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Nell’erba alta di Vincenzo Natali

Da bambino sognavo spesso i mostri… e riuscivo a fregarli, ma anche ora da grande quale volta mi capita di sognarli…ma non riesco più a fregarli.
Io non ho paura – Niccolò Ammaniti

Un fratello e una sorella attraversano in macchina l’autostrada americana diretti verso San Diego, in California, per un motivo non ben specificato. La ragazza è incinta. Il padre del futuro pargolo non è presente. Si avverte fin dalle prime battute un forte senso di disagio e di profonda nausea e sarà proprio a causa di quest’ultima che Becky (Laysla De Oliveira) dovrà fermarsi momentaneamente per riprendere fiato. Ciò si rivelerà la decisione più sbagliata della sua vita. Dai campi abbandonati del Kansas si ode un grido d’aiuto di un bambino perso nell’erba alta, bloccato lì forse da giorni. I due altruisticamente scelgono di aiutarlo, non sapendo tuttavia che ciò li avrebbe trascinati in un tremendo viaggio di perdizione, sia fisico che spirituale, che avrà come direzione ultima l’inferno.

Ottimo ritorno dietro la cinepresa per Natali, esperto nell’uso dello spazio scenico

Distribuito da Netflix nel 2019, il nuovo lavoro del regista di origine italiana (già creatore del primo The Cube del 1997, ora autentico cult) si dimostra all’altezza nel rappresentare con rispetto ed eleganza la letteratura di Stephen King, dando alla materia in questione un tocco personale e in linea al suo stile claustrofobico che toglie il respiro allo spettatore. Nonostante l’assenza pressoché totale di Jump Scare e di colpi di scena eclatanti, la pellicola riesce con efficacia a creare un’atmosfera ansiogena ben calibrata, rendendo il genere trattato un mix tra un horror psicologico e un thriller puro. Si notano inoltre possibili riferimenti ad altri capolavori passati che avevano come tema il rapporto orrorifico tra la natura e gli esseri umani. Un’ esempio emblematico è sicuramente il richiamo ad una sequenza iconica de “La Casa” di Sam Raimi.

“Noi siamo come l’erba, continuiamo a morire e continuiamo a tornare”

Elemento surreale utilizzato dal film si basa su un concetto temporale quasi da videogioco, in cui il protagonista ogni volta che fallisce ritorna al punto di partenza come una specie di check-point. Ciò inizialmente stordirà il pubblico, forse anche in maniera negativa. Ciò nonostante, una volta compreso il meccanismo della sceneggiatura, si avvierà un’ avventura a puzzle in cui starà allo spettatore cercare di collegare ogni pezzo della storia vedendola dal punto di vista di tutti i personaggi coinvolti. Un esperimento apprezzabile che stimola la creatività di chi guarda e gli fa acquisire un ruolo attivo durante la visione.
Il tipo di simbologia utilizzata rimanda alla religione cristiana, nella sua versione più distorta, con dei cenni alla ritualità pagana e primitiva. Non mancano dunque critiche velate al fanatismo religioso paragonato ad una vera e propria setta demoniaca, non assente da falsi dei e atti osceni.

Questa è solo carne e ogni carne è come l’erba

La vegetazione presente prende vita propria e diventa parte integrante della narrazione. Ad essa viene assegnato il compito di essere la vera antagonista della vicenda. Gli immensi cespugli d’erba e il fango viscido diventano ostacoli non indifferenti per i protagonisti, la mancanza d’acqua si farà sentire e lo spirito di corruzione delle piante aleggerà sopra le loro teste controllandoli costantemente. Una sorta di magia maligna contaminerà le menti di alcuni dispersi. Il nemico diventerà doppiamente pericoloso e le nostre certezze verranno sempre messe in discussione. La fiducia non sarà mai una cosa scontata. Bloccati in un loop infinito in cui il tempo e lo spazio mutano di continuo, tutte le decisioni che i personaggi prenderanno saranno fondamentali per evitare cattive conseguenze, il tutto in una fuga dissennata dalla morte e verso la luce che illumina la salvezza.

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura!

Commedia, canto I – Dante Alighieri.

 

Alex Bonora

Alex Bonora

Nato a Murano, ridente isola della laguna veneziana, famosa per la lavorazione del vetro. Diplomato prima come ragionerie a Venezia e successivamente come attore di prosa presso la scuola di teatro Galante Garrone di Bologna nel 2015 dopo un percorso accademico di tre anni. Per diverso tempo sono stato animatore turistico in diversi villaggi turistici in Grecia ricoprendo anche ruoli di responsabilità e coordinamento dello staff. Artista a tempo perso, viaggio molto ricordandomi di tenere costantemente i piedi per terra e la testa alzata verso il cielo. Appassionato di cinema, teatro e musica, ritengo che la critica artistica non sia la semplice valutazione di un prodotto ma un vero e proprio dialogo tra l’analista e il creativo, atto per l’arricchimento intellettuale del pubblico. Amo i dolci e possiedo una katana “Wado Ichimonji”(Strada dell’armonia) in omaggio al manga One Piece. Combatto tutti i giorni per la libertà. Individuale o collettiva che sia.

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