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Immagini e parole nei media: quante persone in giro hai visto oggi?

Immagini e parole hanno un grande potere al tempo del Coronavirus. Possono unire le persone, così come dividerle; sono in grado di farci conoscere meglio la realtà oppure possono distorcerla. Abbiamo visto come una parola all’apparenza innocua come ‘congiunto’ sia stata in grado di minare la credibilità di un Governo molto più dell’analisi oggettiva delle misure prese (o non prese) per contrastare una pandemia mondiale. E la nostra realtà di tutti i giorni, ancor più di prima per via del distanziamento sociale, è composta in gran parte di parole e immagini che guardiamo, ascoltiamo, commentiamo.

L’annuncio della ‘fase 2’ del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Ieri, domenica 3 maggio, si è festeggiata la Giornata mondiale della libertà di stampa. Come redazione l’abbiamo ricordata con uno dei migliori spot legati al giornalismo di tutti tempi. “Points of view” il suo titolo, prodotto dal quotidiano britannico Guardian nel 1986. La stessa scena, tre punti di vista differenti, un pregiudizio iniziale e la continua ricerca della migliore prospettiva per raccontare un fatto. Un filmato di una semplicità unica, della durata di trenta secondi, dove l’aggettivo ‘semplice’ non indica affatto banalità ma precisione, essenzialità, purezza. Se all’inizio pensavamo di trovarci di fronte a un furto o a un soggetto malintenzionato, ecco che i nostri pregiudizi cognitivi vengono spazzati via negli ultimi secondi del video.

“Solo quando avete l’immagine intera potete capire pienamente quel che succede”. Teniamo a mente questo spot, ogni volta che guardiamo, anche nel locale, foto e video che vogliono raccontare la realtà che ci circonda. Non sempre, ma può capitare, la realtà può essere manipolata con l’uso distorto di immagini e parole, oppure semplicemente abbiamo solo un punto di vista che ce la propone. E dato che la razionalità per leggere la situazione d’emergenza è stata lasciata in mano a ‘tecnici ed esperti’ (con conseguente svilimento del dibattito pubblico) ai cittadini rimangono solo gli aspetti più emozionali e impulsivi della questione Covid 19, che possono essere appunto manipolati facilmente da immagini e parole utilizzati in contesti ambigui.

Immagini: le strade ‘piene di gente’

Immagini come le foto che immortalano strade piene di gente ammassata durante il lockdown, sicuramente le hai viste pubblicate tra un post e l’altro. A volte i protagonisti sono descritti come italiani “irrispettosi del bene comune” – utilizzando un linguaggio soft – altre volte sono stranieri che non hanno ancora capito la gravità della situazione – in particolare quegli ‘eretici’ degli svedesi che “non chiudono niente e non hanno il benché minimo rispetto della vita”. Come abbiamo chiamato i soggetti di queste foto negli ultimi due mesi? “Irrispettosi del bene comune”, “idioti che si devono ammalare”, “gente che non ha rispetto per la vita”. Se non fosse che, grazie a un teleobiettivo che schiaccia la prospettiva delle immagini, un’ordinata fila davanti al supermercato e che rispetta le norme di distanziamento fisico può trasformarsi ai nostri occhi in un pericoloso assembramento di gente incosciente, un sicuro nuovo focolaio di Coronavirus.

Foto tratta da un articolo pubblicato sul sito del canale televisivo danese TV 2 ripreso da “Il Post” – 27 aprile 2020.

Parole: quando 4 persone che parlano distanziate diventano sui social ‘assembramento’

“Assembramento”, abbiamo scritto poco fa. Si tratta di una di quelle parole tornate di moda in questi ultimi mesi dopo che probabilmente in molti mai l’avevano utilizzata in un contesto quotidiano. E proprio perché non proprio di uso comune, oltre a facili errori di grammatica quando la scriviamo – “assemblamento” spesso viene utilizzata in maniera impropria, quasi come sinonimo di un generico ‘vedere più di tre persone in giro per strada’. Certo, le indicazioni date dal punto di vista normativo non aiutano, dato che non viene indicato un numero preciso di persone da cui si può iniziare a parlare di un assembramento, che la Treccani definisce “riunione occasionale di persone all’aperto per dimostrazioni o altro: fare, proibire, sciogliere un a.; anche affollamento in genere”.

Capita così che un video di una persona che cammina lungo un corso della città – dove vengono riprese varie persone che, bene o male, rispettano le norme di distanziamento – possa essere descritto come pieno di ‘folla’ e ‘assembramenti’. Si crea così un facile cortocircuito tra quello che i nostri occhi vedono nelle immagini e quello che leggiamo o ascoltiamo dal video. E, se viene accettata passivamente questa distorsione comunicativa, ecco che un nostro pregiudizio iniziale (“io sono bravo a rispettare la regole, mentre gli altri sono tutti in giro”) viene confermato.

Points of View: se da un lato nella ‘fase 2’ sarà fondamentale il senso di responsabilità e rispetto delle norme da parte dei cittadini, dall’altro è importante mettere ordine tra parole e immagini prima di valutare se è legittimo o no che quattro persone che si incrociano per strada parlino tra di loro con le dovute distanze e mascherine. Anzi, solo così possiamo farci veramente una nostra idea su questi temi. Anche il titolo di questo articolo, “quante persone in giro hai visto oggi?” trae ovviamente in inganno e porta a suscitare un certo tipo di reazioni e pregiudizi nel lettore: non è infatti questa la domanda principale che dobbiamo porci all’inizio di questa ‘fase 2’.

“Non mettiamoci uno contro l’altro e non facciamo l’errore di pensare che stare a casa sia la soluzione”

Per commentare tutto questo e vedere queste foto secondo un altro punto di vista, riprendiamo le parole del giornalista Francesco Costa: «Non ci interessa quante persone avete visto fuori quando siete usciti. Non siete la polizia. E non sapete niente degli altri e delle loro vite (vedi anche gli articoli che come Buonsenso abbiamo pubblicato qui e qui, ndr). Inoltre, più in generale, non fate l’errore di pensare che stare a casa sia la soluzione, e quindi se le cose andranno male sarà perché gli altri sono stati irresponsabili. A meno che non siate pronti a stare tombati in a casa per i prossimi due anni. Questa è una crisi sanitaria. Tutti dobbiamo fare la nostra parte – stare lontani, essere prudenti, lavarci le mani, indossare le mascherine – ma non la risolviamo solo noi (corsivo nostro, ndr). Prima del vaccino, la risolvono i tamponi, la distribuzione di dpi, il sistema sanitario da rafforzare, il contact tracing, l’isolamento dei malati fuori dalle loro abitazioni. Non mettiamoci uno contro l’altro».

Fase 2: riprendiamo in mano un sano dibattito pubblico che utilizzi correttamente immagini e parole

Oggi, lunedì 4 maggio, inizia la cosiddetta ‘fase 2’ del contrasto al Coronavirus. Al di là delle ambiguità normative, di quello che potremo o non potremo fare, dei congiunti che abbiamo scoperto di avere in questi giorni, riprendiamo in mano come cittadini le immagini, le parole e il dibattito pubblico, fatto anche di sano scontro tra opinioni differenti. Facciamo la nostra parte per “mettere a fuoco tutti i punti di vista dell’immagine”, che sono là da qualche parte ma che ancora ci sfuggono perché siamo troppo intenti a porci domande sbagliate, come chiederci quante persone abbiamo visto oggi in giro. Pardon, quanti “assembramenti”.

Samuele Marchi

Giornalista, sono nato a Faenza e dopo la laurea in Lettere all’Università di Bologna frequento il master in 'Sviluppo creativo e gestione delle attività culturali' dell’Università di Venezia/Scuola Holden. Ho collaborato con diverse testate locali e nazionali come Veneto Economia, Alto Adige Innovazione, Cortina Ski 2021, Il Piccolo, Faenza Web Tv. Ho partecipato all'organizzazione del congresso nazionale Aiga 2015 e del Padova Innovation Day. Nel 2016 ho pubblicato il libro “Un viaggio (e ritorno) nei Canti Orfici” (Carta Bianca editore) dedicato al poeta Dino Campana. Amo i cappelletti, tifo Lazio e, come facendo un puzzle, cerco di dare un senso alle cose che mi accadono attorno.

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