Spettatori protagonisti a Officina Matteucci con una mostra d’arte interattiva
Un luogo in cui l’arte ci invita a fare delle scelte. Officina Matteucci (corso Mazzini, 62) presenta <title> </title>, una mostra collettiva di Davide Rotatori, Giacomo Gerotto, Lorenzo Tonda, MonkeyDo, Tommaso Pedroni e Umberto Antonaci a cura di Michele Argnani, in cui viene richiesto un approccio diverso di fruizione. Lo spettatore è infatti colui che rende possibile il compimento dell’opera mettendosi in relazione e interagendo con essa, modificando in alcuni casi il percorso della mostra e i lavori degli artisti. Ciò che propone è una mostra di arte interattiva dove l’intenzionalità presuppone quindi di realizzare, o per meglio dire programmare, opere modificabili attraverso la partecipazione e la scelta dello spettatore. La mostra, installata dal 30 marzo al 26 maggio 2019, inaugurerà venerdì 29 marzo alle 18.30. Sabato 30 marzo e domenica 31 marzo: 10.30-12.30; 16.30-18.30. La mostra prosegue su appuntamento (Stefano: 346 95 81 945, Michele: 334 23 21 746) e-mail: officinamatteucci.info@gmail.com
The Process button: lo spettatore decide l’illuminazione della mostra
Ad accogliere il pubblico si trova The Process button di Davide Rotatori, un’installazione che permette attraverso un bottone di spegnere l’illuminazione della mostra per un breve periodo, impedendo al pubblico la corretta visione delle altre opere. Il fruitore da interruttore di innesco diventa in questo caso disinnesco, in grado di condizionare l’esperienza collettiva e imporre agli spettatori una condizione di stasi percettiva o “cortocircuito interattivo”. Nei dispositivi interattivi lo spettatore è artefice dell’attivazione del processo, ma è comunque partecipe all’interno di una logica pre-programmata da regole precise: l’intento dell’artista è quindi fornire al pubblico la scelta consapevole di “spegnere” la mostra attivando il circuito dell’opera, riportando allo stesso tempo lo spettatore al centro del labirintico pro- cesso artistico da cui tentava di fuggire.
Una mostra in dialogo con vecchi e nuovi media
Alle pareti della prima sala troviamo le tele di grande di dimensione della serie Raging Babies di Lorenzo Tonda, che ritraggono bambini nella disperata ricerca giocosa, ma allo stesso tempo macabra di caramelle, raffigurate da solidi geometrici puri che rappresentano l’avidità della società moderna. L’artista realizza le sue narrazioni attraverso la modellazione dei soggetti attraverso programmi di grafica 3D, per poi in un secondo momento trasportarle su tela in monocromo. L’interazione con lo spettatore e le opere di Lorenzo avviene grazie al lavoro in realtà virtuale del collettivo MonkeyDo — composto da Lucio Arseni, Lucrezia Berardi e Flavia Amato, nato fra le mura dell’Accademia di Belle Arti Brera di Milano — con l’accompagnamento musicale di Tommaso Pedroni. L’esperienza immersiva vuole indagare il rapporto relazionale fra new media e old media, proget- tando un mondo virtuale che completa e anima audiovisivamente la serie di quadri già in stretta relazione fra loro. Pensato come un vero e proprio parco giochi virtua- le, la scena prende vita a 360 gradi consentendo allo spettatore di immergersi in un mondo surreale, ambiguo, costituito da personaggi tanto ingenui quanto maliziosi e voraci, cullati in questa loro avidità di dolciumi.
La seconda opera di Davide Rotatori dal titolo Cromia Residua, rimanda alla rappresentazione dell’ombra. Tramite il bagliore luminoso del monitor sulla parete, l’installazione traccia il nostro apparire che si mescola e amalgama con quella degli altri in un fluire dinamico e sfocato, come una sorta di residuo cromatico che ognuno di noi lascia con il semplice “apparire”. Il monitor rivolto verso la parete, distante pochi centimetri dal muro, emana un bagliore cromatico attorno al display. Una webcam collegata al monitor è rivolta verso lo spettatore e ne restituisce la dominante cromatica della persona: un’immagine come sintesi monocro- matica dell’abbigliamento e della carnagione dello spettatore. L’installazione gioca sul concetto di intenzionalità appartenente alla dinamica interattiva dell’opera, quasi ad ammettere che qui non c’è intenzione consapevole, perché l’interazione si basa su parametri che dipendono da una scelta compiuta ore prima rispetto all’approccio con l’opera; quella scelta fondamentale e quotidiana che compiamo prima di accedere nel tessuto collettivo, diventando quindi parte di un rapporto “causa-effetto a lungo termine” innescato da tempo nelle nostre vite.
Le opere ispirate a Feuerbach
Chiude il percorso di mostra l’esperienza interattiva dal titolo Diramazioni di Giacomo Gerotto e Umberto Antonaci, in cui lo scopo del fruitore è interagire attraverso lo smartphone con una pianta virtuale. L’opera, ispirata da L’uomo è ciò che mangia di Ludwig Feuerbach del 1862, vuole valorizzare l’importanza delle scelte che prendiamo nel corso della nostra vita e come queste influiscano sul nostro modo di essere. Feuerbach sosteneva che ogni essere umano coincide precisamente con ciò che ingerisce ed è proprio questo a formare il carattere, così anche le interazioni con l’opera rappresentano il modo in cui ci si approccia alla quotidianità: gli artisti propongono un’esperienza in cui a seconda delle scelte effettuate e a come scegliamo di interagire con la pianta — che simboleggia la vita — crescerà più o meno in salute, più verde e più ricca di frutti o più spoglia e sterile. Se nell’esperienza il fruitore completata il ciclo vitale della pianta, questa morirà, e ciò sarà seguito da due finali alternativi: uno in cui la pianta rilascerà dei semi dando vita a dei germogli consentendo nuova vita, un altro in cui la pianta cesserà di esistere. Il nostro interagire in vita farà si che la nostra memoria rimanga anche dopo la morte, poiché noi a nostra volta influenziamo le persone con cui ci relazioniamo.