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INTERVISTA A RUGGERO SINTONI – Accademia Perduta Teatro Masini – PARTE 1

INTERVISTA A RUGGERO SINTONI 

ACCADEMIA PERDUTA-TEATRO MASINI

 

PARTE 1

 

Con l’imminente apertura della nuova stagione del Teatro Masini, Buonsenso ha deciso di incontrare Ruggero Sintoni, direttore artistico, con Claudio Casadio, di Accademia Perduta/Romagna Teatri. Sono stati toccati con lui molti temi e per questo abbiamo deciso di dividere l’intervista in due parti. In questa prima puntata abbiamo chiesto a Ruggero di raccontarci come funziona oggi la macchina teatrale in Italia e nello specifico il Teatro Masini. L’intervista prosegue con il racconto del restauro del Ridotto del teatro, un esempio virtuoso che può essere d’aiuto anche per recuperare altri luoghi della nostra città. Ne è venuta fuori una discussione interessante che continuerà nei prossimi giorni sulle pagine del nostro sito. Buona lettura!

 

All’interno di una società in continua trasformazione il teatro a prima vista può apparire un linguaggio vecchio e superato, se confrontato con i nuovi media della società digitale. Qual è il ruolo del teatro oggi e quali sono le differenze rispetto al passato?

È difficile dire che il teatro sia un veicolo di comunicazione vecchio o nuovo, è insito nell’uomo. Recitare in lingua anglosassone si dice play, che vuol dire “giocare”. L’uomo ha sempre giocato, i bambini nascono attori poi smettono di farlo per diventare uomini costruendosi e quindi il teatro è qualcosa che è nella natura insita dell’uomo: giocare a scambiarsi le parti, a farne un’altra. Ognuno di noi fa teatro anche quando va al bar. Quando io entro in un bar e voglio far ridere i miei amici penso a quale battuta dire o se voglio intristirli su un fatto di cronaca…

Il teatro è un modo di raccontare da un altro punto di vista la realtà. Non ringiovanirà mai e non invecchierà mai. Cambiano i linguaggi e cambiano sicuramente le poetiche, ma non cambia lo strumento.

Già nel 1966, quando uscì il famoso libro La malattia dei costi, si incominciò a riflettere sulla sostenibilità economica delle attività culturali e, sulla necessità o meno, di sovvenzionare pubblicamente le attività teatrali. Oggi i teatri come stanno in piedi? E nel caso specifico, come sta in piedi la macchina del Teatro Masini?

La macchina del Teatro Masini sta in piedi su un equilibrio triangolare assolutamente concreto: contributo del Comune di Faenza, sponsorizzazioni e incassi. Gli incassi sono poco più della metà dei contributi e delle sponsorizzazioni che servono a fare un bilancio in pareggio del teatro di Faenza. C’è stata, effettivamente hai ragione, a partire dalla metà degli anni Sessanta questa sorta di liberismo per cui si pensa che il teatro, come le altre attività culturali, si possa sostenere da solo. Non è così. Si sostengono da sole, a malapena, le attività commerciali. Tant’è vero che anche la musica commerciale sta cominciando a chiedere agevolazioni e contributi da parte dello Stato. Oggi lo Stato, per esempio, sovvenziona le imprese di produzione teatrale e attenzione, sto parlando di imprese, non di chi fa teatro. Uno può fare il migliore teatro del mondo ma se nessuno lo compra e nessuno va a vederlo, non partecipa a costruire lo scheletro portante del sistema teatrale di un paese. Lo Stato ha fatto recentemente una riforma del sistema dello spettacolo dal vivo che va dal circo al teatro alla musica alla danza. Ovviamente questi tentativi di riforma fanno dei contenti e degli scontenti. Ma io lo ripeto, lo Stato deve continuare a sostenere ciò che è la struttura identitaria della cultura teatrale di un Paese.sintoni1

Una parte del nostro lavoro è pagato dall’attività di produzione di spettacoli ed io, per esempio, sono pagato principalmente dal lavoro di commercializzazione degli spettacoli di Accademia Perduta che girano in tutta Europa recitando in tre lingue e facendo 400 e passa recite all’anno.

Non è pensabile un teatro che vive di soli incassi. Più recentemente, all’inizio degli anni ’90, Albertazzi e Barbareschi sostenevano questa cosa per cui a uno venne affidato il Teatro di Roma (un teatro pubblico) e all’altro il Teatro Eliseo che è privato. Dopo un anno queste due persone, assolutamente intelligenti, fecero pubblica ammenda. Uno aveva fatto quasi fallire il Teatro di Roma e l’altro l’Eliseo. L’arte e la qualità sono cose che lo Stato e la Regione devono sostenere. Non è possibile tenere aperto un museo, che in Italia ha un grande valore di conservazione, senza che lo Stato si preoccupi di conservare il patrimonio. Così lo Stato deve partecipare alla ricerca e innovazione del teatro d’arte di qualità. Se guardassimo invece solo agli incassi finiremmo a fare il retrobottega del pessimo cabaret televisivo e delle cose più commerciali.

Come vede la situazione del teatro italiano e le sue eccellenze per cui è famoso all’estero, come per esempio l’opera e la lirica?

Io credo che in questi ultimi 15 anni siano cambiate un po’ le cose. Sicuramente il melodramma è un veicolo di promozione all’estero dell’Italia. L’opera lirica è un po’ come il gelato, la Ferrari e la pizza. Con la crisi globale però credo siano un po’ cambiate questi elementi. Credo che l’Italia stia esportando all’estero una cosa particolare che è il teatro ragazzi. Il teatro ragazzi italiano è il miglior teatro d’Europa. Tant’è vero che Francia e Spagna sono piene di compagnie italiane che fanno tournée. Pollicino interpretato da Claudio Casadio ha all’attivo 1600 recite di cui 600 all’estero, in Francia. L’Italia più che opera lirica esporta oggi teatro ragazzi d’arte di qualità.

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Restando in tema di teatro ragazzi, è stato ampliato il numero degli spettacoli della rassegna “favole”, da sempre uno dei punti di forza della proposta di Accademia Perduta. All’interno di una società globale e culturale, il linguaggio della favola, che accomuna tutti i bambini, può essere un efficace strumento per favorire l’integrazione?

Noi abbiamo ampliato la rassegna del teatro della favola perché per noi l’investimento sul pubblico giovane è prioritario. La rassegna delle favole faceva sempre il tutto esaurito e io volevo dare un’opportunità in più. Allungando la rassegna penso che possano venire più persone. Non penso che tutti i bambini vadano a vedere sei favole, mi piace di più pensare che, in questo modo, ci siano più bambini che andranno a vedere tre favole. Abbiamo inoltre ampliato anche la rassegna del teatro scuola la mattina.

Io credo che le favole siano una di quelle cose che piacciono ai bambini e i bambini trascinano gli adulti a vedere le favole. Ad esempio c’è un dato: se uno spettacolo piace a un bambino di 8 anni, sicuramente piace anche agli adulti e viceversa non è detto il contrario.

Faenza è l’unica città in Romagna e una delle poche in Italia che programma il teatro ragazzi senza soluzione di continuità in estate e in inverno. È proprio una scelta. E perché tanti bambini a Faenza e Brisighella vengono a vedere il teatro ragazzi? Anche quello della favola è un linguaggio universale, Propp ce lo spiega. La favola romagnola ha la stessa morfologia della fiaba cinese, maya… la favola ha a che fare con i nostri miti più ancestrali e storie più antiche. Pollicino ed Hansel e Gretel sono le favole dell’abbandono. Claudio Casadio tutte le volte che fa Pollicino dice che è dedicata a tutti i pollicini del mondo ed oggi di pollicini ce ne sono troppi. Quelli che si abbandonano o che rimango a tre o quattro anni sulla battigia di una spiaggia perché non ce l’hanno fatta.

Con il restauro del Ridotto si è riportato alla comunità un importante spazio culturale. Buonsenso sta portando avanti alcuni dossier sui luoghi storici della nostra città. Può raccontarci le tappe essenziali che hanno portato al recupero di questo spazio? L’esperienza del Ridotto può essere un esempio virtuoso per altri luoghi della nostra città?

Innanzitutto vi ringrazio per avermi fatto questa domanda. Il restauro del Ridotto è costato 500.000 euro e il Comune di Faenza non ha speso un centesimo. L’idea del Ridotto è stata molto semplice: c’era uno spazio che necessitava di un forte intervento di restauro, uno spazio che apparteneva all’identità di una città. Per recuperarlo sono entrati in campo una quantità infinita di soggetti: dallo Stato alle imprese private, da fondazioni a club che si sono messi in società per condividere un’idea e restituire questi spazi alla città. Addirittura alcuni club si sono indebitati pur di partecipare a questa iniziativa. Io credo che questo modello sia esportabile, se uno spazio appartiene alla cultura delle persone. Tutti a Faenza, in un modo o nell’altro, hanno sentito il Ridotto come il salotto più bello della città. Chi ce l’ha restituito così ce l’ha restituito benissimo. La città gli ha voluto bene. Il merito del restauro del Ridotto non è mio che ho avuto l’idea, o del sindaco o del vicesindaco che hanno condiviso questo progetto. Il merito è di questa città e delle sue forze. A me è venuta l’idea e l’amministrazione comunale ha dato gli strumenti per realizzarla. Altri attori importanti hanno fornito le risorse, ma quello è un patrimonio della città.

Ciò che è avvenuto per il restauro del Ridotto è un modello esportabile anche per altri luoghi storici della nostra città come per esempio la Chiesa dei Servi?

La Chiesa dei Servi è uno spazio che va fatto ricordare alla città. Io che sono nato a Faenza un po’ di decenni fa, me la ricordo come uno spazio particolare e molto presente nella città durante gli anni Ottanta. È un luogo che è stato dimenticato, bisogna riportarlo alla memoria e solo dopo è possibile fare qualcosa… ma deve essere sentito dai cittadini come un luogo proprio. Se così è, allora si trovano anche i soggetti. La Chiesa dei Servi mi sembra, dico mi sembra, sia stata un po’ dimenticata.

A cura di Samuele Marchi

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