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Aztechi, Maya, Inca: il Mic ridà voce a culture straordinarie che ci mettono in discussione

La conquista dell’America vista dalla parte dei vinti, la condizione della donna, i sistemi di calcolo dell’antico Perù e quella precolombiana presentata come arte e non solo come archeologia: sono questi i temi della mostra “Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America” inaugurata al Mic di Faenza l’11 novembre scorso e aperta fino al 28 aprile 2019. L’esposizione, curata da Antonio Aimi e Antonio Guarnotta, offre una sintesi nuova e aggiornata sulle più importanti culture dell’antica America: culture tanto lontane quanto affascinanti ma spesso banalizzate a causa del racconto univoco dei vincitori.

In tutto circa trecento reperti (terrecotte e tessuti) della collezione del Mic insieme ad altre opere (propulsori dorati, sculture, stele, ecc.) provenienti dai più importanti musei italiani di antropologia e da due collezioni private ridaranno voce a quelle culture spazzate via in poco più di un secolo dalla conquista europea, e solo il paziente lavoro di archeologi e ricercatori può decifrare quello che rappresentavano. “Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America” non è solo una mostra, ma un modo per mettere in discussione le nostri concezioni del tempo, della condizione femminile nella storia e della musica.

Il calendario Maya: una diversa prospettiva di concepire il tempo

La mostra vuole immergere davvero il visitatore in una cultura altra, così come la videro nel ‘500 gli occhi dei conquistadores guidati da Hernan Cortés, dove i nostri concetti di tempo, arte e sacralità vengono messi in discussione attraverso differenti prospettive. Un’esposizione ricca di stimoli interattivi: oltre ad ammirare le opere d’arte sarà possibile capire la propria data di nascita all’interno del calendario Maya, un tempo ciclico e ‘politico’ – indicato spesso della durata di 5.125 anni – volto a giustificare una monarchia divinizzata. «È fondamentale ricordare – spiegano i curatori – che i calendari non erano neutri e asettici strumenti per calcolare il tempo, ma erano il risultato di una concezione qualitativa del tempo».

Alla scoperta di strumenti (non solo) musicali precolombiani

Grazie a questa mostra per la prima sarà possibile sentire il suono degli strumenti musicali di queste culture – dove la musica rimanda sempre a una concezione magico-sacrale e rituale. «Uno degli effetti della musica precolombiana che colpì maggiormente i primi europei – spiegano i curatori – era quello di provocare un forte senso di esaltazione religiosa o di trance, allo scopo di onorare e propiziare le divinità. Il loro suono eccitava la popolazione indigena e per questo gli europei proibirono questi strumenti».

La Scena di parto: uno dei tesori del Mic

Ci si potrà confrontare l’antica scrittura Maya, tanto misteriosa quanto potente anche dal punto di vista artistico, oppure con le opere degli Aztechi, famosi per i loro crudeli sacrifici umani e, al tempo stesso, capaci di rappresentare in un’opera di straordinario valore la condizione della donna all’interno di questo antico impero. Sei donne gravide che circondano una partoriente assistita da tre personaggi maschili, uno dei quali facilita il parto mentre gli altri due preparano e somministrano un probabile narcotico per lenire i dolori. Un’immagine al tempo stesso così surreale e insolita quanto quotidiana e concreta: è la Scena di parto, uno dei tanti tesori in terracotta presenti all’interno del Mic. «La scena di parto della sezione precolombiana – commenta Claudia Casali, direttrice del Mic – è meravigliosa e ha un valore unico nel suo genere». La condizione della donna partoriente veniva tenuta in grande considerazione, al pari di quella dei guerrieri pronti alla battaglia. Mondi lontani, quelli delle civiltà precolombiane, spazzati via dall’avidità dei conquistadores nel ‘500, i ‘civilizzati’ uomini europei, quella parte oscura della nostra storia di Europa che ‘è stata’ e che dunque può tornare a essere.

Dal 18 novembre, ogni domenica, alle 10.30, visita guidata gratuita (inclusa nel prezzo del biglietto). La mostra è resa possibile grazie al contributo di Regione Emilia-Romagna e La Bcc imolese, ravennate e forlivese.

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