Old di M. Night Shyamalan
Una famigliola composta da genitori, figlia di undici anni e figlio di sei, decide di trascorrere una vacanza da sogno in un paradiso caraibico. I coniugi, tuttavia, non sono felici. Lui è un assicuratore che calcola i tassi di rischio, perciò sempre impegnato a prevedere il futuro. Lei è immersa nel passato per via del suo impiego al museo. Per entrambi il tempo ha un significato che nel corso del film verrà completamente stravolto. Giunti in una spiaggia isolata sotto consiglio del titolare del resort, i protagonisti, insieme ad altri vacanzieri, andranno incontro a fenomeni paranormali che li coinvolgeranno tutti. M. Night Shyamalan fa da sempre rima con originalità. Con Old, il cineasta di origine indiana non fa eccezione, sebbene il soggetto per questo film non sia opera sua (proviene infatti dalla graphic novel Sand Castle) e l’idea principe sia già trita e ritrita nel cinema di genere. Se le manipolazioni temporali alla Nolan sono ormai ben radicate nella mente della stragrande maggioranza degli spettatori, quello che Shyamalan riesce a creare è comunque qualcosa di nuovo e fresco. Il risultato è un thriller teso sin dai primi atti, con elementi grotteschi ma inquietanti in grado di suscitare un misto di sensazioni stranianti.
Una spiaggia prigione alla quale i protagonisti reagiscono in maniera differente
L’invecchiamento precoce provocato dalla spiaggia/prigione (inquadrata in tutta la sua bellezza quasi ultraterrena, ma vista anche come insidia e minaccia della natura stessa nei suoi scorci più spigolosi e oscuri), porta a una serie di conseguenze più o meno devastanti sui malcapitati turisti. I giovani si ritrovano a dover crescere nel giro di poche ore, con il fisico che muta e la mente che si affolla di pensieri sempre più strutturati, pur rimanendo ancora fanciulli nell’anima. Gli adulti vanno incontro alla senilità in modi differenti: tra chi abbraccia la psicosi legata al terrore di perdere la propria gioventù e quindi anche la bellezza esteriore; e chi la accoglie come destino ineluttabile, simbolicamente rappresentata da un mare prima agitato poi via via più calmo.
Shyamalan mette in scena i mutamenti del corpo e del cuore
Il regista caratterizza a dovere i numerosi personaggi rendendoceli identificabili anche quando il ritmo accelera (la telecamera li segue letteralmente di corsa), e ne inquadra paure, limiti e ruoli che assumono nel corso della prigionia mentre tutto cambia in poco, pochissimo tempo. Si potrebbe quasi pensare a un esperimento di Shyamalan, che mai come in questo film si diverte a giocare con personaggi e situazioni, oltre che con sé stesso nelle irriverenti autocitazioni (chi è abituato al suo cinema saprà che il regista ama apparire come cameo nei suoi lavori). Old riesce dunque a unire con grande energia l’intrattenimento, la tensione e il grottesco a riflessioni più profonde: quanta importanza possono avere le nostre scelte nel tempo e quanto pesano le nostre azioni di fronte ai mutamenti del corpo, della mente e del cuore? Forse la risposta è già nelle scene del film, nel momento in cui vediamo una ferita appena aperta che si rimargina all’istante senza lasciare alcun dolore.