Il 2020, un anno fatale per l’umanità già nel 1973

Il 2020, un anno fatale per l’umanità. Senza dubbio un titolo adatto a questi giorni, in grado di riassumere in maniera efficace ciò che stiamo vivendo, in cui un elemento invisibile e imprevisto come il coronavirus sta cambiando le nostre vite e gli scenari internazionali. Peccato che il titolo sia già stato usato in tempi non sospetti, precisamente nel 1973, sulla copertina del numero 73 della rivista Rinnovarsi. Al suo interno, il giornalista Norberto Valentini (di origine modenese ma morto proprio all’ospedale di Faenza nel 2015) analizzava i cambiamenti ambientali in corso e individuava nel 2020 una data simbolica entro la quale attuare sistematiche politiche per la salvaguardia ambientale, oltre i necessari cambiamenti sociali da apportare per evitare danni irreversibili.

Sfruttamento delle risorse, sviluppo industriale e incremento demografico i problemi individuati da Valentini

Ragionando sul concetto che si cela dietro il termine ecologia – il cui significato letterale è “discorso sulla dimora” – Valentini descrive con toni drammatici il rapporto totalmente squilibrato tra l’uomo e il mondo nel quale abita. Lo sfruttamento delle risorse naturali, lo sviluppo industriale e l’incremento demografico incontrollato sono alcuni dei fattori indicati come causa di danni naturali irreparabili che si sarebbero presentati nell’arco di cinquant’anni con disastrose conseguenze, anche sociali. Aveva ragione?

Il controllo delle nascite è davvero una soluzione?

Il tema dello sfruttamento delle risorse naturali è, purtroppo, ancora molto attuale: ogni anno ricorre l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui la popolazione mondiale consuma una quantità di risorse pari a quelle che la terra produce in un anno solare. A partire dagli anni Settanta questo giorno è gradualmente arrivato sempre prima (nel 2019 è stato il 29 luglio), mostrando una sfrenata voracità umana, a discapito della naturale capacità produttiva terrestre. Come già previsto da Valentini, l’aumento demografico ha un ruolo nell’accorciare i tempi di consumo alimentare ed energetico, sebbene le cifre siano diverse da quelle che il giornalista prospettava. Nel 1973 la popolazione si attestava attorno ai 4 miliardi (fonte: Onu) e, stando a quanto afferma l’autore, si riteneva che avrebbe raggiunto i 14 miliardi entro il 2030. Per fortuna, le stime sono state riviste e oggi si ipotizza che tra dieci anni saremo circa 8 miliardi e mezzo. Per arrestare e controllare la crescita demografica, Valentini proponeva la limitazione delle nascite ad un massimo di due figli per coppia, attraverso «l’uso sistematico e opportunamente propagandato di anticoncezionali». È un peccato non aver l’opportunità di chiedergli come la penserebbe oggi, alla luce degli effetti economici negativi che la politica del figlio unico ha comportato in Cina, oltre alle gravissime violazioni dei diritti umani che ne sono conseguite. Inoltre, se davvero si volesse utilizzare tale approccio, l’idea che questo avvenga solo tramite una maggiore diffusione di anticoncezionali appare debole: nel 2013 anche Al-Sisi tentò la strada della pianificazione familiare, ma senza risultati realmente efficaci. In ogni caso, la questione demografica è complessa e non può essere circoscritta a meri calcoli economici, perché comporta una riflessione etica sulla libertà individuale e sulle conseguenze sociali a lungo termine: qui vengono analizzati i possibili pro e contro che il calo delle nascite comporta.

Nel 1973 i Paesi scandinavi erano considerati all’avanguardia: 50 anni dopo dalla Svezia è arrivata Greta Thunberg

Valentini pone l’accento sulla superficialità con cui le persone impoveriscono il pianeta e il disinteresse politico per l’ecologia, invocando maggior coordinamento globale per dare vita a «un organismo a livello mondiale, dotato di poteri decisionali supernazionali». Nel corso degli anni la consapevolezza individuale e gli sforzi dei singoli Paesi per attenuare l’impatto dell’uomo sull’ambiente sono cresciuti legandosi tra di loro, ed è innegabile che, sebbene la strada da percorrere sia ancora lunga, siano stati fatti molti passi avanti: la raccolta differenziata ormai fa parte della nostra quotidianità e non si può non citare Greta Thunberg con i suoi Fridays for future. Forse, la sua battaglia per la sensibilizzazione al cambiamento climatico è davvero frutto dell’impegno e dell’attenzione scandinavi che Valentini elogiava ormai cinquant’anni fa nel suo articolo, definendo i paesi nordici «all’avanguardia nella lotta intrapresa dall’ecologia». A proposito di sensibilità rispetto ai temi green, questi sono finalmente diventati centrali nel dibattito pubblico, nel quale però è emersa una netta polarizzazione, un vizio sempre più presente nelle opinioni pubbliche occidentali: da una parte chi sposa in maniera fideistica le tesi proposte da Greta, dall’altra chi fa offensivi titoli di giornale per screditare un messaggio importante. Il risultato finale è che non si discute mai del merito delle proposte ma si finisce a ragionare per slogan e frasi fatte. Non essere d’accordo con le proposte di Greta Thunberg si può e si deve, purché le argomentazioni siano approfondite e documentate.

Secondo Valentini anche il sistema economico andava rivisto

Sicuramente interessante e attuale è l’idea proposta da Valentini del recycling, in linea con il modello dell’economia circolare che si propone di sostituire quello lineare, teso allo scarto del prodotto una volta consumato. Nell’economia circolare il rifiuto diventa risorsa, con un effetto finale di un minor consumo, senza dover smantellare il tessuto industriale, mentre l’autore proponeva ai Paesi più ricchi di comprimere «la crescita della loro produzione, spostando gli investimenti verso settori sociali che consumino meno risorse e non inquinino l’ambiente». Altro argomento che non è ancora stato superato è quello del trasporto: l’automobile infatti è giudicata da Valentini «in sé e per sé come un elemento di benessere. Ma l’automobile che in città rende l’aria pericolosamente inquinata diventa istantaneamente fattore di malessere sociale». Nel frattempo, l’uso di veicoli privati è esploso, rendendo il compito di trovare un’alternativa più sostenibile un argomento di stretta attualità politica.

Leggendo l’articolo, ritroviamo qualcosa di fin troppo familiare: un’espansione caotica e speculativa delle aree urbane (i cui segni sono ben presenti in tante mostruose periferie italiane) e la grave mancanza di strutture al servizio dei cittadini, come asili nido, aule scolastiche, impianti sportivi e aree verdi. Nulla di nuovo sotto il sole, anche se bisogna sottolineare come certe regioni (tra cui l’Emilia-Romagna) siano più virtuose di altre da questo punto di vista.

Traendo le conclusioni, è chiaro che le problematiche ecologiche sottolineate da Valentini siano tuttora irrisolte, con la differenza che una cinquantina d’anni fa erano considerate argomenti di nicchia, oggi sono al centro del dibattito pubblico. L’autore auspicava «un Paese in cui il fattore umano e il fattore territoriale non si contrapponessero, ma fossero l’uno in funzione dell’altro, creando condizioni di vita armoniche e accettabili», andando a creare quella che lui stesso definiva una «società dell’equilibrio». Alcune delle soluzioni proposte all’epoca sono invecchiate male, ma la crisi dettata dal coronavirus deve spingerci a ridisegnare il rapporto uomo-natura nel modo più sostenibile possibile. Davvero il 2020 è un anno fatale per l’umanità, ma con quali conseguenze è ancora tutto da vedere.

 

Lo scritto di Valentini c’è stato segnalato da una nostra lettrice Rita Zauli, il cui padre Ebro Zauli, professore in pensione, l’ha ritrovato riordinando vecchie riviste: a loro va il nostro ringraziamento.

Matteo Nati

Matteo Nati

Nato a Faenza nel 1993, sono laureato in Italianistica e Scienze linguistiche all’Università di Bologna. Ho insegnato per un anno all’Istituto Alberghiero di Riolo Terme ma continuo a non sapermi orientare in una cucina. Appassionato di pallacanestro, politica e storia inglese, datemi una serie tv con dialoghi ben scritti e sarò completamente vostro.

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