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Astorgio I Manfredi e la Rosa d’oro: il dono da parte del papa nel 1393

Sin dal Mille era usanza, nella quarta domenica di Quaresima, detta domenica Laetare o domenica della rosa, che i papi benedicessero una rosa d’oro, anche in ragione dell’inizio astronomico della primavera, che è certamente la stagione delle prime fioriture. Nelle aree bizantine come anche in Oriente, invece, nella terza domenica di Quaresima si celebrava una festa in onore del Santo Legno della Croce, al quale si rendeva omaggio con fiori. Ma la radice religiosa è legata simbolicamente alla partenza degli Ebrei verso Gerusalemme dopo la cattività babilonese.

La benedizione della rosa d’oro: nel medioevo un rito di gioia per l’imminente Pasqua

Il rito della benedizione della rosa era già in uso prima del pontificato di Leone IX (1049-1054), il quale chiese ai monasteri da lui fondati in Alsazia una rosa d’oro già fusa o il quantitativo d’oro sufficiente a confezionarla. La richiesta doveva essere soddisfatta in tempo per la celebrazioni della domenica Laetare. Nei primi tempi, il papa benediceva la rosa d’oro nel corso della liturgia che si teneva nella basilica romana di “Santa Croce in Gerusalemme” e, al suo rientro nel patriarchio lateranense, la donava al prefetto dell’Urbe, che aveva partecipato al rito a nome della città. La rosa d’oro indicava gioia e allegrezza per la Pasqua imminente e simboleggiava il Cristo annunciandone la resurrezione.

Nel 1393 Astorgio I Manfredi ricevette il dono

Successivamente i papi cominciarono a consegnare la rosa d’oro a sovrani e anche a santuari. A chi la riceveva in dono veniva riconosciuto di portare il buon odore di Cristo con la vita e le opere al servizio della Chiesa. Anche Astorgio I Manfredi, nella quaresima del 1393, ricevette in dono la rosa d’oro dal papa Bonifacio IX, in assenza del Papa ma alla presenza di molti cardinali nella “camera dei paramenti” del Palazzo Apostolico Vaticano (è la stessa camera che, secondo un testimone oculare, alla morte di Clemente VII accolse i cardinali immediatamente riuniti per consultarsi in vista dell’elezione del successore del pontefice, e ciò prima della Cappella Sistina), secondo quanto riferisce il “Ceremoniale Summorum Pontificum” in un latino abbastanza accessibile …

«… de dominica rosarum.
Item in dominica de rosa fuit celebrata missa in magna capella, absente papa, in presentia omnium cardinalium, et rosa fuit portata de camera pape per iuniorem clericum camere ad capellam et stetit super altare per totam missam, et post reportata per eumdem ad cameram pape. In qua camera paramenti, exeundo papa de alia camera sua, eam portando in manibus suis, in sede sua in camera sua paramenti eam dedit Hostregio de Faventia [Astorgio I Manfredi, Signore di Faenza] anno predicto» (in Patrologia Latina, Petrus Amelius, Additiones, Parisiis, J. P. Migne, 1849).

La vita di Astorgio I Mafredi

Astorgio I Manfredi, nato attorno al 1345, fu signore di Faenza dal 1377 al 1404. Era il figlio secondogenito del condottiero e signore di Faenza, Giovanni Manfredi e di Ginevra di Mongardin. Sposò Leta da Polenta, da cui nacque un solo figlio, Giovanni Galeazzo. Visse molti anni da rifugiato a Pistoia, poiché suo padre aveva perso i suoi possedimenti in Romagna, nelle battaglie contro lo Stato della Chiesa. Ma nel 1375 riuscì a recuperare il castrum di Granarolo. Nel 1377 riuscì con l’aiuto del fratello Francesco, e degli Ordelaffi di Forlì, a riconquistare la città di Faenza, che venne tolta agli Estensi. Divenuto signore della sua città, nel 1379 creò una propria compagnia di ventura, la Compagnia della Stella. Nel 1404 Bologna passò sotto il controllo dello Stato della Chiesa, alla quale cercò di affittare Faenza, ma poiché i patti non vennero rispettati, fu ceduta, e Astorre fu costretto a lasciarla. Nel settembre 1405, cercò di organizzare la resistenza contro il legato pontificio bolognese Baldassarre Cossa, il quale venuto a sapere delle intenzioni del Manfredi, lo convocò e lo fece arrestare. Due mesi dopo fu portato a Faenza per ordine del Cossa. Condannato a morte, fu decapitato nella piazza principale.

A cura di Michele Orlando

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