Autori faentini, Everardo Minardi: “Virtù e paradossi dello sviluppo locale”
Una riflessione sulle politiche dello sviluppo locale: dall’importanza delle risorse materiali e immateriali alla formazione di un progresso partecipato. In questo nuovo studio, “Virtù e paradossi dello sviluppo locale” (ed. Homeless book) il prof. Everardo Minardi tratteggia lo scenario anche alla luce degli effetti economici e sociali della pandemia.
Intervista a Everardo Minardi
Focalizzando lo sguardo sul contesto faentino: quali sono le virtù del territorio che possono fare la differenza?
Quando parliamo di sviluppo parliamo certamente dei territori, delle loro risorse naturali, ambientali, ma prima di tutto parliamo di persone, comunità e, quindi, degli attori sociali che sono i primi costruttori dello sviluppo locale. Lo sviluppo, infatti, è integrale, non è solo sviluppo economico, ma la economia è sempre il risultato della connessione intelligente e responsabile delle azioni di persone, gruppi, comunità per la valorizzazione dei beni e delle risorse presenti nel territorio di riferimento, piccolo o grande che sia. In questa prospettiva le “virtù” sono semplicemente le connessioni e gli intrecci intelligenti e responsabili che persone, gruppi, imprese, realizzano al fine di produrre condizioni di benessere, di salute nella comunità e condizioni di sostenibilità, cioè di riproduzione e rigenerazione delle risorse proprie del contesto naturale e ambientale del territorio di riferimento. Quindi, la virtù non è solo l’incremento del reddito personale e famigliare, ma anche il sostegno alla capacità di innovare, sperimentare, allargare e rafforzare le conoscenze, le competenze e le abilità nel produrre nuove tecnologie che siano in grado di accrescere gli effetti positivi del lavoro organizzato, come fattore di valorizzazione delle comunità e dei territori.
Quali “virtù” nel contesto faentino?
La valorizzazione delle risorse agricole, alimentari e ambientali che si sono prodotte, anche nel periodo anteguerra, per iniziative di imprese non di capitale, ma cooperative, basate sulla mutualità e la reciprocità (di cui a volte oggi non si manifestano dovunque le necessarie tracce). La capacità di riprendere, riconoscere e rafforzare la tradizione artigianale della ceramica, poi tradottasi anche in espressioni artistiche riconosciute a livello internazionale. Il riconoscimento e il rafforzamento del sistema educativo, scolastico e formativo che ha fatto del territorio faentino un contesto dove si sono favoriti ed estesi i processi di integrazione e di inclusione sociale non solo nei confronti delle nuove generazioni, ma anche della popolazione immigrata e migrante, che non sarà destinata a diminuire, ma a costituire quella comunità multietnica e multiculturale, a cui la realtà regionale adriatica non è stata storicamente esente, anzi di tutte le migrazioni si è alimentata.
La virtù dello sviluppo non sta, quindi, nella crescita di capitali e di reddito economico soltanto, ma anche nel rafforzamento, da parte delle diverse espressioni della comunità, di governare e gestire il processo di arricchimento del capitale sociale e culturale della comunità.
Quali invece i paradossi?
I paradossi sono già “paradossalmente” indicati in quanto abbiamo già detto. È dentro al processo di arricchimento del valore economico di quanto viene prodotto e distribuito che si incrementa la conoscenza dei fattori naturali, tecnici e di mercato che sono in grado di orientare, spesso di dirigere i nuovi processi di sviluppo culturale, tecnico ed economico.
I paradossi stanno proprio all’interno dei processi di accumulazione e di distribuzione delle risorse che si acquisiscono attraverso i cambiamenti e le innovazioni che le tecnologie oggi più di ieri rendono possibili anche in periodi temporali sempre più contenuti. Favorendo la partecipazione responsabile dei lavoratori nelle imprese si accrescono i valori finali della produzione, e quindi i valori economici che si traducono in maggiori disponibilità di reddito. Attraverso una diversa destinazione delle risorse di capitale, si possono non solo positivamente compensare i capitali investiti, ma anche incrementare i redditi destinati a coloro che hanno investito il capitale sociale del lavoro, anche attraverso strumenti di welfare non solo pubblico, ma anche aziendale; è attraverso l’accrescimento del capitale economico che si può destinare una parte dello stesso non a finalità meramente finanziarie, ma alla generazione di nuove imprese che, facendo rete con le imprese originarie, ampliano la dimensione del mercato di sbocco dei beni finali prodotti. E di paradossi ce ne sono molti altri, tanto più se prendiamo in considerazione le iniziative di responsabilità sociale di impresa che imprese faentine stanno realizzando anche in altri contesti non solo regionali e non solo nazionali.
“L’economia civile sta acquisendo un peso sempre più crescente”
La pandemia ha “rimescolato le carte” sulle tue riflessioni oppure ha confermato e accentuato certe tendenze già in atto?
La pandemia non ha effetti scontati né nel breve né nel medio termine. Di certo, la situazione delle persone, delle comunità, dei territori non tornerà come prima. Di questo non si è ancora acquisita piena consapevolezza. Non sono esperto della situazione attuale della finanza interna e internazionale, ma gli effetti pandemici ormai stanno richiedendo una diversa dislocazione delle risorse umane, intellettuali, tecniche e professionali; si sta manifestando una più forte enfasi della necessità del loro investimento nelle attività di produzione e distribuzione (dal settore agricolo-alimentare a quello artigianale, a quello tecnologico-industriale per arrivare ai servizi per il benessere e la sostenibilità sociale e ambientale; come si sta evidenziando il peso crescente che le risorse umane e sociali stanno acquisendo dentro ai sistemi di organizzazione della produzione e delle relazioni con i mercati.
In sintesi, il “sociale” cresce di peso nel contesto della crisi sistemica indotta dalla pandemia; e per “sociale” intendiamo il terzo polo della economia, che a fianco della economia di capitale in difficoltà e della economia pubblica, in fase di crescente riduzione, vede accrescere il ruolo dei valori di una economia che ormai si definisce sociale e civile. Dobbiamo essere capaci ormai di vedere il contesto sociale, economico e tecnologico che ci circonda, come l’intreccio di tre componenti dove il terzo polo quello della economia civile sta acquisendo un peso crescente.
“Si parla ancora troppo poco di strutture innovative del faentino come il Contamination Lab e Romagna Tech”
Riguardo allo sviluppo di nuove imprese e startup innovative, a Faenza sono presenti un pre-incubatore d’impresa, il Contamination Lab, e un vero e proprio incubatore come Romagna Tech. Che ruolo possono avere per lo sviluppo del territorio? Secondo te hanno del potenziale ancora inespresso?
Abbiamo finora insistito molto sull’effetto di innovazione che ormai anche la “innovazione pandemica” sta producendo intorno e dentro di noi. Perciò non possiamo pensare che il sistema formativo professionale in atto e le attività delle organizzazioni rappresentative degli interessi delle imprese (dalle agricole a quelle dei servizi anche sociali) siano oggi in grado di affiancare altre azioni di sviluppo locale. Occorrono strutture e servizi innovativi come il Contamination Lab e Romagna Tech. Di questi però nessuno parla; sia istituzioni pubbliche che private non sembrano orientati nelle decisioni e nei programmi a riconoscere e rafforzare il ruolo strategico che possono avere tali strutture nel breve e nel medio termine.
Ma a Faenza, a differenza di altri centri di attrazione presenti in Romagna, sono operativi anche strutture e servizi di ricerca, di formazione e di consulenza come il Cnr e l’Enea con centri di ricerca di livello nazionale, senza dimenticare l’Università di Bologna con corsi di laurea che vanno dal settore dei servizi sanitari a quelli dei materiali e delle tecnologie per la ceramica, nonché l’Isia, un istituto universitario nel campo artistico, del design innovativo, di cui nessuno parla e su cui nessuno investe, ormai da troppo tempo. La strategia da adottare è quella di stabilire una nuova forte connessione tra gli istituti di formazione superiore e le strutture di alta formazione e di ricerca, quindi di promuovere – di intesa tra Regione, Istituzioni locali, banche e istituti finanziari – significativi investimenti in risorse umane per lo sviluppo di profili professionali e tecnici che si collochino dentro ai processi di innovazione; con l’effetto finale di creazione di nuove imprese. Bisogna rompere il silenzio assordante che circonda queste istituzioni che costituiscono una risorsa unica non solo per Faenza, ma per l’intero territorio regionale e nazionale.
Il ruolo della Diocesi
Quali strumenti possono mettere in campo istituzioni, come la Diocesi, per lo sviluppo locale?
La Chiesa diocesana non è mai stata estranea a quanto di nuovo si è generato nel territorio faentino e diocesano. La risposta che le cooperative hanno dato alle domande provenienti dal settore agricolo e alimentare è stato sempre accompagnato dalla Diocesi, anche dalle parrocchie dove le forme associate di impresa mutualistica si andavano realizzando, prima a partire dal piccolo per giungere all’attuale assetto di imprese di vocazione nazionale e in alcuni casi internazionale.
Ora la Diocesi potrebbe fare qualcosa di più, a partire da due contesti: nel primo caso, mettendo a disposizione le risorse di cui ha la titolarità in campo agricolo, immobiliare, dentro e fuori le aree urbane, per interventi volti a creare spazi di aggregazione, integrazione sociale (anche attraverso forme innovative come l’housing sociale), che favoriscano la partecipazione delle persone anziane (in crescita in ogni contesto) e delle persone immigrate e migranti. Le azioni messe in atto dalla Caritas sono essenziali, ma occorrerebbe adottare una strategia di maggiore respiro, anche attraverso gli strumenti nuovi, come la Fondazione di recente formazione. Ci sono spazi, strutture, abitazioni, purtroppo anche parrocchie non più praticate, che possono costituire una occasione formidabile di responsabilizzare in forma diretta delle comunità parrocchiali, che con o senza diaconi, possono costituire un centro di riferimento per le tante persone in difficoltà; e possono costituire l’occasione per l’attivazione di nuove imprese associative di terzo settore o addirittura di imprese cooperative che rendano attive persone ora ancora troppo deboli e marginali nel contesto sociale ed economico locale. In secondo luogo, in Diocesi potrebbe essere opportuno, dopo l’evento della Economy of Francesco (non sono in grado di riconoscere effetti e tracce di tale evento nel contesto locale) un centro di osservazione, diagnosi e progettazione di azioni ed interventi volti a riconoscere, favorire e sostenere le iniziative di terzo settore (dalle APS, agli ETS, alle fondazioni di partecipazione), di cui la nostra Chiesa locale potrebbe dotarsi, arricchendo la propria storia e tradizione; una Comunità diocesana come soggetto attivo dentro i territori, i paesi, le frazioni, le comunità territoriali, per dare una testimonianza ancora più forte ed esplicita della Vocazione che porta con sé e dentro di sé.