“Pensare, progettare, costruire”: il preside Luigi Neri dopo 25 anni lascia il liceo Torricelli-Ballardini

D’estate la campanella non suona, ma per la nostra rubrica abbiamo incontrato nella sede artistica del Ballardini il prof Luigi Neri, preside del liceo Torricelli-Ballardini di Faenza che il 31 agosto lascerà dopo venticinque anni la dirigenza della scuola. In presidenza dall’anno scolastico 1996-97, Neri ha visto crescere e ampliarsi il liceo faentino: dai primi anni di unificazione del liceo scientifico Severi al liceo Torricelli fino all’annessione del liceo artistico Ballardini. Abbiamo quindi parlato con lui di scuola, di come è cambiata in questi anni e di quali sono le sfide future che i prossimi studenti e i prossimi insegnanti dovranno affrontare.

La scuola di ieri di oggi: punti di forza e difficoltà

Che scuola ha trovato all’inizio del suo incarico e che scuola lascia? 

Sono cambiate molte cose dal ’96, di certo però il cambiamento nella scuola è più lento. Ciò che vi è di arcaico tende sempre a riemergere alla prima occasione. Ad esempio tuttora i vari indirizzi non sono ancora perfettamente amalgamati: è giusto che ognuno mantenga la propria identità, ma sarebbe opportuna la coesione tra le componenti, perchè l’unità consente di mettere a disposizione tutte le risorse di una scuola. Spesso non ci si accorge di ciò che cambia, ma ad esempio rispetto alla scuola di venti o dieci anni fa è stata molto ridimensionata la presenza del latino che non è più ritenuto il pilastro della formazione liceale. Al liceo abbiamo cercato di svecchiare i programmi portando nella scuola la contemporaneità e questo in buona parte è riuscito perchè nelle materie umanistiche ci spingiamo fino al secondo Novecento. Io credo ad esempio che la storia sia un confronto con il passato ma deve metterci a contatto con la realtà di oggi altrimenti la scuola viene meno al suo compito fondamentale che è quello di formare dei cittadini.

Parlando di cambiamenti, quale impatto avrà secondo lei la pandemia sulla società e quindi anche sulla scuola?

Sicuramente il danno c’è stato. Speriamo che non sia un disastro, ma un danno generazionale c’è stato. Abbiamo però capito una cosa fondamentale: anche se adesso si lavora molto con strumenti informatici, noi non riusciamo a dematerializzarci, come qualcuno vorrebbe. Non siamo puri spiriti ma una realtà corporea che ha bisogno di una interazione ravvicinata, di un contatto, senza il quale viene meno quello che c’è di più umano nella nostra cultura.

In relazione alla pandemia sono emersi dati preoccupanti su abbandono scolastico e disturbi di ansia nei ragazzi. Alcuni psichiatri dicono che la scuola sia un fattore ansiogeno. Cosa ne pensa?

Spesso purtroppo lo è. Gli insegnanti dovrebbero imparare a essere esigenti ma senza generare ansia. Alcune materie più di altre producono uno stato ansioso, ma dipende sempre dal modo di porsi dell’insegnante. I docenti dovrebbero avere la capacità di osservarsi e vedere quali reazioni i loro comportamenti possono generare negli studenti per evitare che laddove ci sono già situazioni ansiose preesistenti queste poi esplodano.

liceo-classico-torricelli
La sede dell’indirizzo classico

“La scuola sia attenta alle difficoltà dei ragazzi”

Quali sono stati i punti di forza del liceo in questi anni e quali le sfide più grandi?

Primo fra tutti il Forum della Filosofia, un progetto splendido che ha saputo creare movimento a livello nazionale. Di certo anche il Castoro, il giornale curato dagli studenti seguiti dai professori, come anche il Nautilus su cui pubblicano anche i docenti del liceo. Ma uno dei progetti vincenti è anche la cogestione che ha per fortuna soppiantato le vecchie occupazioni: credo che la cogestione sia un modello organizzativo della società gestito dai ragazzi. Il covid purtroppo ha fatto venire meno molte di queste cose, come anche gli scambi con l’estero, particolarmente importanti per il liceo linguistico. Le sfide più difficili sono quindi quelle degli ultimi tempi ma anche quella di trovare una didattica che tenga conto dei contenuti ma senza perdere di vista le fragilità degli studenti. Per riprendere don Milani: “la scuola non diventi un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. E’ facile far studiare studenti già motivati e con una stabilità alle spalle. Il ricorso massiccio alle ripetizioni private ad esempio è indice di un fallimento: per usare la metafora di don Milani, se mi curo nel pubblico perché devo ricorrere al privato se mi trovo in difficoltà?

Ultimamente si parla molto di una scuola competitiva e produttiva, ma sempre meno formativa. Molti propongono di potenziare tutto ciò che riguarda le competenze, l’alternanza scuola lavoro, dimenticando l’aspetto formativo. Qual è il suo punto di vista su questo?

La scuola ha un compito formativo. La formazione si deve certo tradurre in un saper fare, ma la competenza non deve essere dissociata dai contenuti. Io ho sempre privilegiato la dimensione del contenuto culturale. Su questo si nota come le discipline scientifiche siano progredite molto mentre le discipline umanistiche sono ancora piuttosto arretrate e ferme al primo Novecento. Progetti come quello legato al cinema spingono invece il nostro liceo alla contemporaneità e questo è molto importante. Disciplina chiave quindi è la filosofia che per prima fornisce strumenti per capire e progettare la realtà e non a caso è una materia comune a tutti gli indirizzi liceali.

Cogestione liceo torricelli 2018
Cogestione del 2018

“Pensare per progettare, progettare per costruire”

Come sono cambiati studenti e insegnanti in questi anni? 

Io credo che gli studenti siano cambiati molto in questi anni e in meglio. Mostrano un senso di civiltà e un rispetto per le differenze impensabili in passato. Basti considerare l’attenzione alla questione dei generi, del rispetto per i disabili. Il mondo degli insegnanti invece è quanto di più molteplice e variegato ci sia. Io credo che manchi un’identità culturale della scuola: si tende a procedere sulla base di una routine consolidata. Gli insegnanti dovranno interrogarsi a fondo su cosa vogliono trasmettere, su quale idea di cittadino si vuole perseguire. Si faccia perciò attenzione a non investire troppo sulle nuove tecnologie: di certo utili strumenti, ma dietro al nuovo, come dicevo prima, spesso si nasconde il vecchiume. La sfida ora è sì la ripartenza dalla pandemia, ma anche potenziare l’educazione civica: che non sia un adempimento tra gli adempimenti ma l’occasione per riflettere e mettere in discussione tutti gli aspetti della nostra società. Gli insegnanti devono venire in classe con qualcosa da dire, non devono nascondersi e non devono lasciare che a scuola si studi con indifferenza.

Se dovesse lasciare un consiglio, un messaggio a futuri prof e studenti?

Il consiglio che lascerei è il motto che abbiamo scritto nella copertina del Castoro: pensare per progettare, progettare per costruire. La cultura deve tradursi in un fare ma il fare deve avere a monte un pensiero. E’ tutto in vista dell’autonomia, dell’essere protagonisti e non subire dagli altri. La progettazione è importantissima. E’ sbagliato seguire il vecchio spirito rivoluzionario che insegna a buttare all’aria tutto, poi qualcosa verrà fuori. Se non si costruisce, il nuovo non verrà fuori. E costruire significa risolvere anche piccoli problemi. Ecco, il consiglio che lascio a studenti e insegnanti è quello di fare proprio lo spirito costruttivo del Castoro. Uno spirito critico, ma costruttivo.

“Per chi suona la campanella…” a cura di M. Letizia Di Deco

Letizia Di Deco

Classe 1998, vivo a Faenza. Mi sono laureata in Lettere Moderne e poi in Italianistica e Scienze linguistiche all’Università di Bologna. Scrivo per il settimanale Il Piccolo di Faenza. In attesa di tornare definitivamente in classe da prof, mi piace fare domande a chi ha qualcosa di bello da raccontare su ciò che accade dentro e fuori le pareti della scuola. Ho sempre bisogno di un buon libro da leggere, di dire la mia opinione sulle cose, di un po' di tempo per una corsetta…e di un caffè

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