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Intelligenza artificiale a scuola: per un uso consapevole. Dialogo col prof. Elvis Mazzoni (Unibo)

La mente umana è qualcosa di perfetto, tanto che l’uomo, persino quando costruisce le tecnologie più avanzate le crea a sua immagine e somiglianza. Stiamo parlando di intelligenza artificiale, qualcosa che sta prendendo sempre più spazio nelle nostre vite, ma da un po’ di tempo ha iniziato anche a sedersi tra i banchi di scuola. In che modo? Ne parliamo con il prof. Elvis Mazzoni, docente di Psicologia dello sviluppo dell’educazione dell’Università di Bologna.

Intervista a Elvis Mazzoni, docente di Psicologia e sviluppo dell’educazione

 Cosa si intende esattamente per intelligenza artificiale?

Intendiamo tutti quei sistemi che cercano di simulare l’intelligenza umana e il suo funzionamento, da funzionamenti elementari di base a ragionamenti più complessi. Quello che l’intelligenza artificiale non può ancora fare è trovare soluzioni creative perché le manca l’automotivazione propria dell’essere umano. Al momento agisce solo tra scelte date all’interno di un problema definito che le viene sottoposto, anche se si sta lavorando per trovare il modo in cui possa automotivarsi a fare qualcosa. Però di certo un sistema che si automotiva e crea differenze rispetto all’obiettivo che gli viene dato fa paura. Per questo esiste un codice etico internazionale su come debba essere costruita e come debba funzionare l’intelligenza artificiale. Ovviamente non deve recare danno all’essere umano.

Quindi in che modo si può inserire in ambito scolastico?

Ci sono dei sistemi ben fatti che vengono usati come supporto alla didattica, dando risposte interattive per motivare i bambini e i ragazzi nello studio. A livello psicologico agiscono sul conflitto socio-cognitivo e sullo sviluppo prossimale e possono essere molto utili. La dimensione umana però resta quella con cui noi ci dobbiamo sempre confrontare. Il bambino deve imparare a interagire con un’altra persona e non con un essere artificiale. Bisogna ricordare perciò che l’uso di sistemi robotici a scuola deve essere un supporto, non una sostituzione dell’insegnante.

“Puntare esclusivamente sulla comunicazione a distanza può essere dannoso alla lunga”

Soffermandoci sull’importanza dell’interazione umana, le cosiddette Tic, ovvero le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (comunemente note come social, chat, piattaforme e software di vario genere) che vengono usate a scuola possono creare danni?

L’uso di queste tecnologie può essere dannoso quando crea distanza. È ovvio che in un periodo particolare come quello del Covid, la distanza era già evidente e le Tic hanno in qualche modo permesso di colmare questa distanza. Se non avessimo avuto internet durante la pandemia non potremmo parlare oggi di smart working o di didattica a distanza. Certo però che laddove per le persone diventa più semplice interagire online rispetto alla comunicazione in presenza, il loro uso diventa pericoloso. Il punto è questo: l’interazione online mi permette di controllare il momento e il modo in cui io voglio comunicare con gli altri. È evidenziato da molti scienziati che al giorno d’oggi per molte persone è più facile interagire attraverso queste tecnologie perché danno l’utopia di poter controllare quando e come iniziare una conversazione. Tramite chat io possono decidere in qualsiasi momento se rispondere o non rispondere, mentre in presenza non posso controllare come si evolve il dialogo: qualcuno può dire una frase con cui mi mette con le spalle al muro e può essere necessario trovare una strategia di uscita dalla situazione. Se i ragazzi sono da subito abituati a una comunicazione controllata non sviluppano le competenze necessarie a fronteggiare un dialogo in presenza e i rischi che la comunicazione dal vivo comporta.

“Cittadini si nasce, digitali si diventa”

Un uso eccessivo di chat, social e giochi online spesso porta i ragazzi alla cosiddetta nomophobia o dipendenza da smartphone. La scuola come può intervenire? Non rischia di contraddirsi se è lei la prima a chiedere ai ragazzi di usare le tecnologie in modo massiccio?

 La scuola deve avere un’alfabetizzazione informatica. Deve cioè essere consapevole dei rischi e delle potenzialità delle tecnologie per permettere ai ragazzi e ai bambini di sviluppare un senso critico che permetta loro di capire quando il loro uso è funzionale e quando invece non lo è. Ad esempio deve insegnare a non accettare in maniera passiva a quello che viene dal web, come le fake news, a capire quando alcune dinamiche di gioco online diventano pericolose etc. Il ruolo della scuola non è quello di chiudere alle tecnologie ma quello di aprire ad un utilizzo funzionale. Spieghiamo tante cose ai ragazzi, ma non gli spieghiamo come funzionano whatsapp e facebook se non con incontri con esperti che tendono a demonizzare le tecnologie tutte. Non è un approccio corretto.

Potrebbe quindi essere utile quindi un supporto psicologico nelle scuole da questo punto di vista?

Certamente. Da un lato un supporto psicologico votato all’uso dei media e dall’altro un supporto che faccia capire la parte etica ai ragazzi, facendo riferimento anche a cosa dice la legge su questo, che non significa non usare le tecnologie, ma usarle in modo consapevole. Cittadini si nasce, digitali si diventa. I ragazzi di oggi non sono nativi digitali, sono cittadini che si abituano da subito a usare le tecnologie e questo uso però deve essere educato attraverso l’acquisizione di consapevolezza. E questo è un compito che ha la scuola di oggi.

 

“Per chi suona la campanella…” a cura di M. Letizia Di Deco

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