Costruire opportunità: LA BOTTEGA DELLA LOGGETTA
Il negozio laboratorio La Bottega della loggetta nasce nel 2013 per dare un’opportunità in più ai ragazzi con disabilità intellettiva: gestire un esercizio commerciale, occuparsi della promozione dei prodotti, relazionarsi con altre realtà associative e del mercato. A due anni dalla fondazione, abbiamo rivolto qualche domanda a Giada Bartolucci, operatrice di affiancamento nelle attività della Bottega e coordinatrice del team operativo. Giada, laureata in filosofia e scienza della formazione primaria indirizzo di sostegno, coordina sul campo il progetto dell’associazione e ci ha aiutato a scoprire qualcosa di più.
Quando nasce la Bottega della Loggetta e a fronte di quali necessità del territorio faentino?
La prima motivazione che ha portato alla nascita della Bottega è stata la chiusura a Faenza del centro socio occupazionale la Serra (luglio 2011). Con la chiusura di quel centro, molti dei ragazzi e le loro famiglie si sono trovati con delle forti incertezze sul loro futuro. Si è costituito allora il “Comitato Genitori La Serra” che è confluito a metà del 2012 nell’associazione Genitori Ragazzi Down. Da allora l’associazione GRD promuove due progetti principali: “Crescere insieme” che si occupa di bambini da 0 a 18 anni, quindi di ragazzi non ancora usciti dal percorso scolastico obbligatorio, e il progetto “Si può fare”, quello che ha determinato nel giro di un anno la nascita della “La Bottega della Loggetta”. Questo progetto è nato nel 2013 sotto la supervisione del Dipartimento di pedagogia speciale dell’università di Bologna, dipartimento col quale l’associazione ha una specifica Convenzione.
Per gestire i due progetti l’associazione si è dotata di un gruppo tecnico formato da genitori competenti, da una pedagogista ed uno psicologo. Il gruppo tecnico ci aiuta a gestire le attività del progetto: sia quelle esterne e individuali, sia quelle interne necessarie per condurre il laboratorio-negozio, nel tentativo di rinforzare i punti di debolezza dei ragazzi grazie anche ad un costante rapporto con le famiglie.
Che metodo avete deciso di portare avanti con i ragazzi e di che cosa si occupano concretamente?
Noi ci basiamo sul metodo empatico-relazionale, che è basato sulla vicinanza emotiva dell’operatore con il ragazzo: un approccio metodologico dettato da una continua formazione sia degli operatori sia delle famiglie, realizzato con il supporto dell’Università di Bologna.
Per quanto riguarda la Bottega vendiamo prodotti equo solidali e biologici, e collaboriamo con il Gruppo di Acquisto solidale di Faenza per il quale siamo punto di appoggio per lo smistamento di alcuni ordini fatti da loro. Ogni mercoledì siamo punto di riferimento anche per la spesa del contadino: due aziende agricole (Montanari e Bucci) lasciano alla Loggetta, su ordinazione, delle cassette di frutta e verdura biologica, che poi noi smistiamo ai loro clienti. Partecipiamo anche al Biomarché di via Saviotti, anche se siamo un po’ atipici non essendo dei produttori, ma abbiamo dei prodotti che interessano la clientela, come i detersivi bio-sostenibili, le creme… Se ci chiamano siamo in grado di organizzare piccoli buffet e degustazioni di prodotti (ad esempio con Quinzan), e anche momenti ludici come laboratori di lettura e di sculture di palloncini per bambini. Abbiamo quindi molte attività concrete per mettere alla prova i ragazzi.
Una collaborazione molto importante che vorrei aggiungere è anche quella con il ristorante di San Biagio Vecchio: i nostri ragazzi sono spesso coinvolti sia in cucina che in sala, e quest’anno dovrebbero partire dei tirocini veri e propri che saranno proiettati su ciò che viene dopo la Loggetta ovvero un lavoro vero e proprio. Il nostro progetto vuole essere una base di sviluppo per le competenze, per poi proiettare i ragazzi nel mondo del lavoro reale.
Quanti ragazzi partecipano alla Bottega della Loggetta e con che prospettiva futura affrontano il percorso?
Abbiamo nove ragazzi che fanno parte del progetto, e speriamo che alcuni ragazzi escano presto dalla Bottega della Loggetta per entrare in un progetto di inserimento lavorativo seguito dai servizi sociali del territorio. Tutti i ragazzi hanno un certificato di non collocabilità lavorativa, e quindi il datore di lavoro non ha le agevolazioni previste dalla legge: si fa così più fatica a fare delle esperienze formative certificabili.
L’ esperienza della Bottega permette ai ragazzi di misurarsi con un ambiente di lavoro reale ed avere in mano una valutazione del loro impegno. Per noi operatori, tutti i ragazzi che abbiamo al momento potrebbero essere inseriti al lavoro: abbiamo cercato di rafforzare i loro punti di forza al fine di collocarli nella posizione lavorativa più adatta a seconda delle loro specificità. Se a un pesce chiederò di arrampicarsi su un albero non ce la potrà mai fare, magari chiedendogli di nuotare potrà farcela!
Come valutate le opportunità a livello faentino per le persone con disabilità intellettiva? Voi nascete da un bisogno inespresso come la necessità di una figura di raccordo per i ragazzi non inseribili lavorativamente, ma aldilà del vostro progetto qual è secondo te la situazione nel nostro territorio?
Le cose stanno muovendo, lentamente, nella via dell’inclusione, anche se a livello istituzionale non è che ci sia un gran fermento. A livello provinciale la situazione sembra avere addirittura più limiti, specie se confrontata con quella di Forlì-Cesena. Noi cerchiamo comunque di muoverci su una via parallela (ma anche di raccordo) a quella istituzionale. Dal punto di vista dei datori di lavoro privati si sta cominciando a sviluppare qualcosa. La collaborazione con San Biagio Vecchio ha portato a nuovi contatti a cascata e, anche se non è così palese, le cose pian piano stanno cambiando. Con le piccole realtà come il GAS riusciamo a muoverci bene e ci sono vicino. Le grandi cooperative fanno più fatica, perché le dimensioni sono completamente diverse.
Per te questa attività ha un aspetto professionale: penso all’aspetto della formazione necessaria per portare avanti un progetto a lungo termine, con delle specificità ragazzo per ragazzo. Ma dal punto di vista più personale, cosa ti rimane da questo progetto?
Sicuramente lavorare per una piccola associazione richiede un mettersi in gioco maggiore. Qui le cose le stiamo costruendo sul campo noi operatori e le famiglie, e ci stiamo creando delle opportunità. A volte ci sono tese delle mani che per noi sono fondamentali, ma comunque dobbiamo creare da soli le nostre strade. Da questo punto di vista è impegnativo ma dall’altro dà molte soddisfazioni. Lavorare a stretto contatto con i ragazzi con un metodo basato soprattutto sulla relazione fa sbocciare alcune cose sorprendenti. Io tutt’ora mi stupisco di quanto i ragazzi siano competenti! Sono molto soddisfatta di questo lavoro, anche se è stancante: la società non è così pronta ad accogliere le nostre attività, e specie a livello burocratico ci sono mille impedimenti per l’inserimento lavorativo. Però i ragazzi mi stupiscono sempre per come riescono a prendere la vita con leggerezza e serenità. E’ un percorso di crescita in cui cresciamo tutti.
A cura di Andrea Piazza