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“È la presenza il farmaco con cui curare la scuola”: genitori, insegnanti e studenti in piazza a Faenza

Quando qualcuno si ammala si cerca subito una cura. Nessuno pensa di abituarsi alla malattia. Così i ragazzi del comitato Priorità alla Scuola sono nuovamente scesi in piazza a Faenza nella mattina di venerdì 26 marzo e sulle note di “Dotti medici e sapienti” di Bennato si sono messi il camice per ricordare a tutti che “la scuola si cura, non si chiude”. Insegnanti, genitori, ragazzi e bambini hanno manifestato in sessanta città italiane, nel rispetto delle regole e del distanziamento, non solo per chiedere la riapertura delle scuole, ma anche per ribadire la centralità della relazione educativa e sottolineare alcune criticità presenti nella gestione dei fondi del Recovery Plan in materia scolastica. Come nello spirito della nostra rubrica, diamo voce a loro: ragazzi e insegnanti.

“Anche l’isolamento è una malattia”: la cura è la relazione

Come si può dire che la scuola sia ammalata se non la popola più nessuno? A essere ammalati sono proprio i ragazzi che non la abitano più. Non si tratta purtroppo di una metafora, ma di una realtà concreta. A dire ad alta voce questo, leggendo i dati dell’associazione Psicologi è proprio uno studente: “Durante questa pandemia si è giustamente parlato tanto dei malati di Covid, ma troppo poco si sa degli effetti dell’isolamento su bambini e adolescenti. Da uno studio dell’associazione di psicologi “Donne e Qualità della Vita” svolto nel 2020 su un campione di 600 soggetti tra i 12 e i 19 anni, risulta che 1 su 3 ha sviluppato un disturbo di tipo ansioso-depressivo. La chiusura delle scuole ha portato a un aumento dei disturbi alimentari, del sonno e dell’umore e a una crescita degli atti autolesionistici e dei tentati suicidi nella popolazione giovanile”.

Se la malattia della scuola è quella di essere stata privata dei ragazzi, la cura non può essere quella di abituarsi agli schermi, a ciò che è nato come uno strumento per fronteggiare un’emergenza. Questo il senso dello sciopero: la scuola ha bisogno di riscoprire la relazione e dunque non può legittimare la didattica a distanza. “Durante la notte a volte sogno la normalità – dice un ragazzo di quinta ginnasio del liceo Classico – sogno di essere a scuola con i miei compagni prima della pandemia. Poi suona la sveglia e torno triste perché mi torna in mente la mattina che mi aspetta… Ormai è diventato tutto prevedibile…”.

“Cara dad, io non ti voglio”: preoccupazioni dei prof di oggi e di domani

Il comitato chiede al contrario che tutto questo non diventi prevedibile. Sottolinea perciò la necessità di investire sulla relazione e non sulla didattica digitale: chiede l’assunzione di più docenti, un tetto massimo di venti alunni per classe. Chi è insegnante oggi chiede di non lasciare che i ragazzi si abituino all’assenza di relazione: “Cara dad, non voglio vedere i miei ragazzi che si abituano a te, che rimangono una lettera su uno schermo […] Le conseguenze che tu lascerai su questa generazione saranno faticose da superare. Io credo che qualche segnale si stia già vedendo. E’ ora di smettere di fare finta di nulla”.

Chi sarà insegnante domani chiede di poter continuare a credere e dire a tutti che a reggere il mondo non sono i giganti, ma quelli che si sanno arrampicare sulle loro spalle per guardare cosa c’è oltre: i bambini, i ragazzi”. E proprio per guardare al futuro alcuni studenti presenti salgono in piedi sui banchi che hanno portato in piazza, come gli allievi del professor Keating de “L’attimo fuggente”, davanti alle scarpe vuote che simbolicamente hanno posizionato per terra vicino a loro per dire a tutti che la scuola senza i ragazzi non va da nessuna parte.

Per la rubrica “Per chi suona la campanella…” a cura di Letizia Di Deco

 

Letizia Di Deco

Classe 1998, vivo a Faenza. Mi sono laureata in Lettere Moderne e poi in Italianistica e Scienze linguistiche all’Università di Bologna. Scrivo per il settimanale Il Piccolo di Faenza. In attesa di tornare definitivamente in classe da prof, mi piace fare domande a chi ha qualcosa di bello da raccontare su ciò che accade dentro e fuori le pareti della scuola. Ho sempre bisogno di un buon libro da leggere, di dire la mia opinione sulle cose, di un po' di tempo per una corsetta…e di un caffè

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