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I primi sindaci di Faenza: Carboni e Betti, due liberali in scontro

Alle prossime elezioni comunali 2020 due grandi schieramenti sono pronti per cercare di insediarsi a Palazzo Manfredi. Dopo un’epoca in cui una pluralità di liste si erano affacciate sul panorama politico locale, si è tornato a un bipartitismo quasi (e diciamo quasi) perfetto – perché permangono alcune formazioni al di fuori delle due grandi coalizioni -. Si è forse tornati all’origine, quando cioè alle elezioni comunali si presentavano due formazioni simili, che non si riconoscevano – diciamolo come l’avrebbe detto Oriani – in un ideale: da un lato i sostenitori di un conservatorismo, ovvero assertori convinti delle libertà individuali, della proprietà privata, della necessità di lasciare mano libera a imprenditoria e mercato; dall’altra parte, invece, sfumava di più gli elementi liberisti e prevalgono invece alcuni atteggiamenti progressisti e repubblicani. Il terreno era comune, anzitutto l’anticlericalismo (retaggio della questione romana), mentre cambiavano le priorità dei i due schieramenti.

L’Italia nei primi anni dopo l’Unità: sinistra e destra storica

In realtà questo incontro tra forze liberali è alla base dei primi anni della politica italiana, già con il connubio Cavour-Rattazzi, portato poi avanti dal trasformismo di Agostino Depretis (primo esponente della sinistra storica) e poi da Francesco Crispi.
Questo bipartitismo in realtà venne messo in discussione quasi fin da subito nel 1869, quando nacque cioè la cosiddetta “estrema radicale” (la quale accentua gli elementi anticlericali, vorrebbe trasformare il regno in una repubblica, accentuare gli elementi progressisti). Figura di spicco fu, tra gli altri, Felice Cavallotti. Altro momento di ripensamento di questo sistema a due fu alle elezioni nazionali del 1900, quando entrarono per la prima volta i Socialisti, fedeli propugnatori della teoria economica e sociale marxista (cioè di una lotta tra oppressi e oppressori, rispettivamente i lavoratori e i borghesi, la cui forza dello scontro – la rivoluzione proletaria – avrebbe inevitabilmente visto vincere i primi sui secondi).

Il ruolo dei cattolici dopo l’Unità d’Italia

C’è poi un aspetto ancora da mettere sul piatto: il ruolo dei cattolici. Infatti per via del pronunciamento di Pio IX che impediva agli stessi di candidarsi (“non expedit”, siamo nel 1869), bloccava di fatto una buona parte del voto che oggi definiremo confessionale. Questa ingarbugliata matassa caratterizzò la vita politica nazionale e faentina almeno sino al 1895 – anno cardine, e nei prossimi articoli vedremo il perché.

Le prime elezioni comunali a Faenza: potevano votare in 2.450

La prima elezione, nel 1860, che vide essere nominato Gaetano Carboni, ebbe come aventi diritto al voto 2.450 uomini, contro una popolazione di circa 36mila abitanti. Votava, per via delle legge elettorale del Regno di Sardegna del 1859, chi aveva superato i 25 anni di età e poteva pagare 40 lire di tasse all’anno – o 20 se dimostrava di sapere leggere e scrivere -. Per dare un’idea, 40 lire era circa un affitto annuo di un magazzino di medie dimensioni. Il sindaco, stante le leggi dell’epoca, venne nominato con Regio decreto (e cioè era di diretta nomina da parte dello stesso Re) e veniva scelto tra i consiglieri comunali.

Gaetano Carboni: il primo sindaco di Faenza

Gaetano Carboni, 1821-1884.

Il primo di questi fu Gaetano Carboni. Nato a Faenza il 9 dicembre 1821, farmacista, si avvicinò alla Giovine Italia (e a Mazzini) e partecipò ai moti del 1848 come ufficiale quartier-mastro del battaglione Pasi, difendendo Vicenza dal maresciallo Radetzky. Tornato in patria aderì invece alla Repubblica Romana, dove ebbe il compito di inventariare le proprietà delle chiese di Faenza per operare sequestri e ridistribuire gli stessi beni. Passato indenne dal ripristino dello Stato Pontificio, nel 1850 si trovava a Villa Orestina, dove fu tra i fondatori del Partito Nazionale Italiano e fu uno degli organizzatori (a palazzo Pasolini dall’Onda) dei moti del 1853 assieme al messo di Giuseppe Mazzini, Adeodato Franceschi. Questa attività non poteva passare inosservata alla polizia papalina e austriaca: Carboni fuggì quindi a Genova e presto apparve negli schedari della polizia di Pio IX quale “complice nella fazione del carcerato Federico Comandini orefice”. Dal capoluogo ligure tornò solo nel 1859, prima come membro della Commissione Provvisoria Municipale, poi Gonfaloniere e infine, il 10 marzo 1860, primo sindaco di Faenza.

Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea, Poltrona del primo sindaco di Faenza, Ebanisteria Casalini, 1861.

Egli fu quattro volte sindaco di Faenza, per brevi periodi. Come detto, Carboni incardinava quella – scrive Nino Drei – “delicata fase di trapasso dal vecchio al nuovo regime fra le impazienze dei tanti che hanno partecipato al Risorgimento e le sorde resistenze dei non pochi impiegati ancora ligi al passato regime, fra una classe dirigente in larga parte reazionaria od attendista e gli uomini nuovi che ora reclamano il potere”. Contro questa fazione interventista, repubblicana, si ersero una serie di figure di estrazione “governativa”. E questo accadde da subito: infatti nel novembre 1861 venne sostituito dal conte Achille Laderchi, patriota anch’esso che partecipò alla prima guerra d’indipendenza, si rifiutò di accogliere Pio IX nel 1858, fu a capo della colonna di civici faentini che liberarono Urbino. Il suo patriottismo lo avvicinò, però, alle visioni cavourriane, e ciò è evidente quando fondò – e divenne presidente – della Società Nazionale nel 1860.

Gustavo Betti: dalla loggia alla ferrovia, “senza contrarre debiti realizzò numerose opere pubbliche”

Gustavo Betti, 1832-1900.

Tuttavia il vero “campione”, vicino alle posizioni filogovernative fu l’avvocato Gustavo Betti. Su Gustavo Betti è utile leggere l’elogio funebre che “Il Lamone” gli tributò il giorno della morte, venerdì 7 dicembre 1900 alle ore 13,30. Questo articolo non in prima e nemmeno in seconda pagina, bensì in terza pagina – il Lamone, nello stesso anno, tributava un’intera pagina al ricordo di Felice Cavallotti, e si schierava per Vincenzo Caldesi su cui convogliare i voti di repubblicani, radicali e liberali – e questo fa capire la differenza tra le posizioni della sinistra e della destra, identificata proprio da Betti: “intelligente ed acuto, il Betti era per naturale conformazione dell’animo, inclinato a tale mitezza e così conciliante, che non aveva nemici personali neanche fra gli avversari politici od amministrativi, nel novero dei quali fummo noi pure che spesso lo combattemmo, pur conservando con lui ottimi ed affettuosi rapporti personali”.

Gustavo Betti era nato a Faenza il 23 dicembre 1832. Avvocato, fu giudice supplente al tribunale di Faenza e, l’anno dopo, vice-giudice, incarico che mantenne sino al 1864. Eletto nel 1860, divenne assessore e, nel 1868 sindaco – pur interrotto varie volte – per diciassette anni. L’opera di Gustavo Betti è ancora oggi visibile ai cittadini faentini: insistono le fonti nel ripete che “senza contrarre debiti” realizzò numerose opere pubbliche, tra cui la ricostruzione della loggia dell’attuale piazza del Popolo, il restauro del Teatro Comunale, l’innalzamento della Barriera di Porta Ravegnana (oggi distrutta ma ancora visibile in foto). Nel forese completò parte della rete viaria e fu inoltre tra i promotori della ferrovia Faenza-Firenze.

La nascita dei partiti di massa

Questa divisione tra posizioni liberali-repubblicane e liberali-regie tuttavia dovette presto scontrarsi con l’arrivo di nuove forme aggregative, sia sociali che economiche (come le cooperative), e l’esplodere dei partiti di massa, frutto anche dell’allargamento della base di voto. Queste forme allora personalistiche – che se, dietro, avevano alcuni ideali, ma dove contava la persona, in un sistema dove l’ultima parola spettava al Re – entrarono presto in crisi. Ma questa è la prossima storia.

Mattia Randi

Vuoi saperne di più?

Antonio Drei (a cura di), Sindaci di Faenza dall’Unità a fine Ottocento, 2005

Biografia del comm. Gustavo Betti, avvocato, Roma, Forzani e c. tipografi del Senato, 1896

Gabriele Albonetti (a cura di), Storia di Faenza. Dalla preistoria all’anno duemila, Cesena, Il ponte vecchio, 2018

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