Gli Scout di S.Ippolito alla scoperta della cultura albanese
Gli Scout di S.Ippolito alla scoperta della cultura albanese
L’Albania, per il popolo italiano, ha un enorme valore storico e culturale. Quando il fenomeno migratorio non era ancora così imponente come oggi, sentivamo parlare ai telegiornali (altri tempi, altre persone ma stesse storie verrebbe da dire) di un nuovo gommone giunto nei pressi delle coste pugliesi. Era la fine degli anni 90; Brindisi una delle città più raggiunte in quel periodo. In totale, il flusso migratorio albanese e kosovaro di quei tempi verso l’Italia fu di circa 100.000 persone. Non parliamo in questo caso di un luogo lontano dall’Europa, ma anzi, di un paese oltre l’Adriatico, proclamato nazione nel 1912 a seguito della prima guerra balcanica contro l’impero turco e da sempre oggetto del controllo politico del blocco comunista, lo stesso che ha portato il paese in una terribile crisi economica, principale motivazione della povertà di quella gente e del conseguente flusso migratorio. Oggi, la comunità albanese in Italia conta più di 500.000 persone, rimane viva la loro cultura “Arabehse”, ma nel tempo si è moltiplicata, a tutti i livelli, l’integrazione col popolo italiano, sia in ambito scolastico che in quello lavorativo.
Che cosa hanno lasciato i migranti albanesi? Che cosa potremmo trovare se la visitassimo? Qual è il reale tenore di vita? Alcuni faentini, magari mossi dalle stesse nostre domande, hanno scelto di trascorrere una settimana in quei luoghi. Parliamo dei ragazzi del Clan del gruppo Scout Faenza 1 con sede a S.Ippolito che lo scorso agosto sono partiti, con coraggio, per l’Albania con l’intento di conoscere la cultura albanese più da vicino, lasciando i propri pregiudizi a Faenza, e cercando di capire qualcosa di più sulle origini di quel popolo balcano.
“Abbiamo deciso di buttarci e metterci in gioco in una route (ndr. Il campo in gergo “scout”) diversa dal solito sia per il posto che per la proposta che ci veniva fatta. Abbiamo scelto di andare in Albania prevalentemente per conoscere una nuova realtà diversa da noi.”; ci racconta Maria Teresa, una “scolta” del Clan. “In molti ci chiedevamo quale fosse la storia di questo paese, di cui comunque si conosce ben poco.” Continua Francesco, anche lui “Rover” dello stesso gruppo. “Molti desideravano “abbracciare” culture e storie che nulla hanno a che fare con le nostre. La domanda che mi ha mosso più di tutte è stata: cosa ci sarà aldilà?”.
Prendiamo come esempio la curiosità di questi ragazzi, la voglia di scoprire nuove storie, superando la retorica che troppo spesso ci abbaglia; Francesco ci dice che prima di partire le sue aspettative “erano quelle di essere stupito in tutto e per tutto e “, continua, ” soprattutto provare ad immedesimarmi in storie completamente diverse dalla mia, il più delle volte dure e piene di difficoltà date soprattutto dalla cattiva gestione di un paese che per anni è stato dominato dalla dittatura comunista. Pensavo che solo comprendendo tutto ciò avrei potuto “scardinare” i miei pregiudizi e alcuni luoghi comuni che spesso per comodità o altro riteniamo opportuni usare riguardo al popolo albanese o semplicemente all’immigrazione, tema attuale quanto critico in questo periodo…”
Come spesso accade le motivazione che ci spingono a conoscere sono diverse, ma possono avere fini molto simili, Maria Teresa ci racconta: “non avevo grandi aspettative su questa route non conoscendo per niente il posto e vedendo che la preparazione ci richiedeva molto più tempo e impegno di quanto pensavo. Pensavo di andare là e farmi solamente un’idea della cultura albanese invece ho trovato una realtà di povertà che non immaginavo nemmeno lontanamente, ho trovato persone provate dalla storia del loro paese. Ho sfatato i pregiudizi che avevo e ho capito che la realtà dell’Albania è molto lontana da noi ma anche vicina nel senso che i bambini hanno voglia di giocare e ridono proprio come i nostri.” In effetti, il PIL pro-capite albanese è appena sopra i 3000 euro e la crescita del prodotto interno lordo è attorno allo 0,4%. Continua Francesco: “Probabilmente non scorderò mai il giro di visite fatto con i dottori a visitare persone bisognose che semplicemente necessitavano di cure/medicinali base e che si accontentavano del fatto che qualcuno si prendesse cura di loro anche solo bussando alla porta e chiedendo cosa avessero bisogno. Non mi scorderò mai questa parola: <Faleminderit!> che significa: grazie! Ce l’hanno ripetuta tantissime volte anche solo per una piccola cosa come una palla con cui giocare.” Anche Maria Teresa è rimasta colpita dalla gentilezza di quelle persone: “Pur nella loro grande povertà ci tenevano a offrirci tutto il meglio che avevano. Mi ha colpito la gioia dei bambini e l’affetto che ci davano. Indubbiamente è stata la route che in assoluto mi ha lasciato di più e che mi mancherà di più.”
Ciò che è davvero interessante è che questo genere di esperienza non rappresenta solo un modo diverso di guardare realtà differenti dalla nostra, ma anche una possibile via per rafforzare le proprie scelte, se non addirittura capirle al meglio. E’ Maria Teresa che ci racconta di come questa route sia stata una svolta per la sua Fede Cristiana: “Ho incontrato persone che veramente mi hanno fatto sentire la forza che può dare la Fede. Da questa route mi porto a casa la certezza che il servizio, il dedicarsi e il donarsi agli altri sarà parte fondante della mia vita perciò ho consolidato anche la mia scelta di studi (ndr. Servizio Sociale). Per Francesco l’utilità di questo viaggio è nell’aver capito che bisogna guardare oltre ai propri confini ed essere d’aiuto agli altri anche in quei luoghi più difficili. “Mi porto a casa un po’ di tutto da questa esperienza: dallo spirito di servizio delle suore francescane, il cielo stellato delle montagne albanesi, le persone e la loro semplicità nell’approcciarsi a noi, la cultura diversa ma che comunque non puoi fare altro che comprendere e accettare, i volti dei bambini che da un anno aspettano un clan italiano per avere una settimana di oratorio e giochi “diversi dal solito” e non per ultimo, capire in che modo la nostra associazione (AGESCI) si impegna e lavora nel settore internazionale.”
Oggi, sono questi ragazzi ad insegnarci come sia importante confrontare le proprie opinioni con le realtà concrete. È necessario dialogare e approfondire le questioni a noi più difficili (che sia una cultura diversa o situazioni di vita per noi distanti) per formare meglio le nostre coscienze e sottrarle al facile abuso del pressapochismo nostrano.
Ben fatto, ragazzi!!!
A cura di Francesco Ghini
Riferimenti
http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/migranti/mehillaj/cap1.htm