici romagnoli sulla scia di don Minzoni». Il giovane ferrarese di origini faentine morirà a soli 23 anni, dopo poco più di un anno dalla sua chiamata alle armi, quando si ritrovò a combattere in una delle fasi più sanguinose del conflitto. «Lama fu ferito seriamente sul monte Lemerle – spiega Bertelli, sulla base delle testimonianze che è riuscito a trovare – Il monte Lemerle è il punto di massima penetrazione dell’esercito austroungarico durante la Strafexpedition nel 1916. In quel luogo le nostre truppe riuscirono a fermare il nemico prima che dilagasse nella pianura veneta». Una resistenza che è costata molti sacrifici; così il loro comandante dei fanti della Brigata Forlì, il generale G. Franchi, ricorda quelle giornate di lotta: “Dieci giorni e dieci notti di eroismo e di sacrificio avevano vissute quelle valorose truppe, in un continuo inferno di fuoco e di sangue, in una continua tragedia di lotta e di morte, con privazioni di rancio, colle labbra spesso riarse dalla sete e dalla febbre, prive di sonno e di riposo; nessuno, nessuno ebbe il pensiero alla fuga, alla diserzione, all’esonero”. Dopo questo episodio, Vincenzo Lama si ristabilisce. Ma la guerra prosegue fino ad arrivare a un nome che è diventato iconico nella memoria collettiva: “Caporetto”.
Vincenzo Lama morì durante la battaglia di Ragogna per rallentare i nemici prima dello scontro sul Piave
Lo sfondamento delle truppe austro-tedesche a Caporetto il 24 ottobre 1917 costrinse gli italiani a ritirarsi sul fiume Tagliamento, designato da Luigi Cadorna, comandante supremo del Regio Esercito, come linea difensiva. Qui si svolse la battaglia di Ragogna, uno degli scontri decisivi della Prima guerra mondiale: il Tagliamento fu infatti l’ultima linea a essere tenuta prima di quella sul Piave. Il ruolo delle forze sul Tagliamento, tra cui combatteva anche Vincenzo Lama, fu quello di rallentare l’avanzata nemica per permettere alle nostre truppe di attestarsi sul Piave. La fine del giovane sul campo di guerra viene raccontata da un necrologio firmato dagli “Amici del circolo universitario cattolico”: «Il tenente mitragliere, laureando in Legge Vincenzo Lama, due volte ferito sul Carso, dove al nemico per due anni oppose la sua gioconda ed eroica giovinezza, cadde il 31 ottobre colpito da una pallottola in fronte, mentre impavido a difesa su di un ponte sul Tagliamento manovrava personalmente la sua fida mitragliatrice». Diverse testimonianze riportano come luogo della morte “Ponte di Cornino”. In tutto, nelle file dell’esercito italiano, la battaglia di Ragogna ebbe un bilancio di 400 morti, 1.200 feriti e oltre 3mila prigionieri. L’episodio rappresenta l’ultimo atto di difesa del Tagliamento da parte degli italiani che, sebbene non riuscirono nel loro scopo, rallentarono di qualche giorno l’offensiva nemica, dando così tempo ad altri reparti di ritirarsi verso il fiume Piave. Il 9 dicembre 1919 l’università di Ferrara riconobbe a Vincenzo Lama, per il suo sacrificio, la laurea ad honorem. I suoi resti sono sepolti attualmente nel Tempio Ossario di Udine; tomba loculo: 4.269, progressivo: 78.463.
La ricerca di Gian Paolo Bertelli
Dietro queste notizie c’è un lavoro di ricerca tra biblioteche e archivi, luoghi nei quali sono conservati secoli e secoli di piccole e grande storie che aspettano solo di essere riportate alla luce. «Da quindici anni mi occupo di questo tipo di ricerche, dando supporto a chi cerca notizie dei caduti in diverse guerre del passato: dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, passando per la Guerra civile spagnola, e tante altre». Tra i suoi lavori più importanti, c’è sicuramente il censimento dei 5.400 caduti ferraresi della Prima guerra mondiale e dei 3.400 della Seconda. Numeri impressionanti, e dietro a ogni numero c’è una storia da raccontare – come quella di Vincenzo Lama – una storia che spesso le guerre hanno reciso rendendo difficile trasmettere memoria ai discendenti di questi uomini. Intere generazioni sono infatti scomparse nel corso di questi conflitti.
Non solo documenti ufficiali, ma anche diari e scritti dal carattere accidentale ma che per noi oggi sono molto importanti. Come è nata la passione di Gian Paolo Bertelli per questo tipo di ricerche? «È nata mettendomi subito “in campo” tra biblioteche e archivi svolgendo la ricerca genealogica della mia famiglia, all’interno della quale c’erano dei buchi generazionali che volevo sciogliere. In realtà, sapendo muoversi bene tra gli archivi, è abbastanza facile arrivare anche tornare indietro nel tempo fino al ‘600, al tempo del Concilio di Trento. Ho avuto nella mia famiglia otto caduti nella Prima guerra mondiale e quattro nella Seconda, alcuni nei campi di sterminio di Mauthausen». Ora Gian Paolo è un vero e proprio punto di riferimento del settore, un vero e proprio “cacciatore di genealogie” a cui in tanti, da tutto il mondo, si rivolgono. Parte del materiale da lui raccolto è scaricabile gratuitamente al sito dell’associazione culturale di Ricerche storiche Pico Cavalieri (www.picocavalieri.org).
“I ragazzi di oggi sono curiosi del passato”
Oggi l’importante lavoro di digitalizzazione di documenti viene in soccorso a questo tipo di ricerche: dai documenti ai giornali d’epoca, consentendo a molti, anche senza molte conoscenze specifiche, di andare alla scoperta del proprio passato, in un mondo sempre più preso dall’“assedio del presente” di smartphone e social network. «Bisogna perpetuare la memoria – spiega Bertelli – Io sono nonno di due nipotini e fare vedere loro le foto di un nonno in divisa stimola la loro curiosità. I ragazzi di oggi vogliono sapere molto del loro passato, mentre noto meno interesse nella generazione dei 40-50 anni; probabilmente c’è stato un salto generazionale». Un salto generazionale che Faenza ha con Vincenzo Lama, e che si spera possa essere sanato.
Samuele Marchi
Foto: Archivio Gian Paolo Bertelli