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INTERVISTA AD EDWARD JAN NECKI – Candidato sindaco lista “L’Altra Faenza”

INTERVISTA AD EDWARD JAN NECKI

 Candidato sindaco lista “L’Altra Faenza”

Nome: Edward Jan

Cognome: Necki

Data di nascita: 16-10-1967

Professione: dipendente di un’azienda privata

Stato civile: coniugato

Liste di riferimento: L’Altra Faenza

3 Aggettivi per descriverti: determinato, onesto, disponibile

Perché mi candido: per fare qualcosa di concreto per la mia città

Canzone preferita: Donne – Zucchero

Ultimo libro letto: G. Faletti – Niente di vero tranne gli occhi

Da piccolo volevo fare il: calciatore

Il posto più bello che ho visto: Barcellona (la parte artistica)

Il posto che vorrei visitare: Barriera corallina australiana

Una persona che ammiri: Pepe Mujica

Se penso a Faenza mi viene in mente: Ceramica, Cultura, palio, Bellezze artistiche, Associazioni di volontariato, Poca attenzione allo sport, Carenza di spazi giovanili, Enogastronomia

 

 

1 DEMOCRAZIA – INFORMAZIONE

La prima parola che vorremmo trattare con lei è quella di “Democrazia”. Faenza presenta ben 9 candidati sindaco. Un’enormità. Non crede che questo sia sinonimo di scarsa progettualità e mancanza di coesione da parte delle rappresentanze politiche della nostra città? E non crede che questo non faccia altro che riflettere, più che aperture democratiche, un atteggiamento di chiusura e di mancanza di dialogo?

Io ritengo che la presenza di nove candidati sindaco sia da ascrivere a due ordini di fattori che sono fondamentalmente diversi. Il primo è dettato dal fatto che all’interno del mondo civile e associazionistico, che non si riconosce nei partiti, si sono evidenziate una serie di progetti mirati prevalentemente a una critica nei confronti del sindaco uscente Malpezzi portando alla nascita di tre liste civiche che altrimenti non ci sarebbero state. Dall’altra parte bisogna riconoscere che le condizioni nazionali, regionali e locali nelle quali si pone il PD rendono francamente difficile il dialogo. Nel momento in cui il partito maggiormente rappresentativo si fossilizza su posizioni ortodosse e in antitesi alla laicità diventa molto difficile fare dei ragionamenti.

Nel descrivere questo scenario, il candidato sindaco Grillini ha parlato di una politica del PD che ha “narcotizzato Faenza”. Lei condivide questa espressione?

Per abito mentale non mi piace parlare degli altri. Però la sensazione che ho del PD è la sensazione di un partito che sul territorio si comporta esattamente come si comporta a livello nazionale, dove abbiamo un modello che è l’esatto contrario del modello di partecipazione democratica. Abbiamo cioè una persona che decide e tutti quanti gli altri che seguono le decisioni del capo. Voi che siete multimediali più di me… oggi (21-05-2015, ndr) sta girando su Facebook un regio decreto che dava il potere ai presidi di nominare i docenti supplenti. Quel regio decreto era firmato da Benito Mussolini, oggi l’ha fatto Renzi e diciamo che è un qualcosa di democratico.

Rimanendo su questo tema, come giudica le polemiche autoreferenziali di queste elezioni amministrative, le uniche che sembrano avere grande spazio nei giornali? Non trova tutto questo sintomo di una grave carenza di contenuti che si riflettono poi anche nei confronti pubblici?

Assolutamente sì perché oggi come oggi non abbiamo ancora avuto un’opportunità vera di confronto sui temi politici. Abbiamo avuto una campagna elettorale scadenzata (se vogliamo anche in maniera opportuna) con domande precostituite su singoli aspetti specifici delle singole realtà. Parlo dei dibattiti di quartiere, ma anche in Confindustria, Confartigianato… che confezionano una campagna elettorale che non ci permette di parlare di contenuti politici alla cittadinanza. Anche ieri sera nell’incontro con gli scout (Uomo informato – mezzo salvato, di cui puoi trovare un report nel nostro sito qui, ndr) ho tentato di dire un attimo che a sentirci parlare sembriamo rimestare tutti dallo stesso calderone. In questi dibattiti diciamo più o meno tutti le stesse cose, ma si deve capire che la differenza tra i vari candidati è l’approccio alla risoluzione dei problemi. Faccio un esempio limite: sui Rom noi parliamo di integrazione, un concetto a noi vicino, dall’altra parte invece si parla di ruspe.

Quali format può suggerire per favorire il dialogo e mettere finalmente al centro i contenuti?

Sarebbe bello che la politica non si facesse solo in prossimità di elezione. Purtroppo Faenza ha una quasi esclusiva legata al partito di maggioranza che è sempre più vicino a quella che 20 anni fa era la Democrazia Cristiana, con i suoi pregi e i suoi difetti. C’è poca effervescenza e c’è sicuramente uno scostamento evidente tra l’interesse dei giovani per la cosa pubblica e un loro rifiutare un qualsiasi aggettivo relativo alla politica. Un ragazzo che dice: “io voglio impegnarmi e fare qualcosa però voglio slegarmi dai partiti e dalla politica” non capisce che nel momento stesso in cui si pone in questa situazione sta facendo politica, che è fondamentalmente prendere delle decisioni, prendere dei punti di vista sulla risoluzione dei problemi. Si è creato questo meccanismo per cui la politica è automaticamente il palazzo, i posti di potere, e gli altri sono dei sudditi che devono subire.

Come giudica il livello di informazione a Faenza?

Dando una risposta oggettiva il livello di informazione a Faenza appare quantomeno di parte. Ovviamente non possiamo generalizzare, ma credo che il livello di informazione, se pensiamo a quello di cui abbiamo parlato nel mese scorso a livello di elezioni amministrative, risente un po’ di quello che è lo stile comunicativo degli ultimi 20 anni anche dal punto di vista televisivo. Si privilegia il “Chi l’ha visto” o il “Carramba che sorpresa!” piuttosto che il contenuto. Quindi si privilegia il fatto che uno vent’anni fa pensasse una cosa e oggi ne pensi un’altra piuttosto che quali sono i progetti per la città.

E secondo lei di chi è la colpa di tutto questo, con particolare focus sullo specifico faentino?

Secondo me la colpa non è mai solo da una parte. Sicuramente la colpa è di chi gestisce gli organi di informazione, però io credo che se le persone che utilizzano gli organi di informazione facessero sentire un po’ di più la loro voce qualcosa si cambierebbe. Siamo entrati in un sistema dettato da finalità più alte e più complicate di quello che noi possiamo pensare, però siamo anche diventati abbastanza pigri da non alzare la voce e dire che le cose devono cambiare.

2 EMERGENZA ROM – DIRITTI CIVILI – AMBIENTE

Veniamo al suo programma. Nello stenderlo, si è deciso di seguire un ordine preciso? Per esempio il primo punto del programma è quello sul “lavoro”.

Il programma è stato costruito a più mani, però lo scheletro del programma è in ordine di priorità. Quando parliamo di “Lavoro” al primo posto, di “Welfare” al secondo lo facciamo perché riteniamo che sia l’approccio corretto da dare alle problematiche che abbiamo e le risposte corrette che i nostri cittadini devono in questo momento avere.

Emegenza Rom. Provocatoriamente ci piacerebbe chiedere “ha mai parlato con uno di loro?”. Il senso della domanda è questo: capire le cause di un problema prima che proporre soluzioni. Si è cercato di capire la storia di questa situazione, di queste famiglie all’interno del contesto faentino, andando al di là degli slogan?

Noi abbiamo in lista una persona che si chiama Alessandra Govoni, che io conosco abbastanza bene (ride, ndr), che ha parlato con loro ed è andata nel loro accampamento a Pieve Corleto, ha pranzato con loro e passato con loro la giornata cercando di capire le problematiche che loro quotidianamente affrontano. Io ho parlato con il presidente della Fondazione Romanì che è particolarmente dentro questi problemi sull’integrazione dei Rom in città.

Diritti civili, un dibattito ancora molto aperto nella nostra città. Faenza non ha ancora adottato un registro per le unioni civili per coppie etero o omosessuali. Quale è la sua posizione a riguardo? Secondo lei il sindaco deve fare prevalere le proprie convinzioni etiche o il volere della comunità?

Io ritengo che il registro sulle unioni civili sia da fare e quindi sarà una delle nostre priorità. La mia posizione su quel famoso odg (ci si riferisce al documento presentato nell’odg del 15 dicembre 2014 proposto da Forza Italia e votato da mezzo PD “a difesa della famiglia naturale”, ndr) l’ho ribadita ieri ad un’intervista a FaenzaWebTv che mi ha chiesto un’opinione sulle ulteriori esternazioni della consigliere regionale Rontini, che due giorni fa ha polemizzato nuovamente sul progetto “Viva l’amore”. C’è un grosso problema quando si mescola la propria opinione in ambito religioso con quelle che sono le competenze che deve avere un amministratore della cosa pubblica, in tal caso si torna ad un oscurantismo medievale, per dirla in maniera chiara. Credo che la religione, che è una parte fondamentale di ognuno di noi, e lo dico da cattolico, sia un aspetto importante. Ma credo anche che la gestione del diritto civile della singola persona sia un’altra cosa, e di quello si deve occupare l’amministratore pubblico.

L’impianto di termovalorizzazione: reale problema o materia di campagna elettorale? Può spiegare ai nostri lettori qual è il reale problema riguardo Enomondo?

Il reale problema è dettato dal fatto che qui non stiamo, come qualcuno sta dicendo, sostituendo un impianto vecchio con uno nuovo, migliorando la combustione. Qui stiamo dando l’opportunità a Enomondo, che è una partecipata di Hera e Caviro, di bruciare ulteriore materiale. Senza dover fare una dissertazione su quelli che sono i danni da combustione, considerate che la combustione a Faenza serve per produrre energia elettrica. L’energia elettrica prodotta a Faenza dalle centrali a biomassa attualmente esistenti è eccedente al fabbisogno faentino, quindi non c’è necessità di produrre nuova energia. L’energia in eccesso viene venduta. La combustione, è certificato, produce diossine, polveri sottili, fattori di inquinamento. Ci sono studi fatti a Forlì (l’ordine dei medici di Forlì si è mosso molto prima di noi, avendo loro un inceneritore) che stabiliscono un incremento sulle malformazioni fetali e sulle patologie neoplastiche del genere femminile, che sono le sentinelle di queste problematiche, in aumento esponenziale. L’istituto oncologico romagnolo ha stabilito che un italiano su due si ammala di tumore, mentre in Europa la media non è questa. È un problema reale, dobbiamo pensare al futuro dei nostri figli oltre che al nostro.

Se non sbaglio nel vostro programma si parla di “pubblicizzazione completa dell’acqua”, giusto?

Assolutamente. C’è stato un referendum che è stato stravinto e che va rispettato.

Come cercare di realizzare concretamente questo punto che è forse ancora più complicato della situazione dei rifiuti?

Per il mondo acqua noi dobbiamo mettere d’accordo gli attori in questo momento in campo che sono Romagna Acque, per quello che riguarda la gestione, e l’impiantistica, che in alcune zone è stata delegata al gestore mentre in altre è rimasta di proprietà comunale. La cosa fondamentale è che, essendo un bene pubblico, non può essere oggetto di mark up finanziario (nel marketing tradizionale il mark up è il margine che intercorre tra il prezzo produzione di un bene ed un servizio e l’effettivo prezzo di realizzazione o vendita. E’ quindi un elemento di rilievo per la gestione della politica dei prezzi di un’azienda ed il mantenimento dei margini operativi, ndr). Il gestore deve essere il pubblico non può essere un privato che ricalca, facendo un esempio banale, i costi della dispersione dell’acqua sulla tua bolletta spalmandole sulla base della perdita statistica media dell’impiantistica. Per cui la realizzazione è abbastanza semplice. Si riporta in house, in una società interna al comune o addirittura in una società pubblica, la gestione dell’acqua e ci si riappropria della impiantistica, qualora fosse stata data in gestione all’attuale gestore.

3 LAVORO – SICUREZZA – CULTURA

Il punto numero uno del vostro programma è il lavoro. Concretamente l’amministrazione cosa potrebbe fare su questa tematica in ambito giovanile?

Io fondamentalmente vedo due aspetti: uno legato alla informazione/formazione e uno legato al mondo della scuola. L’Informagiovani deve essere un luogo che dà risposte oggettive, che ti metta in rete con le persone che hanno le tue stesse necessità. Deve essere un posto dove ci si metta in contatto con i tanti finanziamenti locali, regionali, nazionali, comunitari, che permettono la partenza dei progetti. Nel mercato del lavoro attuale trovare un lavoro “classico” è sicuramente più difficile e oggi come oggi la strada più coraggiosa e semplice è quella di “farsi” un lavoro. Dall’altra parte bisogna lavorare molto sulla formazione nelle scuole, perché tutti dicono che la scuola non formi ma io non sono d’accordo. C’è un disallineamento tra le richieste delle aziende quando il giovane esce e la formazione che ha ricevuto prima. Non è colpa del giovane, è colpa del fatto che i due enti non si sono mai parlati e non si sono mai messi in relazione. Inoltre c’è anche una cittadinanza attiva dei giovani che non viene stimolata. Mi spiego. Il tirocinio, lo stage, il contratto a tempo determinato… sono situazioni che devono entrare nel bagaglio culturale dei ragazzi perché altrimenti le aziende li gestiscono con manovalanza brutale e non gli fanno fare quello che è il contenuto di quel tipo di contratto. Io faccio il direttore risorse umane di professione, di aziende ne ho viste tante e lo stagista lo prendono per fare le fotocopie. Quel povero ragazzo viene perché dice “piuttosto che stare a casa a non fare niente prendo 300 euro al mese… ma non risolvo il problema, non lo faccio crescere: gli faccio perdere 4 mesi.

Veniamo alla parola “sicurezza”. Nel nostro blog da tempo stiamo cercando di portare avanti una riflessione su questa parola, tra sicurezza reale e percepita, vari tipi di sicurezza e l’importanza che hanno i media riguardo questa tematica. Nello stendere il vostro programma si è avviato una riflessione su questo tema? Quali sono le priorità?

Andando a leggere il programma credo che la parola sicurezza non sia citata. Il mio approccio, aldilà del latinismo della radice semantica che in italiano si traduce con “senza preoccupazione”. Il problema sicurezza va scisso in due aspetti: l’ambito della legalità e quello della sicurezza. Molte volte si confonde la sicurezza con la legalità. Qualsiasi candidato sindaco, in quanto tale, si deve muovere all’interno della legalità e quindi deve colpire tutte le sacche di illegalità, e quindi chi delinque va punito, non stiamo tanto a discutere se è bianco, giallo o nero.

La sicurezza è quello che il cittadino percepisce come una situazione nella quale lui può agire tranquillamente. Allora, a Faenza ci sono forti sacche di microcriminalità, perché ci sono, è evidente. Il mio approccio è un approccio di integrazione, e mi spiego. Partendo dal presupposto che chi delinque va punito, noi ci differenziamo dalle altre liste per questo approccio che ora vi spiego. Bisogna andare a capire se l’amministrazione comunale può intervenire nelle sacche di disagio sociale che sono il terreno fertile per far nascere la microcriminalità, perché la microcriminalità nasce perché ad un certo punto se uno non ha risorse poche alternative ha. Da qui l’approccio di ’integrazione e da qui la critica che muoviamo all’amministrazione comunale uscente, soprattutto relativa ai Rom, che ha delegato l’aspetto dell’integrazione a un ente terzo senza verificare se quella integrazione si stesse effettuando. Andando a parlare coi Rom, fa male sentirsi dire: “i nostri figli sugli autobus non li vogliono e quindi i nostri figli vanno a scuola mezz’ora dopo gli altri perché l’autobus prima fa il giro con gli studenti normali, poi torna da noi e poi va a scuola”. Come fanno a integrarsi? È chiaro che c’è qualcosa non funziona. Il nostro approccio è l’integrazione, nel momento in cui fallisce bisognerà porvi rimedio, ma l’integrazione non si fa facendo un po’ di carità penosa. Si fa agendo concretamente. Per esempio, per la Fondazione Romani il presupposto è l’abolizione dei campi e delle roulotte.

Si parla spesso di una Faenza in cui il turismo non è mai decollato. Quali sono le cause di questa situazione?

Io credo siano cause gestionali. Noi abbiamo la fortuna di avere in mano il patrimonio artistico e architettonico. Quello che non siamo stati in grado di fare è gestirlo. E non siamo nemmeno stati in grado di copiare quello che gli altri hanno fatto. Voi che siete giovani lo sapete meglio di me, se voi andate in qualsiasi paese europeo se c’è qualcosa di bello o artistico è: aperto 365 giorni all’anno, è segnalato, è incentivato, magari ci sono connessioni e reti con degustazioni enogastronomiche. Da noi no. Da noi se tu esci dalla stazione ferroviaria di Faenza fino poco tempo fa non trovavi nemmeno il cartello di dove ti trovavi. Adesso c’è un cartello, mi diceva un candidato della mia lista (ma non ho verificato), nel quale c’è la cartina dei vini e dei sapori della Romagna con nella legenda i castelli, le rocche, tutto quello che si può vedere… peccato che si sono dimenticati di metterli nella cartina. Siamo poco organizzati. Se un turista viene a Faenza il giorno di ferragosto trova qua tutto chiuso, non trova un museo aperto.

Veniamo a parlare di cultura. Nel vostro programma si parla della creazione di un Museo della Città. Che tipo di museo sarebbe?

A noi piacerebbe un museo civico, di tipo anglosassone. Che racchiudesse un percorso che il visitatore può visitare. È chiaro che è difficile, perché se andiamo a ragionare all’interno del sistema museale faentino tanti tentativi sono stati fatti, anche in passato, e da quei tentativi dobbiamo cogliere gli aspetti negativi o positivi. Però io ritengo che il più grosso limite è che, a parte tre musei, gli altri sono tutti aspetti spot. Bisogna pensare a una rete integrata, a rendere fruibile quello che abbiamo già, come i mosaici in Palazzo Mazzolani.

Si era parlato come possibile edificio adibito ad ospitare questo museo la Chiesa dei Servi, giusto?

Ci sarebbe piaciuto. È vero però che c’è un costo di restauro importante.

Dalla Chiesa dei Servi ci spostiamo a Case Manfredi. Come valuta possibili soluzioni per questo importante edificio? Il Comune ha comprato questo immobile nel 2001, e attualmente versa in uno stato di totale abbandono e a rischio di crolli. Il Comune sembra ora intenzionato a vendere… lei è d’accordo?

Parto dal presupposto che credo sia imbarazzante l’idea di vendere un immobile che tu hai pagato 2.500.000 di euro per ristrutturare un salone del Palazzo del Podestà, questo è quello che vuole fare il sindaco attuale. Come fare e dove trovare i soldi è sicuramente difficile, però un bene come Case Manfredi credo vada trovato magari anche finanziatore o una Fondazione (anche se mi fa sempre un po’ paura il concetto delle fondazioni). Si può dare in gestione a un privato senza venderlo, ma lasciandolo in mano all’amministrazione.

Parliamo di centro storico ma facciamo un passo indietro. Perché il centro storico è ritenuto un elemento ancora così importante per la città? E quali sono invece i motivi per cui il faentino-medio non lo frequenta più? Riteniamo che solo capendo le cause sia possibile trovare efficaci soluzioni, andando al di là di eventi spot come i molti proposti da molti candidati al dibattito del quartiere Centro Sud.

Io credo ci siano delle cause da imputare sia all’aspetto edilizio del centro storico, sia all’aspetto economico legato a quello edilizio, sia anche al concetto di sicurezza (o sicurezza percepita). Il centro storico è di per sé un piccolo capolavoro. Il problema è che molta parte del centro storico è di proprietà di molte persone e famiglie che purtroppo non si possono permettere di mettere in ristrutturazione determinate case e palazzi, e quindi c’è un degrado sempre maggiore. A ciò aggiungiamo che nel centro proprio per questa situazione di degrado, ed è un fenomeno comune a tutti i centri storici della Romagna e probabilmente d’Italia, le uniche persone che accettano di pagare un canone di locazione per immobili un po’ fatiscenti sono fondamentalmente delle persone che vivono in condizioni disagiate. Questo comporta che il centro storico non è più vivibile dai nostri cittadini e i negozi per forza devono chiudere perché da loro non viene più nessuno; e poi c’è la grande distribuzione che è stata decentrata. Allora, secondo noi si deve ripartire da un discorso integrato fra quella che è la parte culturale e quella edilizia. Bisogna fare un censimento degli immobili di proprietà comunale sfitti, dandoli poi in gestione alle associazioni o al volontariato e a coloro che in questi immobili propongono un progetto, uno sviluppo.

Molte associazioni faentine faticano a trovare gli spazi di cui necessitano. Esistono dunque tanti immobili che potrebbero invece essere utilizzati a tale fine?

Ce ne sono, e non si riesce a darli per problemi di sicurezza e i costi di ristrutturazione sono importanti. Esiste però una progettualità finanziabile. Bisogna pensare a Faenza tra 20 anni. È un po’ il discorso, presente nel nostro progetto, dell’incubatore, del centro aggregativo e multifunzionale per le associazioni che al momento non hanno una casa. Lì si crea cultura.

Ci parli in maniera un po’ più dettagliata di questo centro aggregativo polifunzionale. Cosa avete in mente a riguardo?

L’idea è un’idea di programma, nel senso che nel momento in cui noi potessimo mettere in piedi un ragionamento di questo genere partiremmo sicuramente nel mandato a fare questo. Dove farlo? Bisogna capire quante associazioni sono senza casa, cioè, dirvi adesso ho individuato Case Manfredi, la Chiese dei Servi… non ve lo posso dire al momento. Però il ragionamento è fatto. Su progetti analoghi i finanziamenti europei su questi progetti sono stati presi in altre parti d’Italia.

Si parla molto in campagna elettorale di finanziamenti europei, ma molto spesso la nostra comunità non riesce ad attingete direttamente a questi fondi. Ritiene ci siano effettive incapacità su questo punto?

Questa criticità è stata evidenziata da alcuni candidati. Su questo non posso darvi risposta, perché bisogna chiederlo a Giovanni Malpezzi.

Alcuni candidati hanno proposto la creazione di un ufficio apposito per sviluppare questi temi.

Noi l’abbiamo messo nel programma, richiamandolo sia in ambito scuola che in quello del centro aggregativo. Anche perché oggettivamente oggi nessuno sa dire dove sono questi finanziamenti.

Ha in mente degli eventi specifici in ambito culturale e aggregativo?

Noi pensiamo che nel momento in cui si riuscisse a fare quel percorso che riteniamo fattibile di correlazione tra eventi culturali, associazionismo giovanile, messa in rete dei vari percorsi… credo che sarebbe un volano che in automatico si alimenta. Dirti il concerto in piazza piuttosto che la casa del Jazz al cinema Sarti penso sia riduttivo. A quel punto sarebbero gli altri a cercare Faenza anche per la sua geografia.

Veniamo al MEI, di cui ci siamo occupati con alcuni approfondimenti nel nostro sito. Molti candidati sindaco si sono dimostrati critici sulla sua attuale gestione. Lei cosa pensa al riguardo?

Io sul MEI non ho particolari critiche, vorrei però che rimanesse a Faenza. Non che si facesse un MEI di serie B a Faenza e poi un vero e proprio MEI da un’altra parte. Non conosco personalmente la persona che gestisce in maniera quasi esclusiva tutti questi eventi. Secondo me tante cose sono state fatte bene, però in una logica di mercato (e detto da una lista di sinistra è particolare) non avere un unico interlocutore potrebbe aiutare.

Venendo allo sport e al palio, come giudica la nuova Cooperativa dei Manfredi che si trova a gestire lo stadio Bruno Neri?

Penso prima di tutto che sia stato fatto il tutto in un momento un po’ particolare, questa è la prima cosa che ho pensato. La seconda cosa è che di per sé non vedo una criticità, però bisogna risolvere un’annosa questione: il Bruno Neri oggi a cosa deve servire? Non si possono fare coesistere il Palio e le altre attività sportiva. Bisogna fare un ragionamento. Tutti i candidati oggi dicono che Faenza ha un impiantistica sportiva da ristrutturare. Io condivido, però c’è anche da dire che Faenza ha un’impiantistica sportiva sovradimensionata per la realtà che ha.

Perché lei sindaco

Perché c’è assolutamente necessità per il faentino di vedere rappresentata dei valori di sinistra, di solidarietà e di partecipazione che ad oggi non sono rappresentati.

A cura di Samuele Marchi e Alberto Fuschini

 

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