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Davide Drei: la mia avventura in Guatemala

Era il 2017, marzo per l’ esattezza, quando decisi di comprare un biglietto a “scatola chiusa” per il Guatemala. Tre mesi, da agosto ad ottobre 2017. Penso che a 20 anni la voglia di conoscere nuove culture e vedere luoghi molto differenti da quelli che si è abituati a vivere tutti i giorni sià una cosa normale e io decisi di cavalcare questo mio desiderio partendo per un Paese di cui non sapevo quasi nulla. Prima di partire la paura di non essere adatti ad affrontare un avventura del genere era tanta, ma era più forte il desiderio di confrontarsi con qualcosa di nuovo. Così, il 5 agosto presi l’aereo da Bologna e dopo un giorno e mezzo di viaggio arrivai alla meta.

Quando uscì dall’aeroporto della Ciudad del Guatemala provai emozioni molto differenti, oscillanti tra la paura e l’entusiasmo per quello che sarebbe stato il mio primo viaggio da solo oltreoceano. La domanda era solo una: sarei riuscito ad ambientarmi in una cultura tanto diversa o ne sarei uscito sconfitto? Prima di partire trovai sistemazione presso una famiglia Guatemalteca, col senno di poi, una scelta veramente azzeccata sia per iniziare fin da subito a confrontarmi con le persone del luogo sia per approcciarmi a questa nuova cultura partendo da uno dei tratti più differenti: le abitudini alimentari. Cresciuto a tortellini e vino rosso mi trovai difronte una cucina molto più “povera” caratterizzata da piatti a base di fagioli, riso e tortillas. Le prime quattro settimane frequentai una scuola di spagnolo, prima lingua in Guatemala. In quattro settimane, grazie anche alla grande somiglianza con la mia lingua madre, col il mio spagnolo non avevo difficoltà alcuna a comunicare con abitanti e turisti.

Meglio una ricchezza monetaria o una ricchezza d’animo?

Fin da subito mi fu chiara la grande differenza sul modo di “vivere” la vita in confronto agli stati occidentali: è risaputo che gli stati dell’America Latina non hanno lo stesso tenore di vita degli stati europei; i salari sono molto più bassi ma sopratutto la moneta locale (Qtz) ha un cambio molto sfavorevole con le principali monete mondiali. Per fare un esempio, 1 euro equivale a 8.70 Qtz. Questo non permette al Guatemala, ma in generale agli stati del Centro America, di poter avere un ruolo nel mercato internazionale ma, al contrario, obbliga questi governi a commerciare solo tra loro non permettendo cosi il rafforzamento della moneta. In tutto il Guatemala, a parte le due principali città turistiche (Antigua e Ciudad del Guatemala) vige un economia di sussistenza. Nonostante questa situazione generale di povertà ho trovato nei Guatemaltechi un popolo molto aperto, sempre pronto ad aiutare il prossimo e a condividere tutto, anche se il tutto è poco.

In particolare mi capitò una situazione singolare che vale la pena di essere raccontata per capire il concetto che intendo esprimere. Nel corso del mio secondo mese di viaggio mi recai a Monterico, un piccolo paese con sbocco sull’Oceano Pacifico per una piccola gita di tre giorni attirato dalle temperature più alte della media e da una particolare spiaggia dove la sabbia è di colore nero per via delle polveri rilasciate durante le frequenti eruzioni del non molto distante vulcano Acatenango. Mi successe che la mia carta di credito non venne letta dall’unico bancomat presente nel paese. Questo mi creò non pochi problemi in quanto con me avevo solo il denaro necessario per pagare l’hostel. Per mia fortuna, una famiglia del posto vide la scena e comprese il mio stato di disagio. Per me fu incredibile , quasi commovente, quando il padre della già citata famiglia si offrì, per quei tre giorni di ospitarmi in casa loro per i pasti.
Quando mi recai per la prima volta nella loro casa capì immediatamente che non si trattava di una famiglia agiata. Composta dal padre dalla madre e due figli, tutti e quattro dormivano nella stessa stanza e l’unica altra abitazione della casa era la cucina. Nonostante questo, condivisero con me i loro pasti, composti interamente da prodotti da loro direttamente coltivati. Questa e altre situazioni che vidi o che vivi direttamente in prima persona mi fecero sorgere alcune domande riconducibili ad unica domanda fondamentale: meglio vivere come in Occidente, per lo più una vita basata sul lavoro, con uno stile più agiato ma sempre più spesso mettendo da parte le relazioni interpersonali o meglio vivere seguendo questo principio di disponibilità totale verso il prossimo ma senza gli agii a cui un europeo è da sempre abituato?

L’esperienza di volontariato in Guatemala

Prima di partire, oltre alla ricerca di una sistemazione cercai anche un modo per fare del volontariato. Trovai un ottima occasione in una associazione belga chiamata “Wep” che opera in quasi tutto il mondo con progetti di volontariato in scuole e in costruzioni.
Decisi, sempre a “scatola chiusa”, di lavorare come volontario in una costruzione. Il progetto in cui venni coinvolto si pone come obbiettivo quello di costruire case “da zero” per famiglie che non possono permettersi ne i materiali per costruire una casa ne di pagare dei reali muratori. Insieme a me vi erano altri quattro volontari , tutti provenienti da stati europei, e due reali muratori che di giorno in giorno ci spiegavano come svolgere il lavoro. Fu ed è tutt’ora, in quanto la fine del lavoro è prevista per il 25 ottobre, un’esperienza formativa sia a livello personale sia a livello lavorativo. Fu molto interessante vedere come operano qui, tutto fatto manualmente senza l’ausilio di alcun oggetto elettronico o automatico in quanto l’elettricità è un bene troppo costoso.

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Le paure disintegrate dalla voglia di conoscere

A livello umano, mi colpì molto come la famiglia per cui costruivamo la casa ci mostrava gratitudine. Cercando di sapere il più possibile sulla nostra vita, interessandosi su come ci trovavamo in Guatemala, chiedendoci in continuazione se potevano fare qualcosa per migliorare il nostro soggiorno nel paese e offrendoci tutti i giorni il pranzo privandosi di quello che per loro è il principale pasto del giorno. Fu strano, ma molto piacevole ricevere tutte queste attenzioni da persone sconosciute con cui ,al di fuori di qualche settimane, non avremmo sicuramente avuto più contatti.

A un mese dalla fine di questo viaggio non posso fare altro che ringraziare questa voglia di partire che mi ha portato a conoscere e a fare miei tratti di questa cultura cosi differente dalla mia. Ne esco, per adesso, vincitore. Le paure disintegrate dalla voglia di conoscere. Consiglio a tutti i miei coetanei, a cui la vita di tutti i giorni sembra un po “stretta” di prendere la mia stessa decisione , partire, anche a “scatola chiusa” e imparare a conoscersi.

Diversivo, distrazione, fantasia, cambiamenti di moda, di cibo, amore e paesaggio. Ne abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo.
(Bruce Chatwin)

Davide Drei

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